Presta i soldi al convivente: ma se li rivuole indietro, deve dimostrare che non erano in dono

L’attore, il quale chieda la restituzione di somme date a mutuo, è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione. Infatti, l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro, essendo l’attore tenuto a dimostrare, per intero, il fatto costitutivo della sua pretesa.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 9864, depositata il 7 maggio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Roma respingeva la domanda di una donna alla restituzione di alcune somme prestate all’ex convivente durante il periodo in cui vivevano insieme. I giudici di merito rilevavano che le richieste di restituzione erano state avanzate solo dopo la cessazione della convivenza, da cui era nato anche un figlio. Perciò, le attribuzioni patrimoniali avevano una componente che faceva leva sull’affetto e la solidarietà familiare. Questa finalità solidaristica obbligava la donna a dimostrare che il pagamento delle somme portate da assegni incassati dall’ex convivente fosse da ritenere un prestito, ma di ciò non erano stati forniti degli indizi chiari. Anche le missive delle parti con i rispettivi difensori e dei legali tra di loro non avevano particolare valore, poiché da esse non si poteva dedurre un qualche riconoscimento di debito, trattandosi di un carteggio finalizzato a risolvere bonariamente la vicenda. Interpretazione delle lettere. La donna ricorreva in Cassazione, contestando, con il primo motivo, l’errata lettura dell’epistolario intercorso tra le parti, da cui doveva desumersi il riconoscimento, da parte dell’uomo, dell’esistenza del debito. Secondo la Corte di Cassazione, però, le missive antecedenti l’inizio del processo e le affermazioni contenute in atti processuali provenienti dal legale di una parte non hanno valore confessorio, ma solo carattere indiziario, e quindi sono liberamente valutabili dal giudice. Inoltre, pure le dichiarazioni rese dal difensore, anche in giudizio, che contengono affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all’altra parte non hanno efficacia di confessione, ma costituiscono elementi di libero apprezzamento. Perciò, dalla corrispondenza intercorsa tra i due legali non potevano essere estrapolate delle frasi su cui fondare un riconoscimento del debito. Il primo motivo veniva, quindi, rigettato. Contratto di mutuo. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente affermava l’esistenza, tra le due parti, a fondamento dei ripetuti prestiti, di un vero contratto di mutuo. Tuttavia, i giudici di legittimità rilevavano che la ricorrente basava la sua contestazione, richiamando solamente il contenuto del proprio interrogatorio formale, che, però, non può avere valore di prova legale, ma, piuttosto, di mero indizio soggetto alla libera valutazione del giudice. Onere della prova. Inoltre, veniva sottolineato dalla Cassazione che l’attore, il quale chieda la restituzione di somme date a mutuo, è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione. Infatti, l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro, essendo l’attore tenuto a dimostrare, per intero, il fatto costitutivo della sua pretesa. Per cui, la circostanza che il convenuto ammetta di aver ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce un’eccezione in senso sostanziale, che inverte l’onere della prova. Di conseguenza, rimane fermo, a carico dell’attore, l’onere di dimostrare che la consegna del denaro è avvenuta in base ad un titolo che ne imponga la restituzione. La Corte di Cassazione rigettava, quindi, anche il secondo motivo di ricorso. Sono donazioni. Con il terzo motivo di ricorso, la donna desumeva un contratto di mutuo dal complessivo comportamento delle parti. Infatti, i versamenti di denaro non potevano costituire né un’obbligazione naturale, né una donazione di modico valore, che imporrebbe l’uso della forma scritta. Inoltre, la donna, consegnando gli assegni all’ex convivente, da lui poi incassati, aveva sempre preteso che questi le rendesse la ricevuta bancaria dell’incasso. La Corte di Cassazione, tuttavia, ricordava che per le donazioni di modico valore, aventi ad oggetto beni mobili, è sufficiente la traditio, anche in mancanza di atto pubblico. In più, nel caso specifico, i versamenti di denaro non erano avvenuti tutti in un’unica soluzione, bensì in circostanze diverse e distanziate, per cui la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare il carattere non modico dei versamenti. Perciò, anche il terzo motivo, e, di conseguenza, l’intero ricorso veniva rigettato dalla Corte di Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 febbraio – 7 maggio 2014, numero 9864 Presidente Amatucci – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. Sb.Ro. propose opposizione, davanti al Tribunale di Roma, avverso due decreti con i quali gli era stato ingiunto il pagamento, rispettivamente, di L. 316.274.726 e di L. 35.953.210, in favore di S.M. , a titolo di prestiti non restituiti. Nei due atti di opposizione lo Sb. rilevò che le dazioni di denaro da parte della S. , sua ex convivente, erano state determinate dal desiderio di aiutarlo in un momento contingente di difficoltà. La S. si costituì in entrambi i giudizi, contestando la tesi dell'opponente. Il Tribunale, riuniti i giudizi, revocò i due decreti ingiuntivi e condannò lo Sb. al pagamento, in favore della S. , della somma complessiva di Euro 102.258, nonché al pagamento dei tre quarti delle spese di giudizio. 2. La sentenza è stata appellata in via principale dallo Sb. e in via incidentale dalla S. , e la Corte d'appello di Roma, con pronuncia del 26 novembre 2009, in riforma di quella di primo grado, ha accolto l'appello principale ed ha respinto quello incidentale ha respinto, perciò, tutte le domande della S. , che ha condannato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Ha osservato la Corte territoriale che le richieste di restituzione erano state avanzate dalla S. solo dopo la cessazione della convivenza con lo Sb. , convivenza dalla quale era nato anche un figlio. Le attribuzioni patrimoniali, pertanto, avevano “sicuramente una componente che faceva leva sull'affetto e la solidarietà familiare, al fine di far funzionare meglio il menage” il che trovava conferma nel fatto che la stessa S. - come risultava dal carteggio col suo difensore - non era stata in grado di determinare esattamente l'entità della somma. Tale almeno parziale finalità solidaristica obbligava la S. a dimostrare che il pagamento delle varie somme di denaro portate da assegni incassati dallo Sb. fosse da ritenere un prestito ma di tale circostanza la S. non aveva fornito indizi chiari, precisi e concordanti. Quanto alle varie missive delle parti con i rispettivi difensori e dei difensori tra di loro, la Corte - ferma restando l'inutilizzabilità di alcuni documenti già dichiarata dal Tribunale per tardività della produzione - ha osservato che dalle medesime non poteva ritenersi deducibile un qualche riconoscimento di debito, poiché si trattava di un carteggio ispirato dal desiderio di una composizione bonaria della vicenda. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Roma propone ricorso S.M. , con atto affidato a quattro motivi. Resiste Sb.Ro. con controricorso. La ricorrente ha presentato memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 3 , cod. proc. civ., falsa applicazione degli articolo 1988, 2729, 2730 e 2735 del codice civile. Osserva la ricorrente che le dazioni di denaro da lei effettuate in favore dello Sb. non potevano trovare fondamento in un legame familiare che non era mai esistito e comunque le spese che avevano determinato i pagamenti erano state sempre decise dall'ex convivente, il quale si trovava in crisi di liquidità. Oltre a ciò, la corretta lettura dell'epistolario intercorso tra le parti - del quale la ricorrente riporta alcune missive ritenute più significative - dimostrerebbe che il giudice di merito ha errato nella ricostruzione della vicenda, poiché lo Sb. aveva in più occasioni riconosciuto l'esistenza di un debito. 1.1. Il motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che le missive antecedenti l'inizio del processo e le affermazioni contenute negli atti processuali provenienti dal legale della parte non hanno valore confessorio, ma solo carattere indiziario, e come tali possono essere legittimamente utilizzate e liberamente valutate dal giudice ai fini della formazione del proprio convincimento sentenza 8 agosto 2002, numero 11946 come pure ha più volte ribadito che le dichiarazioni rese dal difensore, anche in giudizio, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all'altra parte non hanno efficacia di confessione ma costituiscono elementi di libero apprezzamento da parte del giudice di merito sentenze 16 ottobre 2003, numero 15515, e 8 maggio 2012, numero 7015 . Il che, tra l'altro, è in linea con il principio del nostro diritto processuale secondo cui la confessione, intesa nei termini di cui all'articolo 2730 cod. civ., è atto di parte, sia essa spontanea oppure provocata tramite interrogatorio formale. Nel caso di specie la Corte d'appello si è attenuta a tale giurisprudenza, compiendo una valutazione di merito che non viola le disposizioni di legge invocate nel ricorso la sentenza, infatti, ha osservato che la corrispondenza intercorsa tra i legali delle due parti aveva la finalità di pervenire ad una soluzione del contenzioso esistente tra i due ex conviventi e che “non potevano essere estrapolate frasi al fine di fondare sulle medesime un riconoscimento del debito che in realtà non vi era stato”. A fronte di queste osservazioni - peraltro non censurate in termini di vizio di motivazione - il motivo di ricorso in esame si risolve nell'evidente tentativo di ottenere da questa Corte, dietro l'apparente censura della violazione di legge, una nuova valutazione del merito, non consentita in sede di legittimità. Oltre tutto, è appena il caso di evidenziare che le missive il cui contenuto è in parte trascritto nel ricorso sono tutte di provenienza dei difensori e non della parte direttamente. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 3 , cod. proc. civ., violazione degli articolo 1813 e 1815 del codice civile. Secondo la ricorrente, nel caso specifico esisteva tra le parti, a fondamento dei ripetuti prestiti, un vero contratto di mutuo, come la S. aveva dichiarato nel proprio interrogatorio, completamente ignorato dalla Corte d'appello. 2.1. Il motivo non è fondato. La ricorrente, infatti, pretende di dimostrare l'esistenza di un contratto di mutuo richiamando, peraltro soltanto in parte, il contenuto del proprio interrogatorio formale. È evidente, quindi, che, a prescindere dal profilo dell'ammissibilità di tale interrogatorio - sul quale nel controricorso vi sono contestazioni - è decisivo il fatto che la pro se declaratio non può avere valore di prova legale, ma, semmai, di mero indizio soggetto alla libera valutazione del giudice di merito. 2.2. Va altresì ricordato che, come questa Corte ha affermato più volte, l'attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è, ai sensi dell'articolo 2697, primo comma, cod. civ., tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione l'esistenza di un contratto di mutuo, infatti, non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro che, ben potendo avvenire per svariate ragioni, non vale di per sé a fondare una richiesta di restituzione , essendo l'attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa sentenza 24 febbraio 2004, numero 3642 . In altre parole, la circostanza che il convenuto ammetta di aver ricevuto una somma di denaro dall'attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l'onere della prova con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo a carico dell'attore l'onere di dimostrare che la consegna del denaro è avvenuta in base ad un titolo mutuo che ne imponga la restituzione v., da ultimo, la sentenza 13 marzo 2013, numero 6295 . 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 3 , cod. proc. civ., falsa applicazione degli articolo 769 e 782 del codice civile. Risulterebbe dal complessivo comportamento delle parti che tra le stesse era intercorso un contratto di mutuo i versamenti di denaro, infatti, non potevano costituire né un'obbligazione naturale né una donazione di modico valore, imponendo quest'ultima l'uso della forma scritta. La prova di ciò risiederebbe, tra l'altro, nel fatto che la S. , nel consegnare allo Sb. gli assegni da lui poi incassati, aveva sempre preteso che questi le rendesse la ricevuta bancaria dell'incasso. 3.1. Il motivo non è fondato. Oltre a quanto già rilevato a proposito dei motivi precedenti - con argomentazioni che sarebbero di per sé sufficienti al rigetto anche di questo motivo - è palese che non sussiste l'invocata violazione di legge, perché per le donazioni di modico valore aventi ad oggetto beni mobili è sufficiente la traditio, anche in mancanza di atto pubblico articolo 783 cod. civ. e, d'altra parte, è circostanza pacifica in causa il fatto che i versamenti di denaro non avvennero tutti in un'unica soluzione, bensì in circostanze diverse e distanziate nel tempo, sicché sarebbe stato onere della parte ricorrente dimostrare, in sede di merito, il carattere non modico dei singoli versamenti. Per ciò che riguarda, invece, il valore da attribuire alle ricevute che la S. si sarebbe fatta consegnare dallo Sb. al momento dell'incasso delle somme in banca, si tratta di una valutazione sulle prove che questa Corte non può compiere e comunque, ove pure tale profilo fosse fondato, ciò non potrebbe mai tradursi nella violazione delle richiamate disposizioni di legge in tema di donazione. 4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 3 , cod. proc. civ., violazione dell'articolo 183 del codice di procedura civile. Osserva la ricorrente che nel giudizio di primo grado il Tribunale aveva riunito le due opposizioni ai due decreti ingiuntivi. Nel fare ciò, quel giudice aveva erroneamente ritenuto che alcuni documenti fossero stati depositati fuori termine, in tale modo facendo “prevalere un discutibile precetto formale su quello sostanziale, prescindendo dalla natura dei giudizi, già riuniti”. Da tanto consegue che la declaratoria di inammissibilità sarebbe errata, con conseguente necessità di acquisizione di tutti i documenti espunti dal Tribunale. 4.1. Il motivo non è fondato. Come risulta dal tenore della sentenza impugnata, la S. aveva svolto appello incidentale al solo scopo di vedersi riconoscere una somma maggiore rispetto a quella liquidata dal Tribunale non risulta però - né il motivo in esame lo sostiene in alcun modo - che l'errore procedurale asseritamente compiuto in primo grado sia stato fatto valere in sede di appello, il che implica che il punto non può più essere posto in discussione in questa sede. Oltre a ciò, il motivo non contiene alcuna indicazione, neppure generica, volta a dimostrare la presunta decisività delle prove che sono state escluse dal Tribunale per la tardività della produzione. 5. In conclusione, il ricorso è rigettato. In considerazione, tuttavia, della particolarità della vicenda e degli alterni esiti dei giudizi di merito, la Corte stima equo procedere all'integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.