Per l’imprenditore, condannato per omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali, non è possibile la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, se non porta a termine il piano di rateizzazione concordato con l’INPS.
Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza numero 24900, depositata il 15 giugno 2015. Il caso. La Corte d’appello di Milano condannava un imputato per il reato ex articolo 2 d.l. numero 463/1983, convertito dalla l. numero 638/1983, in quanto aveva omesso di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti giugno 2007 per una somma di poco superiore ai 3.000 euro. L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando la mancata sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria ai sensi degli articolo 53 e ss. l. numero 689/1981 sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi , previa revoca del beneficio della sospensione condizionale concesso in primo grado. I giudici di merito erroneamente avrebbero ritenuto inefficace la sanzione pecuniaria, vista la complessiva situazione debitoria dell’imputato quest’ultimo ribatteva che l’importo da pagare era modesto e che la sua società versava in una situazione di crisi economico-finanziaria, sfociata poi in fallimento. Criteri da valutare per la sostituzione della pena. La Corte di Cassazione ricorda che, in materia di sostituzione della pena, il giudice deve tener conto sia dei criteri indicati dall’articolo 133 c.p. gravità del reato valutazione agli effetti della pena , sia di quelli previsti dall’articolo 58 l. numero 689/1981 potere discrezionale del giudice nella sostituzione della pena detentiva , in forza dei quali la pena sostitutiva deve essere idonea al reinserimento sociale del condannato ed è condizionata alla positiva presunzione di adempimento delle prescrizioni imposte. Piano di rateizzazione non adempiuto. Nel caso di specie, l’omissione contributiva dell’imputato, «già di per sé di non scarsa rilevanza», era parte di una situazione più ampia di debito verso l’INPS e che il piano di rateizzazione in corso per sanare la sua posizione non era completato alla data dell’udienza preliminare 28 settembre 2011 , in cui si era dato atto del fatto che l’ultimo versamento risaliva all’agosto del 2010 e che perdurava un residuo dovuto. In più, la Corte di legittimità ritiene le deduzioni difensive generiche, soprattutto quelle riguardanti un preteso stato di crisi economico-finanziaria della società, essendo basate esclusivamente sull’intervenuto fallimento, dichiarato però non nell’immediatezza, ma circa 6 anni dopo rispetto alla commissione del reato. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 febbraio – 15 giugno 2015, numero 24900 Presidente Teresi – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 16 maggio 2014, la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 28 settembre 2011, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui all'articolo 2 del decreto-legge numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 del 1983, per avere omesso di versare all'Inps le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nel giugno 2007, per complessivi euro 3.086,00. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo la contraddittorietà, la carenza, la manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria ai sensi degli articolo 53 e seguenti della legge numero 689 del 1981, previa revoca del beneficio della sospensione condizionale concesso in primo grado. Si lamenta, in particolare, che la Corte d'appello avrebbe ritenuto inefficace la sanzione pecuniaria, vista la complessiva situazione debitoria dell'imputato, senza considerare il complesso dei presupposti di cui all'articolo 133 cod. penumero La difesa prosegue affermando che l'importo da pagare era modesto, che la società dell'imputato versava in una situazione di crisi economico-finanziaria che era sfociata nel fallimento del 7 febbraio 2013, che l'imputato è incensurato e che l'inserimento del debito nell'ambito di una ampia situazione debitoria verso I'Inps sarebbe meramente asserito dalla Corte d'appello. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è infondato. Quanto al trattamento sanzionatorio, deve in primo luogo ribadirsi il rilievo secondo cui l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena è adempiuto allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'articolo 133 cod. penumero ex plurimis, sez. I, 25 settembre 2013, numero 3155, rv. 258410 . Il principio trova applicazione in materia di sostituzione della pena, con la precisazione che è necessario tenere conto, oltre che dei criteri indicati nell'articolo 133 cod. penumero , anche di quelli indicati nell'articolo 58 della legge numero 689 del 1981, in forza dei quali la pena sostitutiva deve essere idonea al reinserimento sociale del condannato ed è condizionata alla positiva presunzione di adempimento delle prescrizioni imposte v., ex plurimis, sezione 4, 7 novembre 2013, numero 48574, rv. 258092 . La Corte distrettuale ha correttamente applicato tali principi, evidenziando che l'omissione contributiva dell'imputato, già di per sé di non scarsa rilevanza, è parte di una situazione più ampia di debito verso I'Inps e che il piano di rateizzazione in corso per sanare la sua posizione non era completato alla data dell'udienza dibattimentale del 28 settembre 2011, nella quale si era dato atto del fatto che l'ultimo versamento risaliva alla remoto 4 agosto 2010 e che perdurava un residuo dovuto e ciò senza che la difesa abbia puntualmente contestato la permanenza del debito neanche con il ricorso per cassazione. Del tutto generiche risultano, poi, le deduzioni difensive circa un preteso stato di crisi economico-finanziaria della società, perché esclusivamente basate sull'intervenuto fallimento, dichiarato non nell'immediatezza, ma addirittura circa sei anni dopo rispetto alla commissione del reato per il quale qui si procede. 4. - Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.