Cameratismo spinto? No, abuso. Condannato il militare che ha approcciato e minacciato due allieve volontarie

Risibile la tesi difensiva secondo cui l’uomo aveva sempre una condotta molto informale verso i colleghi, soprattutto se di sesso femminile. Significativo il fatto che l’uomo, una volta ricevuto un netto rifiuto ai suoi approcci a sfondo sessuale, abbia minacciato le due allieve, intimando loro il silenzio sull’episodio.

Nessun clima ‘cameratesco’, nessun ‘nonnismo’ post litteram, bensì abuso di potere in piena regola perché il militare in carriera ha puntato tutto sulla propria posizione gerarchica, ‘permettendosi’ approcci esplicitamente sessuali prima e minacce in piena regola poi verso alcune allieve frequentanti il corso di addestramento. Ma la dignità delle giovani donne, capaci di raccontare il fattaccio, si è rivelata assai forte, tanto da condurre alla condanna del militare. Cass., sent. numero 15733/2014, Prima Sezione Penale, depositata oggi Approccio hot. Scenario è la caserma di Ascoli Piceno, più precisamente il ‘Reggimento addestramento volontari’ lì, difatti, un militare, «offendeva l’onere e la dignità» di due ragazze «frequentanti il corso di addestramento», con alcuni espliciti approcci a sfondo sessuale. A rendere il quadro ancora più grave, poi, anche le parole di «minaccia» rivolte dal militare verso le «volontarie», che «avevano rifiutato l’approccio», per avvertirle che «se avessero parlato dell’accaduto con altri, avrebbe creato loro problemi e avrebbe fatto loro passare dei guai». A sorpresa, però, il Tribunale militare di Roma opta per l’assoluzione. Ma questa visione viene smentita dalla Corte militare di appello di Roma i giudici, difatti, dichiarano l’uomo «colpevole del reato continuato di minaccia ad inferiore», condannandolo «alla pena di sette mesi di reclusione militare». Posizione subalterna. Ad avviso del legale dell’uomo, però, è da ‘correggere’ la valutazione compiuta dai giudici di secondo grado, soprattutto perché le «espressioni» rivolte alle due allieve erano «inidonee ad incutere timore e prive di qualsiasi volontà minacciosa», piuttosto esse andavano intese come «mero consiglio». Peraltro, aggiunge ancora il legale, il militare «aveva una modalità di approccio con i colleghi – specie se di sesso femminile – particolarmente ‘informale’». Ma queste obiezioni vengono respinte, in maniera netta, dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, confermando la condanna emessa in secondo grado, fanno proprie le valutazioni compiute in Corte d’Appello, laddove è emerso chiaramente che l’uomo, pur non essendo «un superiore diretto» delle allieve, comunque «rivestiva un grado più elevato delle militari volontarie, che si trovavano in posizione subalterna, anche in ragione della giovane età e della precaria condizione lavorativa». Per questo, «il timore per le possibili iniziative» dell’uomo «aveva compromesso la libertà morale» delle due allieve. Lapalissiano, evidenziano i giudici, che «le minacce erano state poste in essere allo scopo di indurre le militari volontarie a non riferire i fatti ai superiori» e «al fine di occultare comportamenti che avevano turbato la normale vita del reparto».

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 gennaio – 8 aprile 2014, numero 15733 Presidente Siotto – Relatore Locatelli Ritenuto in fatto Con decreto del 29.9.2011 D.A. veniva rinviato a giudizio per i seguenti reati ingiuria aggravata ad inferiore perché, in qualità di maresciallo capo effettivo al Reggimento addestramento volontari Piceno , per cause estranee al servizio e legate ad approcci sessuali, nelle occasioni in cui era comandato in servizio specifico, offendeva l'onore e la dignità delle inferiori di grado, frequentanti il corso di addestramento, Q.S., C.S., D.G., C.V. ed E.V., invitandole esplicitamente ad avere rapporti sessuali con lui, rivolgendo loro espressioni del tipo bei balconcini , belle terrazze, curve di livello , ovvero dicendo che avrebbe preferito entrare nelle camerette delle volontarie per trovarle con indosso solo biancheria intima invece delle uniformi 2 minaccia aggravata nei confronti delle stesse volontarie poiché, dopo che avevano rifiutato l'approccio sessuale, le avvertiva che, se avessero parlato dell'accaduto con altri, avrebbe creato loro problemi e avrebbe fatto foro passare dei guai. In Ascoli Piceno il 2 e 5 luglio 2009. Con sentenza del 29.9.2011 il Tribunale militare di Roma assolveva l'imputato dai reati ascrittigli perché il fatto non sussiste. Con sentenza del 9.1.2013 la Corte militare di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale militare impugnata dal pubblico ministero, dichiarava non doversi procedere per il reato di ingiuria semplice, così modificata l'originaria imputazione di ingiuria ad inferiore, per mancanza della richiesta dei Comandante del corpo necessaria per la procedibilità dell'azione penale dichiarava D.A. colpevole del reato continuato di minaccia ad inferiore commesso ai danni di Q.S. e C.S., condannandolo alla pena di mesi sette di reclusione miliare con concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione. Il fatto era così ricostruito il 2.7.2010 l'imputato approfittando della presenza isolata delle militari presso un veicolo dotato di radio, avvicinandole una alla volta, proponeva a Q.S. di avere un rapporto sessuale in autovettura, quindi le diceva che se avesse parlato con qualcuno le avrebbe creato dei problemi analogamente proponeva a C.S. un incontro sessuale e successivamente passava alle intimidazioni dicendole che se ne avesse parlato con qualcuno l'avrebbe saputo e gli avrebbe fatto passare dei guai . Avverso la sentenza il difensore ricorre per i seguenti motivi 1 omessa motivazione e violazione di legge per avere ritenuto sussistente il delitto di minaccia ad inferiore in presenza di espressioni oggettivamente inidonee ad incutere timore e prive di qualsiasi volontà minacciosa la motivazione è basata esclusivamente sulle deposizioni generiche delle persone offese e la Corte non spende una parola circa la effettiva portata minacciosa di quelle espressioni che ben possono essere intese come mero consiglio mancata confutazione delle specifiche argomentazioni della difesa secondo cui il maresciallo D. aveva una modalità di approccio con i colleghi - specie se di sesso femminile particolarmente informale 2 violazione di legge, contraddittorietà ed illogicità della motivazione che ha ritenuto le ingiurie commesse per cause estranee al servizio mentre ha affermato il contrario in relazione alle minacce, attraverso una erronea interpretazione della nozione di fatti connessi al servizio. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. La Corte di appello ha osservato che, se anche l'imputato non era un superiore diretto delle persone offese, egli rivestiva comunque un grado più elevato delle militari volontarie che si trovavano in posizione subalterna, anche in ragione della giovane età e della precaria condizione lavorativa, con la conseguenza che il timore per le possibili iniziative dell'imputato aveva compromesso la libertà morale delle persone offese ha escluso che la condotta dell'imputato potesse intendersi come un caso di scherzosa attenzione , come sostenuto dal teste caporal maggiore P., non presente ai fatti ha giudicato ininfluente la lettera personale, contenente frasi di elogio e affetto, inviata dalla militare volontaria S.T. all'imputato, trattandosi di allieva non presente ai fatti e che evidentemente aveva ricevuto dal maresciallo D. un trattamento diverso da quello riservato alle allieve Q. e C La denuncia del vizio di omessa motivazione è manifestamente infondata. Le censure concretamente svolte nei motivi di appello non denunciano alcun vizio di legittimità ma si sostanziano nella proposizione, non ammessa in questa sede, di una diversa lettura ed interpretazione dei dati fattuali e delle risultanze probatorie. 2. La Corte militare di appello ha ritenuto l'applicabilità della fattispecie di minaccia ad inferiore prevista dall'articolo 196 comnma 1 cod. penumero mil. pace, non ricorrendo la causa di esclusione prevista dall'articolo 199 cod. penumero mil. pace, sul rilievo che le minacce erano state poste in essere allo scopo di indurre le militari volontarie a non riferire i fatti ai superiori, nonché al fine di occultare comportamenti che avevano turbato la normale vita del reparto. La motivazione è giuridicamente corretta, poiché conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione del reato di minaccia ad inferiore prevista dall'articolo 199 cod. penumero mil. pace, consistente nell'aver commesso il fatto per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, non rileva l'assenza di rapporti gerarchici diretti tra autore e vittima dell'illecito, ma la riconducibilità del fatto a un contesto militare. Sez. 1, numero 40811 del 27/10/2010, Mecoli, Rv. 248441 conforme Sez. 1, numero 19970 del 30/01/2013 , Sorce, Rv. 256179 . Considerata la diversità dei fatti di reato sottoposti al giudizio dalla Corte militare, non è censurabile per contraddittorietà la motivazione del giudice di merito che, con riguardo al diverso reato di ingiuria ad inferiore, non ha ravvisato l'esistenza di un collegamento con cause di servizio nelle profferte ingiuriose rivolte dal ricorrente alle allieve militari. A norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.