Azzerata completamente la condanna a 20 giorni di arresto nei confronti di una donna, che non aveva rispettato il provvedimento del Questore. Nodo gordiano è la validità del foglio di via. Illogico catalogare automaticamente come persona pericolosa la donna dedita alla prostituzione in luogo pubblico.
Eccessivamente rigida la ‘filosofia’ adottata dal Questore, che ha ‘omaggiato’ una donna dedita alla prostituzione di un foglio di via obbligatorio. Difficile comprendere, in sostanza, la collocazione della donna nella categoria delle persone che per il loro comportamento compiono «reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni e la tranquillità pubblica». Soprattutto tenendo presente che, sino ad ora, «il legislatore non ha inteso introdurre norme dirette a vietare l’esercizio della prostituzione in luogo pubblico». Per questo, la decisione della donna di non rispettare il foglio di via obbligatorio emesso dal Questore non è valutabile come reato. Cassazione, sentenza numero 28226, sez. I Penale, depositata oggi ‘Foglio di via’. Condanna in Tribunale, poi confermata in Corte d’Appello pena fissata in «20 giorni di arresto» – con «beneficio della sospensione condizionale» – per la donna che non ha rispettato il foglio di via obbligatorio «emesso nei suoi confronti dal Questore». Per i giudici, in sostanza, il «provvedimento» del Questore è pienamente «legittimo», in quanto la donna, «esercitando la prostituzione per strada, con atteggiamenti scandalosi e adescatori», rientra nella categoria delle «persone socialmente pericolose». Di conseguenza, è corretta, e comprensibile, anche la «condanna» a «20 giorni di arresto». Ma, ad avviso del legale della donna, vi è un vizio di fondo nel ragionamento dei giudici di merito non si può ritenere una persona «socialmente pericolosa» solo per il fatto di «esercitare la prostituzione», soprattutto alla luce della «mancanza di una norma che, nel nostro ordinamento, preveda la prostituzione in luogo pubblico come reato». Pericolosità sociale. Ebbene, l’obiezione del legale della donna si rivela efficace difatti, viene accolta dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, addirittura, azzerano ab origine la vicenda, ritenendo illegittimo il foglio di via obbligatorio emesso dal Questore. Fondamentale, innanzitutto, la constatazione che, normativa alla mano – l. numero 327/1988 –, è stato escluso che «possano essere destinatari delle misure di prevenzione» le persone che «svolgono abitualmente attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume». Rilevante, poi, anche la sottolineatura che «il legislatore non ha inteso introdurre norme dirette a vietare l’esercizio della prostituzione in luogo pubblico». Di conseguenza, «lo svolgimento dell’attività di meretricio in luogo pubblico non costituisce, di per sé, indice di pericolosità», sanciscono i giudici. Peraltro, anche il «riferimento», da parte del Questore, ad «atteggiamenti adescatori e scandalosi» è poco significativo, anche perché dalla «annotazione di polizia giudiziaria» agli atti risulta «semplicemente» che la donna «venne controllata in ora notturna, ferma ai margini della strada, palesemente intenta ad esercitare attività di meretricio». Crolla, quindi, l’ipotesi della «pericolosità» della donna. E vengono meno le ‘fondamenta’ del foglio di via obbligatorio emesso dal Questore. Ciò significa che la decisione della donna di non rispettare il provvedimento del Questore è stata assolutamente legittima.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 maggio – 1° luglio 2014, numero 28226 Presidente Giordano – Relatore Locatelli Ritenuto di fatto Con sentenza del 22.5.2012 il Tribunale di Fermo sez.dist.Sant'Elpidio Mare dichiarava N.I. colpevole del reato previsto dall'art.2 legge numero 1423 del 1956, perché non ottemperava al foglio di via obbligatorio emesso nei suoi confronti dal Questore di Ascoli Piceno che le inibiva di far rientro nel Comune di Porto Sant'Elpidio, fatto commesso il 23.7.2009. Per l'effetto, la condannava alla pena di giorni 20 di arresto, con il beneficio della sospensione condizionale. Con sentenza del 2.7.2013 la Corte di appello di Ancona confermava la decisione dei Tribunale, rigettando in particolare la richiesta difensiva di disapplicare, in quanto illegittimo, il provvedimento del questore secondo cui l'imputata, esercitando la prostituzione per strada con atteggiamenti scandalosi e adescatori, rientrava tra le persone di cui all'art.1 numero 3 della legge numero 1423 del 1956. Avverso la sentenza il difensore ricorre deducendo violazione di legge, illogicità e contraddittorietà della motivazione 1 la Corte di appello ha ritenuto l'imputata persona socialmente pericolosa ai sensi dell'art.1 legge numero 1423 del 1956 per il solo fatto di esercitare la prostituzione, in mancanza di una norma che nel nostro ordinamento preveda la prostituzione in luogo pubblico come reato 2 vizio della motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo ed adeguatamente motivato il provvedimento del Questore di allontanamento obbligatorio con divieto di rientro. Con successiva memoria reitera il motivo di ricorso relativo alla illegittimità del provvedimento del Questore. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice penale è tenuto ad accertare la legittimità del provvedimento amministrativo di rimpatrio con foglio di via obbligatorio previsto dall'art.2 della legge numero 1423 del 1956 alla stregua dei parametri dell'incompetenza, della violazione di legge e dell'eccesso di potere, sia sotto il profilo dello sviamento che delle altre figure sintomatiche di tale vizio elaborate dalla giurisprudenza amministrativa. Sez. 1, numero 916 del 11/02/1997, P.M. in proc. Allegrini, Rv. 207345 . Inoltre, pur essendo interdetto al giudice di sostituire la propria valutazione al giudizio di pericolosità espresso dal Questore, gli è consentito il sindacato di legittimità sul provvedimento, consistente nella verifica della sua conformità alle prescrizioni di legge, tra le quali rientra l'obbligo di motivazione in ordine agli elementi da cui viene desunto il giudizio di pericolosità del soggetto Sez. 1, numero 248 del 13/12/2007 - dep. 07/01/2008, Luciani, Rv. 238767 . Nel caso in esame, il provvedimento del Questore include la ricorrente nella categoria delle persone pericolose ai sensi dell'art.1 numero 3 della legge numero 1423 del 1956 in quanto esercitava la prostituzione con atteggiamenti adescatori e scandalosi ed in ragione di precedenti di polizia per furto, atti osceni ed altro . In riferimento all'esercizio della prostituzione in luogo pubblico occorre rilevare che, a seguito delle modifiche all'art.1 della legge numero 1423 del 1956 introdotte con l'art.2 della legge numero 327 del 1988, è stato escluso che possano essere destinatari della misure di prevenzione coloro che svolgono abitualmente attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume , essendo necessario che il giudizio di pericolosità sia ancorato condotte aventi rilevanza penale d'altra parte occorre considerare che il legislatore non ha inteso introdurre norme dirette a vietare l'esercizio della prostituzione in luogo pubblico. Ne consegue che lo svolgimento dell'attività di meretricio in luogo pubblico di per sé non costituisce indice di pericolosità ai sensi e per gli effetti degli artt.1 numero 3 e 2 della legge numero 1423 dei 1956. Il riferimento ad atteggiamenti adescatori e scandalosi appare una connotazione priva di concretezza fattuale, atteso che dalla annotazione di polizia giudiziaria allegata agli atti risulta semplicemente che la ricorrente venne controllata in ora notturna ore 00.10 ferma ai margini della strada palesemente intenta ad esercitare attività di meretricio . Gli indicati pregiudizi di polizia non trovano alcun riscontro negli atti, né sono richiamati nella sentenza impugnata, la quale fa riferimento ad un'unica condanna alla pena di euro 300 di ammenda per il reato contravvenzionale di atti contrari alla pubblica decenza commessi il 8.7.2007, circostanza da sola palesemente inidonea ad attribuire alla ricorrente la qualifica di persona dedita alla commissione di reati che mettono in pericolo l'integrità morale dei minorenni ovvero la sicurezza e la tranquillità pubblica. L'insussistenza degli elementi addotti a sostegno della ritenuta pericolosità comporta la disapplicazione del provvedimento emesso dal Questore ai sensi dell'art.2 legge numero 1423 del 1956, poiché illegittimo per difetto di motivazione e per sviamento del potere discrezionale. La sentenza deve conseguentemente essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso il 28.5.2014.