Il giudice non ha dato conto della ritenuta insussistenza nel nesso di causalità tra danni alla salute ed attività svolta, né del carattere dequalificante delle nuove mansioni. Per verificare la legittimità dello ius variandi va valutata l’omogeneità con le vecchie mansioni, anche se queste non sono affidate ad altro dipendente.
Con la sentenza numero 3325, depositata il 12 febbraio 2013, la Corte di Cassazione ha rinviato ad un ulteriore esame del merito della controversia avente come protagonista un dipendente comunale. Dopo la malattia si trova ridimensionato. Un dipendente di un Comune lavora al depuratore, che però funziona male. Un ictus cerebrale lo tiene a casa per un po’, al suo rientro si ritrova assegnato a nuove mansioni. Ritenendo tali nuove mansioni dequalificanti per la propria professionalità, ne chiede l’accertamento in Tribunale, insieme alla verifica del nesso causale tra le mansioni svolte presso il depuratore e la malattia che lo ha colpito. Chiede quindi che venga dichiarata l’illegittimità del demansionamento ed un risarcimento danni nei confronti del Comune. Doglianze contraddittorie? Tribunale e Corte d’Appello respingono le richieste. Ritengono, i giudici di merito, che le doglianze siano contraddittorie tra loro sembra infatti avvalorata la correttezza del cambio di mansioni proprio dal ritenuto nesso causale sussistente tra le precedenti mansioni e la malattia. Rispetto alla prevedibilità di tali danni e la possibilità di evitarli da parte del datore di lavoro, il lavoratore non fornisce proposte alternative, rispetto alle quali il Comune potesse offrire un prova liberatoria rispetto alla propria responsabilità. Era già stato vittima di mobbing. Il lavoratore, già riconosciuto, peraltro, come «soggetto sottoposto a mobbing sia per il tipo di mansioni e le condizioni in cui si trovava ad operare, sia soprattutto per il comportamento dell’Amministrazione», ricorre per cassazione. Motivazione superficiale. La S.C. accoglie il ricorso. Ritiene infatti che la decisione della corte territoriale si è basata su una premessa logica erronea, cioè la ritenuta contraddittorietà delle doglianze. In tal modo ha peraltro effettuato «una sovrapposizione tra le due suddette domande, trattandole - in modo piuttosto superficiale – congiuntamente e, quindi, senza dare conto adeguatamente delle ragioni che l’hanno indotta al rigetto delle specifiche doglianze dell’appellante». Le domande vanno esaminate tutte, separatamente. Come le parti sono tenute a rispettare i vari oneri rispetto ad ogni singola domanda, così «la sentenza che decide sulle diverse domande, sebbene sia formalmente unica, deve dare conto delle varie e distinte pretese azionate». Anche se legate da connessione soggettiva, conservano la loro autonomia e danno luogo a differenti pronunce. Il cambio di mansioni va verificato a fondo. Il giudice non ha dato conto della ritenuta insussistenza nel nesso di causalità tra danni alla salute ed attività svolta, né del carattere dequalificante delle nuove mansioni. A tal proposito non sono stati rispettati gli orientamenti della Cassazione, secondo cui per verificare la legittimità dello ius variandi del datore di lavoro va valutata l’omogeneità con le vecchie mansioni, «sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta». Ciò anche se queste mansioni non sono affidate ad altro dipendente, ma appaltate all’esterno. Per questi motivi la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio, che dovrà tener conto di questi principi.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 novembre 2012 – 12 febbraio 2013, numero 3325 Presidente Stile – Relatore Tria Svolgimento del processo 1- La sentenza attualmente impugnata respinge l'appello di D.L.M. avverso la sentenza del Tribunale di Teramo del 22 giugno 2009, la quale a sua volta ha respinto le domande del D.L. volte 1 alla dichiarazione di illegittimità dei provvedimento di adibizione del ricorrente alle diverse mansioni, nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune di Teramo 2 all'accertamento della sussistenza del nesso causale tra lo svolgimento delle mansioni presso il depuratore e l'ictus cerebrale che lo ha colpito 3 all'accertamento del carattere dequalificante dei compiti assegnatigli al rientro dalla malattia 4 alla conseguente condanna dell'Amministrazione datrice di lavoro al risarcimento dei danni subiti. La Corte d'appello dell'Aquila, per quel che qui interessa, precisa che a il D.L. lamenta di aver patito danni per due ordini di motivi 1 l'adibizione al depuratore del Comune di Teramo, il cui cattivo funzionamento gli avrebbe causato danni alla salute, in particolare manifestatisi con un ictus cerebrale dovuto a stress lavorativo 2 l'adibizione a mansioni dequalificanti al rientro al lavoro dopo la malattia b tali due doglianze appaiono contraddittorie in quanto la dedotta connessione tra le mansioni svolte presso il depuratore e la patologia insorta, sembra avvalorare la tesi del Comune sulla giustificatezza sia dell'attribuzione di differenti mansioni in epoca successiva sia dell'esternalizzazione delle precedenti mansioni c ne consegue che la decisione del Comune di sollevare il dipendente dalle mansioni svolte presso il depuratore non può considerarsi fonte di responsabilità dell'Ente né di tipo extracontrattuale né di tipo contrattuale d per i due rimanenti profili, riguardanti la prevedibilità dei danni e la possibilità di evitarli da parte del datore di lavoro, sia con riguardo al danno alla salute, sia con riguardo al demansionamento, si deve sottolineare che, in assenza di specifiche soluzioni alternative proposte dal lavoratore, in entrambi i periodi di tempo considerati l'assegnazione delle mansioni è stata legittima mentre è mancata la formulazione di un addebito sia pure ipotetico ma specifico di colpa nei confronti del Comune, che quindi non è stato posto in condizione di offrire una prova liberatoria. 2 - Il ricorso di M D.L. domanda la cassazione della sentenza per un unico articolato motivi resiste, con controricorso, il Comune di Teramo. Motivi della decisione I - Profili preliminari. 1.- Vanno, preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dal Comune di Teramo controricorrente. 1.1 - Al riguardo va, in rimo luogo, escluso che la notifica del ricorso per cassazione si possa, nella specie, considerare viziata. Tale notifica risulta, infatti, essere stata effettuata al Comune di Teramo, in persona del suo Sindaco pro tempore per la carica domiciliato presso la sede civica ed elettivamente domiciliato in Teramo in piazza Ercole Vincenzo Orsini e per esso al procuratore domiciliatario avvocato Anna Maria Melchiorre . Il suindicato avvocato domiciliatario, che ha assunto la difesa del Comune di grado di appello, come risulta anche dall'intestazione del controricorso, appartiene all'Avvocatura municipale, domiciliata nella stessa sede del Sindaco. L'identità logistica e funzionale del domicilio del Sindaco e di quello eletto presso il suo difensore e procuratore costituito, le cui generalità come si è detto sono state chiaramente indicate, escludono in radice che la notifica di cui si tratta possa considerarsi inidonea al suo scopo vedi, per tutte Cass. 12 settembre 2011, a 18640 Cass. 11 giugno 2012, numero 9431 . 1.2.- Quanto ai profili di inammissibilità per pretesa violazione dell'articolo 360-bis, primo comma, numero 1, cod. proc. civ., va ricordato che questa Corte ha precisato al riguardo che a il ricorso scrutinato ai sensi dell'articolo 360 bis, numero 1 cod. proc. civ. deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificarla, posto che anche in mancanza, nel ricorso, di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata Cass. SU 16 settembre 2010, numero 19051 b in applicazione dell'articolo 360 bis, primo comma, numero 1, cod. proc. civ., deve essere dichiarato inammissibile, per contrasto con la suddetta disposizione, il ricorso per cassazione che non solo non è conforme allo schema di cui all'articolo 360 cod. proc. civ. e, per tale ragione, è inammissibile ma le cui inammissibili censure sono prospettate sul presupposto della contestazione dell'interpretazione della normativa applicabile adottata dalla sentenza impugnata - conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità - senza però offrire elementi validi a modificare i suddetti orientamenti Cass. 17 settembre 2012, numero 15523 . Ne deriva, che l'ambito di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per contrasto con l'articolo 360-bis, primo comma, numero 1, cod. proc, civ. risulta estremamente ristretto e condizionato alla sussistenza di presupposti che nella specie, con tutta evidenza, non ricorrono e, d'altra parte, neppure ricorrono i presupposti per pervenire, sulla base della medesima disposizione, ad un rigetto del ricorso per manifesta infondatezza, non risultando la sentenza impugnata conforme alla giurisprudenza di legittimità, come si dirà più avanti. II - Sintesi dei motivi di ricorso. 2- Con l'unico motivo si denunciano a in relazione all'articolo 360, numero 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'Accordo 23 dicembre 1978 e del Protocollo aggiuntivo 7 febbraio 1979, approvato con d.P.R. 1 giugno 1979, n, 191 nonché dell'Accordo del 29 aprile 1993 approvato con d.P.R. 25 giugno 1983, numero 347 b in relazione all'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in riferimento agli articolo 443, 115, 116 cod. proc. civ. e agli arti 2087, 2103 e 2697 cod. civ., in relazione anche all'articolo 149 disp. att In primo luogo si sostiene che la Corte aquilana si sia limitata ad esaminare le mansioni svolte dal ricorrente al rientro dalla malattia, senza tenere conto delle doglianze che si riferivano al periodo precedente nel quale il D.L. era adibito al depuratore comunale. Tale attività già di per sé disagiata, data la cattiva organizzazione interna della struttura, sottoponeva il ricorrente a continue ansie e stress, che poi sono stati la causa dell'ictus cerebrale che lo ha colpito. Del resto, proprio in rifermento al suddetto periodo lavorativo, il D.L. è stato riconosciuto come soggetto sottoposto a mobbing sia per il tipo di mansioni e le condizioni in cui si trovava ad operare, sia soprattutto per il comportamento dell'Amministrazione in particolare imposizione di ordini esulanti dalla qualifica di appartenenza, successiva irrogazione della sanzione della censura e persino sottoposizione a procedimento penale, conclusosi con l'assoluzione . Tuttavia, tali argomenti sono stati sottovalutati o pretermessi dai giudici del merito. Si contestano poi le parti della sentenza impugnata in cui la Corte territoriale ha ritenuto che non sia stato adeguatamente assolto l'onere, gravante su entrambe le parti, di esporre i motivi e le ragioni posti alla base dei rispettivi assunti in ordine sia al nesso di causalità tra mansioni svolte presso il depuratore e l'insorgenza dell'ictus sia alla dequalificazione professionale lamentata dal lavoratore per il periodo successivo alla malattia. Si sottolinea, inoltre, che la Corte aquilana ha anche rimarcato l'assenza di accenni da parte del D.L. a specifiche soluzioni tecniche alternative, idonee a sopperire al cattivo funzionamento del depuratore dimenticando che il Comune era contrattualmente obbligato a fare in modo che il lavoratore potesse svolgere i compiti assegnatigli senza subire stress e altri danni psico-fisici. In questa stessa ottica, la Corte d'appello avrebbe dovuto valutare il disposto trasferimento del ricorrente e la successiva esternalizzazione del servizio trattandosi sempre di provvedimenti assunti dal Comune per sottrarsi alle proprie responsabilità, evitando di eliminare le deficienze strutturali dell'impianto di depurazione in oggetto. III - Esame delle censure. 3 - Il ricorso deve essere accolto, per le ragioni di seguito precisate. Si deve osservare che la sentenza impugnata appare fondata su di una premessa logica erronea, rappresentata dal rilevato rapporto di contraddittorietà tra le due domande proposte dai D.L. in merito a 1 l'adibizione al depuratore del Comune di Teramo, il cui cattivo funzionamento gli avrebbe causato danni alla salute, in particolare manifestatisi con un ictus cerebrale dovuto a stress lavorativo 2 l'adibizione a mansioni dequalificanti al rientro al lavoro dopo la malattia. Sulla base di tale erroneo presupposto la Corte territoriale ha effettuato una sovrapposizione tra le due suddette domande, trattandole - in modo piuttosto superficiale - congiuntamente e, quindi, senza dare conto adeguatamente delle ragioni che l'hanno indotta al rigetto delle specifiche doglianze dell'appellante. Va, invece, osservato che per costante giurisprudenza di questa Corte, nell'ipotesi in cui -come nella specie - siano proposte più domande autonome contro la stessa parte nel medesimo giudizio, così come le parti sono tenute ad osservare per ciascuna domanda gli oneri a loro carico, analogamente la sentenza che decide sulle diverse domande, sebbene sia formalmente unica, deve dare conto delle varie e distinte pretese azionate, le quali - pur se legate da una mera connessione soggettiva - conservano la loro autonomia, tanto che danno luogo a differenti pronunce, sia pure inserite nella medesima sentenza Cass. 30 novembre 2010, numero 24241 Cass. 26 novembre 2010, numero 24086 Cass. 13 luglio 2006, a 15954 Cass. 19 luglio 2010, numero 16876 . Dal mancato rispetto del suddetto principio è derivato che la Corte territoriale non ha adeguatamente dato conto 1 né della ritenuta insussistenza del nesso di causalità tra i danni alla salute subiti dal D.L. e il cattivo funzionamento del depuratore con riguardo alla prima delle suddette domande proposte , visto che la motivazione sul punto risulta, nella sostanza, apodittica e poco comprensibile, ove sembra escludere la sussistenza del suddetto nesso causale in considerazione della affermata impossibilità, per il periodo antecedente l'ictus cerebrale che ha colpito il ricorrente, dell'attribuzione di mansioni diverse da quelle tipiche del perito chimico, visto che il dipendente era adibito soprattutto, se non esclusivamente, ad analisi inerenti il funzionamento del depuratore comunale 2 né dell'assenza del carattere dequalificante delle mansioni cui è stato adibito il D.L. al rientro al lavoro dopo la malattia. A tale ultimo riguardo, infatti, la Corte aquilana, non avendo adeguatamente motivato la propria decisione sul punto, risulta essersi discostata dai consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte secondo cui a ai fini della verifica del legittimo esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, deve essere valutata, dal Giudice di merito la omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente Cass. SU 24 novembre 2006, numero 25033 Cass. 8 giugno 2009, numero 13173 Cass. 2 maggio 2006, numero 10091 Cass. 23 marzo 2005, numero 6326 b in tema di assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle di assunzione, l'equivalenza o meno delle mansioni deve essere valutata dal giudice anche nel caso in cui le mansioni di provenienza non siano state affidate ad altro dipendente, ma si siano esaurite, con la conseguenza che anche in tale evenienza può aversi demansionamento, in violazione dell'articolo 2103 cod. civ., ove le nuove mansioni affidate al lavoratore siano inferiori a quelle proprie della qualifica o alle ultime svolte dal lavoratore Cass. 26 gennaio 2010, numero 1575 . IV – Conclusioni. 4.- Per le esposte ragioni il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello dell'Aquila, in diversa composizione, che si atterrà, nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati, a partire dal seguente nell'ipotesi in cui siano proposte più domande autonome contro la stessa parte nel medesimo giudizio, così come le parti sono tenute ad osservare per ciascuna domanda gli oneri a loro carico, analogamente la sentenza che decide sulle diverse domande, sebbene sia formalmente unica, deve dare conto delle varie e distinte pretese azionate, le quali - pur se legate da una mera connessione soggettiva - conservano la loro autonomia, tanto che danno luogo a differenti pronunce, sia pure inserite nella medesima sentenza . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello dell'Aquila, in diversa composizione.