L’elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia è integrato dal compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in ambiti temporali circoscritti.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 24727 depositata l’11 giugno 2015. Sufficienza dell’ambito temporale circoscritto. In buona sostanza, gli Ermellini affermano che, per la configurabilità del delitto in parola, non è necessario un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto perché il reato è caratterizzato da un’unità significante costituita da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo. Le doglianze della difesa sull’assenza di dolo programmatico. Nel caso di specie il ricorrente era stato condannato in primo grado dal Tribunale territoriale per estorsione continuata posta in danno dei genitori e per i maltrattamenti resi sempre in danno dei genitori conviventi e della sorella. In parziale difformità il giudice dell’appello, avendo diversamente qualificato la prima fattispecie qualificando il fatto contestato in percosse e minacce, concludeva per la non procedibilità in assenza di querela, mentre confermava il giudizio di responsabilità limitatamente ai maltrattamenti. In sede di ricorso per cassazione, le doglianze della difesa si concentrano soprattutto sulla presunta assenza di abitualità delle condotte poste in essere dal ricorrente in danno della sorella. Inoltre, si evidenzia l’assenza di abitualità anche con riferimento alle vessazioni rese in danno ai genitori, consistendo in reazioni stizzite, occasionali, contingentate nel tempo e motivate dal disagio dell’imputato. Si rilevava infine l’assenza di continuatività nella condotta e del dolo programmatico. Abitualità delle condotte vessatorie. Come si è visto, i giudici del Palazzaccio evidenziano il corretto agire della Corte d’appello territoriale in ordine al riscontro dell’abitualità delle condotte prevaricanti poste in essere dall’imputato nei confronti dei familiari. Ciò che risulta provato dalle dichiarazioni del padre e del cognato del ricorrente con riferimento ad episodi che si sono ripetuti in un arco di tempo non indifferente e con connotazioni ed intensità offensive sostanzialmente analoghe. Affermano i giudici di legittimità che non pare dubbia la natura prevaricante delle condotte abituali dell’imputato e la corrispondente situazione di soggezione dei familiari, passivamente coinvolti dalle stesse. Non è possibile configurare nelle condotte contestate delle mere reazioni stizzite ai rifiuti opposti ai genitori alle richieste del ricorrente, quanto al contrario effettive vessazioni attraverso reazioni gratuite e comunque spropositate, destinate ad alterare il regime di vita ordinario dei familiari, minato dalle ripetute aggressioni fisiche e verbali al verificarsi di modeste situazioni conflittuali. In questa cornice familiare – si legge nella sentenza in commento – di complessiva sofferenza familiare, risultano coerentemente inserite anche le condotte tenute nei confronti della sorella con azioni violente. Sufficienza del dolo generico. Quest’ultimo aspetto induce i giudici di Piazza Cavour a riconoscere la sussistenza del dolo generico, sufficiente al fine di configurare il reato contestato, in quanto non risulta necessario che l’agente abbia perseguito particolari finalità né assume rilievo l’assenza di un plausibile motivo atto a giustificare l’intenzione di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali. La «palese gratuità delle condotte offensive e violente» – così nel testo della sentenza – abitualmente poste in danno dei familiari costituisce, infatti, la conferma logica della consapevolezza in capo al ricorrente del clima di sopraffazione e correlata soggezione e sofferenza provocato dai suoi contegni, radicati e ripetuti nel tempo all’interno del circuito familiare. In questo senso risulta determinante il riferimento alla consapevolezza mostrata dall’imputato quanto ai sacrifici operati dai genitori in conseguenza delle pretese minacciosamente veicolate dallo stesso. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 aprile – 11 giugno 2015, numero 24727 Presidente Milo – Relatore Raddusa Ritenuto in fatto 1. Tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria , M.P. è stato condannato alla pena di giustizia per estorsione continuata posta in danno dei genitori capo A della rubrica del PM e per i maltrattamenti capo F resi sempre in danno dei genitori conviventi e della sorella Rosella . 2. Interposto appello, la Corte di Appello di Lecce , sezione distaccata di Taranto, ha diversamente qualificato il fatto contestato sub A della rubrica in percosse e minacce, concludendo per la non procedibilità in assenza di querela e, confermato il giudizio di responsabilità limitatamente ai maltrattamenti di cui al capo F, ridotto la pena in coerenza. 3. Avverso tale ultima sentenza, tramite il difensore fiduciario, ha interposto ricorso per cassazione l'imputato, all'uopo evidenziando motivazione contraddittoria e illogica, considerando le ragioni sottese alla diversa qualificazione del capo sub A della rubrica, rispetto alla confermata sussistenza degli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi dei maltrattamenti, in particolare avuto riguardo alla presenza di una effettiva sopraffazione in danno dei genitori siccome correlata alle condotte del ricorrente ed alla sussistenza della finalità, prevaricatrice e soggiogante, che dovrebbe colorare il reato ritenuto violazione di legge avuto riguardo all'articolo 572 cod. penumero , considerata l'assenza di abitualità delle condotte poste in essere in danno della sorella e confondendo, nella motivazione , tra l'azione posta in danno della stessa con le sofferenze dolorose causate in ragione di siffatte condotte ai genitori e tralasciando, quanto all'episodio del 30 luglio 2009, la possibile contraddittorietà del dato rispetto a reciproche condotte offensive ed aggressive ancora, l'assenza di abitualità quanto alle vessazioni rese in danno dei genitori, consistendo in reazioni stizzite , occasionali, contingentate nel tempo e motivate dal disagio dell'imputato, giustificate da dinieghi dei genitori e ingerenze sobillanti delle sorelle e risultando, peraltro, siffatte condotte, mai unite da una linea di continuatività né caratterizzate da atteggiamenti di prevaricazione e sopraffazione, desunta erroneamente dalla Corte dalle dichiarazioni del cognato del ricorrente , privo , per quasi tutti gli episodi, di una conoscenza immediata e diretta dei fatti inoltre, si rimarca l'insussistenza dello stato di soggezione e vessazione dei genitori , come confermato dalle valutazioni rese con riferimento al capo A infine, si deduce la insussistenza del dolo programmatico, inadeguatamente motivato dalla Corte, con dati inidonei al fine perché semmai destinati a sorreggere le autonome condotte una volta rappresentate le stesse come mere reazioni stizzite a singole situazioni di contrasto con il padre, segno della sofferenza morale dei ricorrente cagionata dagli insuccessi universitari e professionali. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato e merita la reiezione 2. Così come puntualmente evidenziato in un arresto recente di questa stessa sezione della Corte cfr Sez. 6, Sentenza numero 25183 del 19/06/2012 , Rv. 253041 , integra l'elemento oggettivo dei delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze, fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in ambiti temporali circoscritti. Non è necessario per la configurabilità dei reato in contestazione , un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto perché il reato è caratterizzato da un' unità significante costituita da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un' unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale dei soggetto passivo cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze. 3. Con la sentenza impugnata i giudici distrettuali hanno fatto buon governo di tali principi nel valutare siccome sussistenti i presupposti costitutivi della condotta materiale dei reato contestato. 4. In ordine alla abitualità delle condotte prevaricanti nei confronti dei familiari indicati nella imputazione , segnatamente i genitori e la sorella R., nella decisione impugnata si rinvengono, infatti, puntuali e logici riferimenti fattuali a supporto dell'assunto accusatorio. Sono diversi, in particolare, i riferimenti operati ai contegni violenti ed offensivi manifestati in direzione del padre, con atteggiamento sistematicamente prevaricatore. Si tratta di dati fattuali comprovati dalle dichiarazioni della madre del ricorrente , del padre , oltre che del cognato solo quest'ultimo e solo in parte de relato, rispetto ai racconti dei soggetti immediatamente coinvolti, ma sempre in linea con il narrato degli stessi . Il tutto volto a cristallizzare episodi che si ripetono per un arco di tempo peraltro non indifferente e sempre con connotazioni e intensità offensive sostanzialmente analoghe dalle aggressioni verbali agli spintonamenti ed alle percosse tanto a far tempo dal 2005 si consideri quanto riferito dal padre e dal cognato cfr i fl 7 e 9 della sentenza sino al 2010 l'ultimo episodio riferito dal padre , con condotte che vedono negli anni 2008 sintomatico l'episodio considerato al capo a, caratterizzato da percosse e minacce e 2009 tutti gli episodi dell'estate, culminati negli eventi del 13 agosto 2009, inequivocabilmente fotografati dalle dichiarazioni del padre e del cognato il momento di maggiore intensità dei contegni di sopraffazione e vessazione resi dal ricorrente. 5. Non pare poi dubbia la natura, per l'appunto prevaricante, di siffatte condotte abituali e la corrispondente situazione di soggezione dei familiari, passivamente coinvolti dalle stesse. Diversamente da quanto ritenuto dalla difesa, dal tenore della decisione e della ricostruzione dei fatti conformemente resa dai giudici del merito, emerge con nettezza che non si trattava, solo, di mere reazioni stizzite ai rifiuti opposti ai genitori alle richieste del ricorrente e, dunque, di situazioni occasionali prive di una continuità abituale. Piuttosto, venivano concretate effettive vessazioni, attraverso reazioni gratuite e comunque spropositate, destinate ad alterare il regime di vita ordinario dei familiari, minato dalle ripetute aggressioni fisiche e verbali al verificarsi di situazioni conflittuali dal modesto tenore oggettivo. In questo quadro, assumono un rilievo determinante proprio le considerazioni spese dalla Corte nell'escludere la configurabilità delle estorsioni originariamente ritenute in primo grado laddove si evidenzia che le ragioni motivanti le riscontrare reazioni violente non erano finalizzate ad un lucro ottenere le somme di denaro quotidianamente invocate dal padre, ovvero l'auto e la moto di lusso, tutti beni e disponibilità delle quali il ricorrente non aveva di fatto alcuna necessità quanto piuttosto dalla constante sopraffazione della volontà dei familiari ai suoi voleri esemplare in tal senso la motivazione sottesa ai fatti del 13 agosto laddove la lite era stata ingenerata dalla intenzione del ricorrente di mettere fuori casa i genitori solo per goderne temporaneamente con degli amici . La ragione dei contrasti finiva dunque per costituire spunto per l'affermazione di un sostanziale dominio all'interno dei confini tracciati dalla convivenza familiare anche in questo caso devono ritenersi emblematiche le concrete emergenze del conflitto insorto con il cognato che lo rimproverava sempre per i fatti del 13 agosto . Situazione di prevaricazione cui corrispondeva una sostanziale soggezione dei genitori , disposti sistematicamente a cedere alle pretese , non di rado eccentriche e irrazionali dei figlio, veicolate con i tratti della violenza sopra descritti laddove la speranza di favorire, tramite tale accondiscendenza passiva, il recupero del riequilibrio del ricorrente finiva per convivere con la sistematica sofferenza di vita ebbero ad indebitarsi e perdita di serenità dell'ambiente familiare determinante al fine il riferimento alle dichiarazioni della madre contenute a pagina 5 della motivazione , inequivocabili malgrado il tentativo dei genitori, puntualmente rimarcato in sentenza, di smorzare gli ambiti di responsabilità delle condotte ascritte al figlio, minimizzando il portato dei fatti 6. Alla luce di tali considerazioni, perde di rilievo l'asserito conflitto logico con la negata configurazione della estorsione sia perché, ferme le minacce e percosse comunque riscontrate, si è negato che le stesse fossero funzionali al bene economico perseguito sganciate dalla pretesa patrimoniale sia, ancora, perché la decisione del padre di addivenire alle pretese economiche del figlio, anche se frutto di una scelta finale volontaria colorata dall'umano desiderio di riportare lo stesso dentro spazi di equilibrio e serenità, lascia inalterato il clima di sofferenza ingenerato dalle azioni offensive del figlio e di sostanziale soggezione provocato dalle sue condotte. Soggezione, destinata a fondare i maltrattamenti, ontologicamente diversa dallo stato di coartazione della volontà che costituisce momento costituivo della estorsione. E sempre in questa cornice familiare di complessiva sofferenza familiare risultano coerentemente inserite anche le condotte tenute nei confronti della sorella Rossella, fotografate dai fatti del 30 e 31 luglio. Vicende caratterizzate da momenti di oggettiva gravità, descritti dalla interessata e dal cognato, che non risultano smentiti nel ricorso per contro le affermazioni, labiali, afferenti la reciprocità delle offese non solo è esclusivamente sostenuta dal ricorrente senza trovare conferma alcuna, ma soprattutto perde di rilievo una volta che si intenda leggere gli episodi in questione in termini di ulteriore conferma dei sistema di violenza e sopraffazione generato dai comportamenti del ricorrente nel relativo ambito familiare di riferimento. Non è un caso, infatti, che anche nell'occasione del 31 luglio, come stigmatizzato in sentenza, l'azione violenta ebbe a cessare dopo la consegna di una modestissima somma di denaro, palesemente sproporzionata alla gravità del contegno, segno, ancora una volta più marcato, della volontà di creare un clima di sopraffazione e sofferenza all'interno del nucleo familiare prescindendo dal contesto causale giustificativo della singola ragione di conflitto. 7. Tali ultime considerazioni rendono infine evanescente la contestazione mossa con riferimento al dolo. 7.1. In linea di principio va rimarcato che l'abitualità dei comportamenti vessatori assume un rilievo determinante anche sul versante dell'elemento soggettivo del reato contestato. Per quanto sopra evidenziato, infatti, la compromissione del bene protetto - l'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nell'articolo 572 cod. penumero - deve escludersi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore, essendo necessario, per la configurabilità dei reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale , idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, fatto di sofferenze fisiche e morali. 7.2. In questo quadro, essendo sufficiente al fine il dolo generico, non è necessario che l'agente abbia perseguito particolari finalità ne' assume rilievo l'assenza di un plausibile motivo atto a giustificare l'intenzione di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali piuttosto, occorre la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale rappresentando il dolo un momento unificatore dei singoli episodi , tale da abbracciare e fondere le diverse azioni, siano esse autonomamente delittuose o meno, purché vessatorie nei termini sopra rassegnati. Unitarietà che non va intesa in termini di specifico programma criminoso rigorosamente finalizzato alla realizzazione dei risultato effettivamente raggiunto non occorre, cioè, che debba essere fin dall'inizio presente una rappresentazione della serie degli episodi quel che la legge impone, infatti, è che sussista la coscienza e volontà di commettere una serie di fatti lesivi della integrità fisica e della libertà o dei decoro della persona offesa in modo abituale. Un intento, dunque, riferibile alla continuità dei complesso e perfettamente compatibile con la struttura abituale del reato, da attagliare ad un comportamento che solo progressivamente è in grado di realizzare il risultato. 7.2. Alla luce di tali considerazioni e degli elementi fatto già in precedenza annoverati, non possono che condividersi le considerazioni esposte dalla Corte distrettuale nel ritenere sussistente anche il dolo dei reato contestato. La palese gratuità delle condotte offensive e violente abitualmente poste in danno dei familiari costituisce, infatti, la conferma logica della consapevolezza in capo al ricorrente dei clima di sopraffazione e correlata soggezione e sofferenza provocato dai suoi contegni , radicati e ripetuti nel tempo all'interno dei circuito familiare. Ed in questo senso appare determinante il riferimento , contenuto in sentenza, alla consapevolezza mostrata dall'imputato quanto ai sacrifici operati dai genitori in conseguenza delle pretese minacciosamente veicolate dallo stesso. 8. Alla reiezione dei ricorso segue la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.