Sono assenti, ma il datore li induce a firmare il registro delle presenze del corso di formazione: è reato

Non è censurabile, a livello probatorio, la decisione di merito basata su un rigoroso vaglio dell’attendibilità delle dichiarazioni rilasciate da persone interessate all’esito del giudizio e su un riscontro con puntuali accertamenti di polizia.

È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 28625, depositata il 3 luglio 2013, pronunciandosi su un ricorso presentato dal vice-presidente di un istituto di vigilanza. Il caso. Quest’ultimo era stato ritenuto responsabile del reato di violenza privata per aver minacciato di licenziamento alcuni vigilanti al fine di indurli a firmare il registro delle presenze relativo ai corsi di formazione di un Istituto di formazione professionale di cui era rappresentante il proprio fratello, al fine di fargli beneficiare di un contributo statale pari a una percentuale delle spese documentate. La Corte di Cassazione, inoltre, aveva dichiarato la prescrizione del reato, confermando le statuizioni civili di condanna al risarcimento del danno. Avverso tale sentenza, il ricorrente ha lamentato violazione della regola iuris che vuole sottoposte a rigoroso vaglio di attendibilità le dichiarazioni delle persone interessate all’esito del giudizio, specie laddove le dichiarazioni vengano frazionate e ritenute, in parte, non credibili. Puntuali accertamenti di polizia. La Suprema Corte ha dichiarato che la censura attiene alla prova della responsabilità dell’imputato per il reato contestato e che non è esatto quanto sostenuto dal ricorrente, ossia che i giudici abbiano omesso la verifica delle dichiarazioni delle persone offese e si siano accontentati delle loro affermazioni. Per tale motivo, il ricorso è stato ritenuto infondato infatti, gli Ermellini hanno rilevato che i giudici di merito si sono basati su puntuali accertamenti di polizia, dai quali è emerso che il ricorrente, insieme al fratello, manipolava la realtà, facendo figurare come partecipanti ai corsi, soggetti impegnati, in realtà, in altre mansioni, per il forte interesse che avevano di fornire l’apparenza di una massiccia partecipazione. Tale circostanza, era stata valorizzata dalla Corte territoriale sulla base degli accertamenti della Guardia di Finanza, dai quali era risultato, attraverso il confronto tra il registro delle presenze ai corsi e quello dei turni di servizio, che molti dei dipendenti, dei quali era stata registrata la regolare presenza alle lezioni, negli stessi giorni e negli stessi orari risultavano assenti dal servizio per malattia ovvero impegnati in turni esterni. Alla luce di ciò, per Piazza Cavour non è possibile negare il valore di preciso riscontro logico delle affermazioni fatte in secondo grado, in considerazione della stretta attinenza alle ragioni che muovevano l’imputato a favorire il fratello.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 febbraio - 3 luglio 2013, n. 28625 Presidente Zecca – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza del 13/12/2011, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Crotone, ha ritenuto S.G. responsabile del reato di violenza privata in danno di Sc.Lu. , St.Le. e R.A. e, dichiarata la prescrizione del reato, ha confermato le statuizioni civili di condanna al risarcimento del danno e delle spese di costituzione e difesa delle parti civili. Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, lo S. , vice-presidente dell'istituto di vigilanza crotonese Corpo Vigili Notturni srl, ebbe a minacciare di licenziamento i vigilanti sopra menzionati al fine di indurli a firmare il registro delle presenze relativo ai corsi di formazione nn. 3 e 4 della IAL CALABRIA Istituto di formazione professionale , svoltisi tra OMISSIS e OMISSIS . E ciò fece per consentire al fratello V. , rappresentante dello IAL CALABRIA, di beneficiare di un contributo statale pari all'80% delle spese documentate. Alla base della decisione vi sono le dichiarazioni dei tre vigilanti e gli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria. 2. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse dell'imputato, gli avvocati Mario Nigro e Francesco Verri, che si avvalgono di tre motivi. Col primo lamentano la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., per essere stata violata la regola iuris che vuole sottoposte a rigoroso vaglio di attendibilità le dichiarazioni delle persone interessate all'esito del giudizio, specie laddove le dichiarazioni vengano frazionate e ritenute, in parte, non credibili. Deducono, al riguardo, che la responsabilità dell'imputato è stata affermata sulla base delle dichiarazioni di soggetti dipendenti dell'Istituto di vigilanza che, per altro verso in ordine a pretese di natura economica , non sono stati ritenuti attendibili dalla Corte d'appello. Col secondo deducono vizio di motivazione, ex art. 606, comma 1, lett. e , in quanto la Corte d'appello, sebbene espressamente richiesta, ha omesso di effettuare la prescritta valutazione delle dichiarazioni sopra specificate. Col terzo lamentano, ancora una volta, ex art. 606, lett. e , il contrasto della motivazione con altre prove acquisite al processo. Deducono che i giudici non hanno valorizzato le dichiarazioni del teste Sc. , che avrebbe attestato, in denuncia, di aver partecipato al corso e di non aver ricevuto, per questo, alcun compenso nonché del teste L.R. , che avrebbe affermato di aver partecipato al corso e di essere stato beneficiato, per questo, di diciotto giorni di ferie. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. I motivi sollevati dai ricorrenti possono essere trattati congiuntamente, perché, sotto diversi profili, attengono tutti alla prova della responsabilità dello S. per il reato contestato. All'affermazione di responsabilità i giudici sono giunti sulla base delle dichiarazioni di Sc. , St. e R. , dai quali hanno appreso che S. G. esercitò forti pressioni su di loro per indurli a firmare i fogli di presenza relativi ai corsi nn. 3 e 4 dello IAL CALABRIA, nonché sulla base degli accertamenti della Guardia di Finanza, dai quali risultò, attraverso il confronto tra il registro delle presenze ai corsi e quello dei turni di servizio dell'Istituto di Vigilanza, che molti dei dipendenti, dei quali era stata registrata la regolare presenza alle lezioni, negli stessi giorni e negli stessi orari risultavano assenti dal servizio per malattia ovvero impegnati in turni esterni. Non è esatto, pertanto, quanto sostenuto dai ricorrenti, che i giudici abbiano omesso la verifica delle dichiarazioni delle persone offese e si siano accontentati delle loro propalazioni, giacché, oltre a distinguere, nel racconto dei tre, ciò che era credibile e ciò che non lo era, si sono basati sui puntuali accertamenti di polizia, dai quali è emerso che l'imputato, insieme al fratello, manipolava la realtà, facendo figurare come partecipanti ai corsi soggetti impegnati, in realtà, in altre mansioni, per il forte interesse che avevano di fornire l'apparenza di una massiccia partecipazione. Si tratta di circostanza, valorizzata dai giudici di merito, alla quale non è possibile negare il valore di preciso riscontro logico, in considerazione della stretta attinenza alle ragioni che muovevano l'imputato a favorire il fratello. D'altra parte, non è nemmeno esatto affermare che i giudici di secondo grado abbiano assolto l'imputato dalle restanti imputazioni perché hanno ritenuto non credibili le persone offese, emergendo chiaramente dalla sentenza che la violenza privata contestata con riferimento alle pretese economiche rectius, al fine di indurre i lavoratori a rinunciare alle pretese economiche è stata esclusa perché non è stata raggiunta la prova della fondatezza delle dette pretese nel processo civile notoriamente sottoposto a limiti di prova e perché gli stessi St. , Sc. e R. hanno riferito di aver percepito per il lavoro straordinario prestazioni alternative ovvero retribuzioni in nero non risultanti in busta paga per motivi fiscali pag. 9 della sentenza d'appello . Vale a dire, per motivi diversi dalla accertata inattendibilità dei testi. Né assumono rilievo dirimente le dichiarazioni di Sc. in denunzia, delle quali nulla è dato sapere a questa Corte, cui è notoriamente inibito l'accesso agli atti, e di cui non è dato nemmeno sapere se sono state utilizzate per le contestazioni ovvero quelle di L.R. , che, oltre ad essere ignote a questa Corte, appaiono, nella stessa prospettazione difensiva, irrilevanti ai fini che interessano, giacché allo S. è contestato di aver indotto le parti offese di questo processo a firmare falsi fogli di presenza, e non di aver preteso la loro partecipazione gratuita ai corsi. Il conclusione, la sentenza è immune dalle censure di irragionevolezza mosse col ricorso. Questo va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.