Rifiuta la collocazione alternativa: l’indennità risarcitoria prevista dal CCNL spetta comunque

In caso di estinzione del rapporto di lavoro per sopravvenuta inidoneità del lavoratore, questi ha diritto ad una somma una tantum in caso di infruttuoso esperimento della procedura di riallocazione.

Tale indennità, prevista dall'art. 40 del CCNL per le aziende municipalizzate di igiene urbana, compete in tutti i casi nei quali non sia stato raggiunto l'accordo per lo svolgimento di mansioni alternative, non distinguendo il contratto collettivo tra il caso in cui l'azienda non abbia offerto al lavoratore una mansione diversa e il caso in cui il lavoratore l'abbia rifiutata. Così ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 21918, pubblicata il 25 settembre 2013. Il caso . Una lavoratrice si rivolgeva al Tribunale del lavoro al fine di ottenere il riconoscimento dell’indennità risarcitoria prevista dall’art. 40 del CCNL per le aziende municipalizzate di Igiene Urbana, nei casi di cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuta inidoneità alle mansioni lavorative di assegnazione. Il Tribunale respingeva la domanda. Proponeva appello la lavoratrice, ma la Corte d’Appello lo rigettava, rilevando che la procedura di riallocazione del dipendente non poteva considerarsi infruttuosa, poiché si era conclusa con un rifiuto della lavoratrice a svolgere le diverse mansioni prospettatele. Ricorreva in Cassazione la dipendente per la riforma della pronuncia d’appello. La norma del CCNL. La vicenda trae fondamento dalla disposizione contrattuale di cui all’articolo 40 del CCNL per le aziende municipalizzate di Igiene Urbana. Norma che nella parte che qui interessa così recita Esonero agevolato per inidoneità - a Nei confronti dei lavoratori riconosciuti, con le procedure di cui ai commi precedenti, inidonei alle mansioni per cui erano stati assunti od a cui erano stati successivamente adibiti, l'azienda, esperita infruttuosamente la procedura di ricollocazione, procederà alla risoluzione del rapporto di lavoro con il riconoscimento di una somma una tantum definita nella sotto indicata tabella omissis . L’interpretazione dei giudici di merito. La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di prima grado, respingendo la domanda della lavoratrice, adducendo che l’art. 40 del CCNL in esame ricollega l’erogazione dell’una tantum all’espletamento infruttuoso della procedura di riallocazione del lavoratore. Nel caso di specie non poteva ritenersi esperita infruttuosamente la procedura, in quanto la lavoratrice aveva rifiutato lo svolgimento delle diverse mansioni proposte dall’azienda, alternative al licenziamento. Secondo i giudici di merito, la ratio della disposizione contrattuale è quella di aiutare il lavoratore che perde il posto di lavoro a causa delle sue condizioni fisiche e tale logica non può ricorrere nel caso in cui il lavoratore rifiuti lo svolgimento delle mansioni alternative cui sarebbe ancora idoneo, che gli vengano proposte. Indennità risarcitoria per il lavoratore che rifiuta la collocazione alternativa. Secondo la Suprema Corte, l’interpretazione resa dai giudici di merito è errata. Già in una precedente pronuncia, la Corte di Cassazione si era espressa, affermando che l’art. 40 in esame deve essere interpretato nel senso che l’indennità prevista compete in tutti i casi nei quali non sia stato raggiunto l’accordo per lo svolgimento delle mansioni alternative, non individuandosi nella norma contrattuale alcuna distinzione tra il caso in cui l’azienda non abbia offerto al lavoratore una mansione diversa da quello in cui sia stata offerta ma rifiutata dal lavoratore Cass. n. 9967/2012 . Alla luce dell’affermato principio, la sentenza impugnata appare viziata, con conseguente fondatezza del motivo di censura proposto. La Corte di legittimità ritiene che il rifiuto delle mansioni alternative non potrà mai essere considerato pretestuoso, essendo tale consenso il presupposto per la legittimità dell’assegnazione a mansioni diverse, eventualmente anche inferiori. Il patto di demansionamento infatti, volto al solo scopo di evitare il licenziamento, sarà valido solo ove vi sia il consenso del lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell’accordo. Anche nel caso in esame, le mansioni alternative proposte dall’azienda al lavoratore inidoneo costituiscono la residua possibilità occupazionale, unica alternativa all’inevitabile licenziamento. La clausola contrattuale tende dunque attraverso l’acquisizione del consenso del lavoratore, a integrare le condizioni affinchè possa ritenersi valida l’offerta di mansioni anche inferiori. E dunque l’indennità una tantum costituisce non un premio per il lavoratore, ma un’erogazione compensativa della perdita del posto di lavoro sia nell’ipotesi di mancato reperimento di soluzioni alternative, sia in ogni altro caso in cui la soluzione offerta dall’azienda non venga accettata poiché in tale ultimo caso non si è perfezionata la fattispecie complessa che renderebbe legittima la proposta aziendale di mansioni diverse, eventualmente anche inferiori.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 giugno - 25 settembre 2013, n. 21918 Presidente Roselli – Relatore Fernandes Fatto La Corte di appello di Torino, con sentenza del 17 maggio 2011, confermando la decisione di primo grado, respingeva la domanda proposta da C.M. , già dipendente della soc. AMIAT Azienda Multiservizi Igiene Ambientale di Torino , avente ad oggetto il riconoscimento dell' una tantum prevista dall'art. 40 del CCNL Aziende Municipalizzate di Igiene Urbana, nella parte relativa all' esonero agevolato per inidoneità . La ricorrente, operaia raccoglitrice, venne giudicata inidonea alle mansioni di assegnazione, ma non inidonea a svolgere qualsiasi altra attività lavorativa. L'Azienda, quindi, le comunicò l'intenzione di risolvere il rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 40, comma 7, del CCNL e la lavoratrice chiese di essere mantenuta in servizio in mansioni confacenti, ai sensi del comma 8 del medesimo art. 40 sicché l'Azienda le offrì le mansioni di piantone ingressi, offerta questa non accettata ragion per cui l'AMIAT diede seguito al licenziamento senza riconoscimento dell' una tantum . Ad avviso della Corte di appello l'art. 40 del CCNL ricollega l'erogazione dell' una tantum all'esperimento infruttuoso della procedura di riallocazione, mentre nel caso in esame la procedura si era conclusa con una proposta di collocazione alternativa, non accettata dal lavoratore. La contraria interpretazione secondo cui l' una tantum spetterebbe a tutti coloro che non vengono mantenuti in servizio, indipendentemente dal fatto che ciò derivi dal mancato reperimento di mansioni alternative da parte dell'azienda o dalla mancata accettazione di quelle offerte al lavoratore, non poteva condividersi, in quanto, secondo il tenore testuale dell'art. 40 l'applicazione delle successive disposizioni in materia di esonero agevolato è soltanto eventuale tali disposizioni precisano che la risoluzione del rapporto di lavoro con il riconoscimento di una somma una tantum si verifica solo quando sia esperita infruttuosamente la procedura di riallocazione la ratio della corresponsione è quella di aiutare il lavoratore che perde il posto di lavoro a causa delle sue condizioni fisiche e tale logica non ricorre nel caso del lavoratore che rifiuta lo svolgimento delle mansioni alle quali è ancora idoneo e che gli vengono offerte. Per la cassazione di tale sentenza C.M. propone ricorso affidato a due motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c Resiste con controricorso la soc. AMIAT s.p.a Diritto Con il primo motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione su fatto decisivo e controverso art. 360 cod. proc. civ., n. 5 per mancata ammissione della prova testimoniale diretta ad accertare l'effettiva esistenza di posti disponibili nelle mansioni offerte, avendo allegato che nella particolare realtà aziendale dell'AMIAT gli inabili restavano inutilizzati anche nelle mansioni alle quali sarebbero stati idonei. Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione del CCNL Igiene Urbana 31.10.95 art. 360 cod. proc. civ., n. 3 per avere la Corte di appello fornito una interpretazione che contraddice la natura e la finalità delle disposizioni contrattuali esaminate. Osserva la Corte che il primo motivo è funzionale a sostenere la legittimità del rifiuto opposto dalla ricorrente alla proposta aziendale di riallocazione in mansioni diverse. Tuttavia, i motivi che possono avere indotto la C. a non accettare la proposta restano irrilevanti ove l'interpretazione della clausola contrattuale non sia quella accolta dai giudici di merito. È dunque preliminare l'esame del secondo motivo, il quale è fondato, restando assorbito l'esame del primo. L'art. 40 del CCNL Aziende Municipalizzate di Igiene Urbana disciplina l'inidoneità sopravvenuta in servizio. Questa Corte, decidendo su ricorso proposto dalla AMIAT ai sensi dell'art. 420-bis cod. proc. civ., con sentenza del 18 giugno 2012, n. 9967, ha già esaminato la riferita disciplina contrattuale, giungendo ad affermare che, in tema di estinzione del rapporto di lavoro per sopravvenuta inidoneità del lavoratore, l'art. 40 del c.c.n.l. per le aziende municipalizzate di igiene urbana - per cui il lavoratore riconosciuto inidoneo alle mansioni di assunzione o di successiva assegnazione ha diritto ad una somma una tantum in caso di infruttuoso esperimento della procedura di riallocazione - deve essere interpretato nel senso che l'indennità compete in tutti i casi nei quali non sia stato raggiunto l'accordo per lo svolgimento di mansioni alternative, non distinguendo il contratto collettivo tra il caso in cui l'azienda non abbia offerto al lavoratore una mansione diversa e il caso in cui il lavoratore l'abbia rifiutata. Giova ricordare che, nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all'art. 420 bis cod. proc. civ., la pronuncia che la Corte è chiamata a rendere ha una portata che, seppur in misura limitata, è idonea a trascendere il caso di specie nel senso che ha una qualche incidenza anche in altri giudizi che pongono la medesima questione interpretativa della normativa collettiva di livello nazionale. Questa proiezione esterna costituisce il chiaro segno di un'assegnazione di una funzione nomofilattica a questa Corte anche nell'esercizio del sindacato di legittimità sull'interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Il giudice di legittimità, chiamato a svolgere questo nuovo ruolo nell'interpretazione diretta della contrattazione collettiva di livello nazionale, esercita un sindacato che tendenzialmente è modellato ad immagine del sindacato sulle norme di legge Cass., Sezioni Unite, sentenza n. 20075 del 23 settembre 2010 . Deve quindi essere ribadita e confermata in questa sede la riferita interpretazione, indicata da questa Corte nella pronuncia emessa in sede di accertamento pregiudiziale ex art. 420 bis cod. proc. civ A ciò aggiungasi quanto segue, con specifico riferimento alla caso in esame. La sentenza impugnata ha ritenuto l'incongruità logica del riconoscimento dell'incentivo all'esodo non solo al lavoratore che l'azienda non è riuscita a mantenere in servizio, ma anche al lavoratore idoneo a svolgere mansioni diverse ed eventualmente anche equivalenti , che gli vengono offerte e che non accetta. Il denunciato vizio logico non sussiste ove si consideri che, ai sensi del comma 11 dell'art. 40 CCNL, l'offerta da parte dell'Azienda può riguardare anche mansioni non equivalenti, ma inferiori, e così si spiega la necessità di acquisire il consenso del lavoratore ad espletarle. Nel contesto di tale disciplina il rifiuto delle mansioni alternative offerte non può giammai essere considerato pretestuoso, essendo invece il consenso presupposto per la legittimità dell'assegnazione delle mansioni diverse. È noto che è valido il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisce al lavoratore mansioni, e conseguente retribuzione, inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, prevalendo l'interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall'art. 2103 cod.civ. tale patto è valido non solo ove sia promosso dalla richiesta del lavoratore - il quale deve manifestare il suo consenso non affetto da vizi della volontà - ma anche allorché l'iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro, sempreché vi sia il consenso del lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell'accordo Cass. n. 2375 del 2005 . Le mansioni alternative che l'Azienda propone al lavoratore inidoneo alle mansioni per le quali venne assunto o alle quali è stato successivamente adibito costituiscono la rappresentazione della residua possibilità occupazionale, unica alternativa al licenziamento, altrimenti inevitabile. La clausola contrattuale tende dunque, attraverso l'acquisizione del consenso del lavoratore, a integrare le condizioni affinché possa ritenersi valida anche l'offerta di mansioni inferiori. La corresponsione dell' una tantum non costituisce, dunque, un premio per un rifiuto opposto dal lavoratore alla proposta dell'azienda di mantenerlo in servizio, ma una erogazione compensativa della perdita del posto di lavoro sia nell'ipotesi che non siano state reperite in azienda soluzioni alternative adeguate alla residua capacità lavorativa del soggetto, sia in ogni altro caso in cui la soluzione offerta non venga accettata dal lavoratore, posto che in tale caso è mancata l'integrazione della fattispecie complessa che rende legittima la proposta aziendale di mansioni eventualmente anche inferiori. Pertanto il ricorso va accolto e l'impugnata sentenza cassata con rinvio alla Corte di appello di Torino in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.