Guerra tra poveri per aver diritto al lavoro

Il Consiglio di Stato ribalta la sentenza del Tar che aveva respinto il ricorso di una disoccupata la quale si era vista soffiare il posto da una concorrente che non aveva il requisito di reddito previsto dalla specifica disciplina. Ciò in quanto il reddito che va preso in considerazione non è quello previsto dalla denuncia dei redditi bensì dal CUD.

Con la sentenza 4527 depositata il 12 settembre 2013, il Consiglio di Stato il requisito connesso alla valutazione dello stato di disoccupazione che consente l'accesso al pubblico impiego, per la carriera esecutiva. Accesso al pubblico impiego. L’art. 4, d.lgs. 181/2000 prevede, infatti, che le Regioni stabiliscano i criteri per l’adozione da parte dei servizi competenti di procedure uniformi in materia di accertamento dello stato di disoccupazione sulla base di alcuni principi, tra i quali figura, al punto a , quello della conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione . A tale proposito, ha ricordato il Collegio, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 268/2007, ha chiarito al riguardo che la definizione dello stato di disoccupazione, con la fissazione delle evenienze che ne comportano la perdita, ha carattere polivalente e costituisce il presupposto di un numero indefinito e virtualmente indefinibile di regole attinenti alle varie ipotesi e modalità di regolamentazione dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro , come avviene appunto, nel caso di specie, per i soggetti aventi diritto all’avviamento ai sensi dell’art. 16, l. 56/1987. È proprio quindi nell’ottica di tale carattere polivalente”, che la previsione legislativa di tali evenienze assume, che deve essere letta ed interpretata anche la previsione dell’art. 4, lett. a , d.lgs. 181/2000. Vale il reddito indicato nel CUD. In tale corretta prospettiva non può non evidenziarsi e non valorizzarsi, ha precisato la Sezione, la fondamentale circostanza che la concorrente controinteressata, la quale in graduatoria si era posizionata al posto precedente la ricorrente, percepì, nel 2004, un reddito da lavoro di € 9.353,00, superiore alla soglia di € 7.500,00 prevista dalla legge per conservare la qualifica di disoccupata, avendo svolto attività lavorativa con contratto a tempo determinato presso la A.S.L. di Agnone dal febbraio all’ottobre del 2004, come si evince in modo incontestabile dalle risultanze del CUD 2005. E, a tale proposito, ha aggiunto il Collegio, non rileva il fatto che il reddito annuale imponibile quale complessivamente emerge dal Modello unico di dichiarazione dei redditi del 2005, fosse inferiore alla soglia di € 7.500,00, come sembra aver opinato il giudice di prime cure evidentemente sul presupposto che alla determinazione di tale reddito imponibile concorrerebbero anche, in negativo, gli oneri deducibili e, in particolare, le Quote di ammortamento e spese per l’acquisto di beni di costo unitario” per un importo di € 1.972,00 dichiarate dalla controinteressata in tale Modello. È evidente, infatti, che altra è la determinazione del reddito complessivo imponibile, ai fini della dichiarazione annuale che il contribuente deve effettuare per la c.d. autoliquidazione dell’imposta, e altro, invece, lo svolgimento di un’attività lavorativa tale da assicurare, ai sensi dell’art. 4, lett. a , d.lgs. 181/2000, un reddito annuale superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. In questa seconda ipotesi, infatti, l’attenzione del legislatore e la ratio legis sono interamente concentrate e incentrate, appunto, sullo svolgimento di un’attività lavorativa che produca un reddito superiore a quello minimo escluso da imposizione, in quanto l’ordinamento ritiene e presume che, con lo svolgimento di tale attività lavorativa producente un reddito più alto di una certa soglia, la condizione del soggetto che tale attività presti sia incompatibile con la qualifica di disoccupato. Occupato o disoccupato? Ed invero, in linea di principio, precisa il Consiglio di Stato, una persona si potrebbe dire occupata” e non disoccupata” per il solo fatto di avere in corso un rapporto lavorativo dipendente, ancorché la relativa remunerazione sia irrisoria ad es. in quanto l’orario lavorativo è ridottissimo . Si comprende dunque perché il legislatore, in riferimento alle agevolazioni al collocamento dei lavoratori disoccupati, abbia introdotto un correttivo, o se si preferisce una fictio iuris, grazie alla quale si considera ugualmente disoccupato” e ha titolo agli inerenti benefici , anche chi, in realtà, è occupato” ossia parte di un rapporto lavorativo in corso ma da tale occupazione ricava un reddito inferiore ad una certa soglia, discrezionalmente fissata dallo stesso legislatore. Ma se questo è vero, è chiaro che in questo contesto il reddito” da prendere in considerazione è solo quello derivante da quel rapporto di lavoro. Il reddito, infatti, viene in considerazione non come indice delle condizioni economiche generali del soggetto, ma come indice della effettività e consistenza di quel rapporto lavorativo. Deve quindi escludersi che il soggetto, sol perché possa dedurre a fini fiscali degli oneri peraltro connessi, si noti, allo svolgimento di un’ulteriore attività di tipo autonomo professionale o artistica , possa beneficiare di tale deduzione anche a fini che sono del tutto estranei a quelli tributari e, cioè, per mantenere la qualifica di disoccupato” e per beneficiare, quindi, della procedura prevista dall’art. 16 della l. 56/1987. Si tratterebbe di un effetto non solo iniquo – perché potenzialmente in grado di favorire chi, pur avendo superato la soglia del reddito minimo, deduca a fini impositivi dal proprio reddito annuale, finanche fittiziamente, oneri connessi allo svolgimento di altre attività lavorative – ma soprattutto contrario alla ratio dello stesso art. 4 del citato d.lgs. 181/2000, il quale si limita ad escludere la sussistenza o, per meglio dire, la persistenza dello stato di disoccupazione esclusivamente in capo a chi svolga un’attività lavorativa che produca un reddito superiore ad una certa soglia e non già in favore di chi dichiari, per un certo periodo d’imposta, un reddito inferiore a tale soglia, deducendone, più o meno attendibilmente, anche componenti passive. Ne discende, allora, che l’interpretazione seguita dal primo giudice, peraltro implicitamente dato che dall’ellittica motivazione della sentenza impugnata poco o nulla è dato arguire circa il ragionamento in diritto seguito dal TAR, sia fallace e contraria alla ratio della citata disposizione, perché, escludendo che la soglia del reddito minimo fosse stata superata nel caso di specie, il TAR ha posto a base della propria decisione non, come avrebbe dovuto il reddito da lavoro percepito dalla controinteressata nel 2004, che era evidentemente superiore al limite di € 7.500,00, bensì il reddito annuale imponibile di € 7.381,00 risultante dal Modello unico, che invece rileva ad altri, seppur fondamentali, fini tributari, del tutto avulsi, però, dalla materia sul collocamento.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 12 luglio - 12 settembre 2013, n. 4527 Presidente Lignani – Estensore Noccelli Fatto e diritto 1. Con comunicato del 25.11.2004 il Centro per l’Impiego presso la Provincia di Isernia rendeva noto che l’A.S.L. n. 1 Alto Molise” di Agnone aveva inoltrato, ai sensi dell’art. 16 della l. 56/1987, la richiesta di avviamento a selezione di n. 6 Ausiliari specializzati addetti ai servizi tecnico-economali ed ai servizi socio-assistenziali Categoria A – Ex 3° livello , da utilizzare con contratto di lavoro a tempo indeterminato, di cui n. 2 unità riservate alle categorie L.S.U. 2. L’attuale appellante, già ricorrente in primo grado, Teresa D’Agnelli, in quanto iscritta nelle liste ex art. 16 della l. 56/1987, manifestava la propria adesione. 3. Il Centro per l’Impiego stilava apposito elenco dei nominativi nel quale, oltre alla ricorrente, inseriva anche la controinteressata Elisabetta Calella e comunicava tale elenco alla A.S.L. n. 1 Alto Molise”. Questo procedeva alla selezione dei candidati mediante colloquio, ed all’esito stilava la graduatoria nella quale la controinteressata Elisabetta Calella risultava collocata in posizione utile al quarto posto, mentre Teresa D’Agnelli si classificava quinta. 4. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. Molise, quest’ultima impugnava sia l’elenco stilato dal Centro per l’Impiego che la graduatoria dell’A.S.L, eccependo che Elisabetta Calella fosse priva dei requisiti per collocarsi in posizione utile, in quanto aveva svolto attività lavorativa con contratto a tempo determinato presso la A.S.L. di Agnone dal febbraio all’ottobre del 2004, percependo un reddito di € 9.353,00. Reddito superiore alla soglia di € 7.500,00 prevista dalla legge per conservare la qualifica di disoccupato” ai fini in questione. Sicché la stessa illegittimamente era stata inserita nell’elenco dei soggetti aventi diritto all’avviamento a selezione ai sensi dell’art. 16 della l. 56/1987. 5. A sostegno dell’introdotta impugnativa l’interessata deduceva la violazione dell’art. 4 del d. lgs. 181/2000 la violazione dell’art. 1 nn. 1, 3 e 4 dell’Accordo tra il Ministero del Lavoro e le Regioni, oltre che l’eccesso di potere, per errore nei presupposti di fatto e di diritto, e il difetto d’istruttoria. 6. L’Amministrazione provinciale di Isernia, la controinteressata Calella e la A.S.L. n. 1 si costituivano in giudizio, resistendo all’impugnativa. 7. Con la sentenza n. 38 del 26.1.2006 il T.A.R. Molise respingeva il ricorso. 8. Avverso tale sentenza ha proposto appello Teresa D’Agnelli, lamentandone l’erroneità, e ne ha chiesto la riforma. 9. L’appellante ha dedotto, in particolare, il difetto di motivazione e l’errata e/o omessa valutazione delle prove documentali, in quanto il T.A.R. Molise avrebbe mal valutato la documentazione depositata nel primo giudizio, dalla quale si evincerebbe che la controinteressata Calella ha superato la soglia reddituale di € 7.500,00 e, quindi, ha perso la qualifica di disoccupato”, non potendo essere inserita legittimamente nell’elenco dei soggetti da avviare alla selezione prevista dall’art. 16 della l. 56/1987. 10. Si sono costituite in giudizio le appellate Provincia di Isernia ed Elisabetta Calella, chiedendo il rigetto dell’impugnazione. 11. Con ordinanza n. 281 del 5.6.2007 la Sezione V di questo Consiglio ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata. 12. Alla pubblica udienza del 12.7.2013 il Collegio, sentite le parti, ha trattenuto la causa in decisione. 13. L’appello deve essere accolto. 14. L’appellante si duole, anche nel presente grado di giudizio, che Elisabetta Calella sia stata inserita nell’elenco degli avviati a selezione, benché avesse superato per l’anno 2004 il limite di reddito da lavoro di € 7.500,00 per conservare lo stato di disoccupazione, richiesto dalla legge quale requisito necessario per prender parte alla selezione di cui all’art. 16 della l. 56/1987. 15. Nell’impugnata sentenza il T.A.R. Molise, disattendendo tale doglianza, ha invece ritenuto che dall’analisi dei documenti depositati dall’A.S.L. n. 1 di Agnone emergesse univocamente che il reddito raggiunto da Elisabetta Calella in tale arco temporale era inferiore alla suddetta soglia. 16. Dalla dichiarazione dei redditi per l’anno 2004, presentata da Elisabetta Calella e depositata agli atti in primo grado, si evince anzitutto che la stessa avrebbe percepito, in detto anno, un reddito imponibile complessivamente pari ad € 7.381,00, di poco inferiore alla soglia di € 7.500,00, che costituisce il limite reddituale per conservare lo stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 4 del d. lgs. 181/2000. 17. Il T.A.R., benché non abbia espressamente enunciato, al riguardo, le ragioni di diritto che fondano il suo convincimento, sembra aver ritenuto che il reddito da prendere in considerazione, ai fini dell’art. 4 del d. lgs. 182/2000, sia appunto quello annuale imponibile risultante complessivamente dal Modello unico di dichiarazione dei redditi del 2005. Tale reddito imponibile, alla cui determinazione concorrono anche, in negativo, le Quote di ammortamento e spese per l’acquisto di beni di costo unitario ” per un importo di € 1.972,00 dichiarate dalla Calella nel Modello unico, le avrebbe quindi consentito il mantenimento della qualifica di disoccupata”, sicché la stessa sarebbe stata legittimamente inserita nell’elenco dei soggetti aventi diritto all’avviamento, ai sensi dell’art. 16 della l. 56/1987, e poi nella graduatoria della A.S.L. n. 1 di Agnone. 18. La statuizione del primo giudice, sul punto, non va esente dalla censura in questa sede sollevata dall’appellante, la quale deduce che dalle risultanze del CUD 2005 emergere, invece, un reddito da lavoro ben superiore al limite di € 7.500,00. 19. Il Collegio non ritiene condivisibile, infatti, l’interpretazione dell’art. 4 del d. lgs. 181/2000 sulla quale, seppur implicitamente, pare fondarsi il contenuto decisorio dell’impugnata sentenza. 19.1. L’art. 4 del d. lgs. 181/2000 prevede, infatti, che le Regioni stabiliscano i criteri per l’adozione da parte dei servizi competenti di procedure uniformi in materia di accertamento dello stato di disoccupazione sulla base di alcuni principi, tra i quali figura, al punto a , quello della conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione ”. 19.2. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 268 del 13.7.2007, ha chiarito al riguardo che la definizione dello stato di disoccupazione, con la fissazione delle evenienze che ne comportano la perdita, ha carattere polivalente e costituisce il presupposto di un numero indefinito e virtualmente indefinibile di regole attinenti alle varie ipotesi e modalità di regolamentazione dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro ”, come avviene appunto, nel caso di specie, per i soggetti aventi diritto all’avviamento ai sensi dell’art. 16 della l. 56/1987. 19.3. È proprio quindi nell’ottica di tale carattere polivalente ”, che la previsione legislativa di tali evenienze assume, che deve essere letta ed interpretata anche la previsione dell’art. 4, lett. a , del d. lgs. 181/2000. 19.4. In tale corretta prospettiva non può non evidenziarsi e non valorizzarsi la fondamentale circostanza che la controinteressata Elisabetta Calella percepì, nel 2004, un reddito da lavoro di € 9.353,00, superiore alla soglia di € 7.500,00 prevista dalla legge per conservare la qualifica di disoccupata, avendo svolto attività lavorativa con contratto a tempo determinato presso la A.S.L. di Agnone dal febbraio all’ottobre del 2004, come si evince in modo incontestabile dalle risultanze del CUD 2005. 20. Non rileva ai fini che qui interessano il fatto che il reddito annuale imponibile di Elisabetta Calella, quale complessivamente emerge dal Modello unico di dichiarazione dei redditi del 2005, fosse inferiore alla soglia di € 7.500,00, come sembra aver opinato il giudice di prime cure evidentemente sul presupposto che alla determinazione di tale reddito imponibile concorrerebbero anche, in negativo, gli oneri deducibili e, in particolare, le Quote di ammortamento e spese per l’acquisto di beni di costo unitario ” per un importo di € 1.972,00 dichiarate dalla Calella in tale Modello. 21. È evidente, infatti, che altra è la determinazione del reddito complessivo imponibile, ai fini della dichiarazione annuale che il contribuente deve effettuare per la c.d. autoliquidazione dell’imposta, e altro, invece, lo svolgimento di un’attività lavorativa tale da assicurare, ai sensi dell’art. 4, lett. a , del d. lgs. 181/2000, un reddito annuale superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. 22. In questa seconda ipotesi, infatti, l’attenzione del legislatore e la ratio legis sono interamente concentrate e incentrate, appunto, sullo svolgimento di un’attività lavorativa che produca un reddito superiore a quello minimo escluso da imposizione, in quanto l’ordinamento ritiene e presume che, con lo svolgimento di tale attività lavorativa producente un reddito più alto ddi una certa soglia, la condizione del soggetto che tale attività presti sia incompatibile con la qualifica di disoccupato. 23. Ed invero, in linea di principio, una persona si potrebbe dire occupata” e non disoccupata” per il solo fatto di avere in corso un rapporto lavorativo dipendente, ancorché la relativa remunerazione sia irrisoria ad es. in quanto l’orario lavorativo è ridottissimo . Si comprende dunque perché il legislatore, ai fini di cui si ora discute agevolazioni al collocamento dei lavoratori disoccupati abbia introdotto un correttivo, o se si preferisce una fictio iuris , grazie alla quale si considera ugualmente disoccupato” e ha titolo agli inerenti benefici , anche chi, in realtà, è occupato” ossia parte di un rapporto lavorativo in corso ma da tale occupazione ricava un reddito inferiore ad una certa soglia, discrezionalmente fissata dallo stesso legislatore. Ma se questo è vero, è chiaro che in questo contesto il reddito” da prendere in considerazione è solo quello derivante da quel rapporto di lavoro. Il reddito, infatti, viene in considerazione non come indice delle condizioni economiche generali del soggetto, ma come indice della effettività e consistenza di quel rapporto lavorativo. Deve quindi escludersi che il soggetto, sol perché possa dedurre a fini fiscali degli oneri peraltro connessi, si noti, allo svolgimento di un’ ulteriore attività di tipo autonomo professionale o artistica , possa beneficiare di tale deduzione anche a fini che sono del tutto estranei a quelli tributari e, cioè, per mantenere la qualifica di disoccupato” e per beneficiare, quindi, della procedura prevista dall’art. 16 della l. 56/1987. 24. Si tratterebbe di un effetto non solo iniquo – perché potenzialmente in grado di favorire chi, pur avendo superato la soglia del reddito minimo, deduca a fini impositivi dal proprio reddito annuale, finanche fittiziamente, oneri connessi allo svolgimento di altre attività lavorative – ma soprattutto contrario alla ratio dello stesso art. 4 del citato d. lgs. 181/2000, il quale si limita ad escludere la sussistenza o, per meglio dire, la persistenza dello stato di disoccupazione esclusivamente in capo a chi svolga un’attività lavorativa che produca un reddito superiore ad una certa soglia e non già in favore di chi dichiari, per un certo periodo d’imposta, un reddito inferiore a tale soglia, deducendone, più o meno attendibilmente, anche componenti passive. 25. Ne discende, allora, che l’interpretazione seguita dal primo giudice, peraltro implicitamente dato che dall’ellittica motivazione della sentenza impugnata poco o nulla è dato arguire circa il ragionamento in diritto seguito dal T.A.R., sia fallace e contraria alla ratio della citata disposizione, perché, escludendo che la soglia del reddito minimo fosse stata superata nel caso di specie, il T.A.R. ha posto a base della propria decisione non, come avrebbe dovuto per le ragioni sin qui esposte, il reddito da lavoro percepito dalla Calella nel 2004, che era evidentemente superiore al limite di € 7.500,00, bensì il reddito annuale imponibile di € 7.381,00 risultante dal Modello unico, che invece rileva ad altri, seppur fondamentali, fini tributari, del tutto avulsi, però, dalla materia qui trattata e, quindi, estranei al tema controverso del presente giudizio. 26. La sentenza impugnata, quindi, merita integrale riforma, sicché, in accoglimento del ricorso proposto in prime cure da Teresa D’Agnelli, devono essere annullati sia l’elenco stilato dal Centro per l’Impiego sia la graduatoria dell’A.S.L., nella parte concernente la posizione della controinteressata Elisabetta Calella, che aveva perso lo stato di disoccupazione e non poteva quindi essere più utilmente inserita nella graduatoria dell’A.S.L. 27. Attesa la delicatezza degli interessi coinvolti, che concernono il primario bene del diritto al lavoro e i problematici profili interpretativi connessi alla valutazione dello stato di disoccupazione, sussistono gravi ragioni per compensare interamente le spese di entrambi i gradi di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma dell’impugnata sentenza, annulla in parte qua , ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, gli atti impugnati da Teresa D’Agnelli con il ricorso di prime cure. Compensa interamente le spese di entrambi i gradi di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.