Lettera del mafioso al figlio: codice cifrato ragionevolmente presumibile

Il provvedimento volto ad inibire il diritto alla corrispondenza epistolare del detenuto in regime di “41 bis” deve assumersi legittimo nella misura in cui gli elementi concreti sui quali è fondato il sospetto circa la natura cifrata del contenuto della lettera lascino ragionevolmente presumere, anche senza certezza, che l’intento del mittente sia quello di scalfire l’azione di contrasto al crimine organizzato.

Lo ha stabilito la Prima sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 9689, depositata il 27 febbraio 2014 La lettera del boss. Nel caso di specie la missiva di un esponente di spicco di Cosa Nostra trapanese, sottoposto al regime penitenziario del 41 bis, è stata trattenuta dall’Amministrazione penitenziaria su ordine del presidente della Corte di Assise in quanto ritenuta sospetta nel suo contenuto. In dettaglio, il presidente ha opinato nel senso che il contenuto della lettera – indirizzata al figlio del boss – lasciasse alludere ad un codice cifrato, con conseguente elusione dell’articolo 18 ter, L. numero 354/1975, norma volta a presidiare tutte quelle esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati ovvero per ragioni di ordine e di sicurezza dell’istituto penitenziario. Ambiguità del contenuto legittimo sospetto? L’ordinanza presidenziale è stata confermata dal Tribunale adito in sede di reclamo per sindacarne la legittimità in relazione al diritto alla corrispondenza. Anche per il giudice di primo grado, infatti, i dubbi parevano idonei a fondare un sospetto tale da motivare l’inibizione della corrispondenza, e tanto onde evitare che potessero aver seguito ordini di esecuzione di crimini o altri fatti illeciti. Al detenuto non è rimasto che rivolgersi alla Suprema Corte di legittimità, cui sono state evidenziate talune erroneità nelle quali si sarebbe imbattuto il giudice del merito nel confermare la decisione gravata. In disparte il merito della vicenda – vieppiù innervata sulle contraddizioni logiche della lettera, tacciata di contenere riferimenti ambigui e immotivati – la questione giuridica rimessa all’attenzione della massima assise di giustizia ordinaria rileva per la sua oculata quanto chirurgica soluzione. In particolare il ricorrente ha contestato l’apprezzamento del Tribunale nella parte in cui questi – a suo dire – si sarebbe basato su meri sospetti rectius su una mera presunzione di illiceità, priva di adeguata argomentazione a supporto, donde la netta violazione dei principi cristallizzati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in particolare, articolo 8 e dalla Carta Costituzionale articolo 27 e 111 . Mero sospetto e presunzione ragionevole. Ebbene, i giudici del Palazzaccio, richiamata la ratio e le finalità di tutela poste a fondamento del su richiamato articolo 18 ter, hanno osservato come, sebbene gli interventi previsti dalla disciplina in esame non possano giustificarsi in virtù di meri sospetti, risulta altrettanto vero che gli argomenti concreti agli atti del processo – doverosamente da evidenziare ad opera del giudicante – possono, in subiecta materia, tramutarsi in vere e proprie presunzioni idonee a legittimare i poteri inibitori in contestazione. È, dunque, sufficiente, ai fini dell’applicazione della norma, che le risultanze fattuali facciano ragionevolmente dubitare che il contenuto effettivo della missiva sia quello che appare dalla semplice lettura e temere che il detenuto abbia voluto trasmettere un messaggio in aperto contrasto con le esigenze a presidio delle quali è posta la norma di diritto carcerario. Contrasto alla criminalità e degradazione di diritti di rango costituzionale. La lettura offerta dalla Suprema Curia è quanto mai estesa, e desta talune perplessità sol che si ponga a mente il principio del favor rei che nutre il diritto penale sostanziale, processuale o penitenziario che sia. Perplessità che, tuttavia, paiono superabili in virtù della fondamentale esigenza di apprestare un’efficacie azione di contrasto contro la criminalità organizzata, per la quale non sono ammessi sconti dettati da garantismo o buonismo legislativo. La pericolosità dei soggetti destinatari della speciale disciplina vale a disattivare la tutela di certi beni giuridici - ancorché di rango costituzionale, quali appunto la libertà di corrispondenza - in virtù di chiare scelte di politica criminale che necessitano di mantenere una certa e severa linea interpretativa. Facendo applicazione delle coordinate sopra tratteggiate la Corte romana ha ritenuto che il Tribunale avesse fatto corretta applicazione della normativa in questione, per l’effetto confermando la legittimità della sentenza gravata, contestualmente condannando il ricorrente alla refusione delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 – 27 febbraio 2014, numero 9689 Presidente Giordano – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Trapani, con ordinanza del 14/3/2013, rigettava il reclamo proposto da V.V. avverso il provvedimento del presidente della Corte di Assise di Trapani che aveva disposto il trattenimento di una missiva indirizzata al figlio P.V. V.V. è sottoposto al regime detentivo speciale di cui all'articolo 41 bis legge 354 del 1975 ed è imputato davanti alla Corte di Assise di Trapani. Il Tribunale concordava con il provvedimento reclamato in ordine alla presenza di messaggi cifrati e di indicazioni numeriche sospette nella missiva osservava che V. è un rappresentante di spicco di Cosa Nostra nel territorio trapanese e che l'utilizzo di linguaggi criptici e di codici di comunicazione era stato ampiamente dimostrato. Sospetto era il riferimento ad una specifica persona, senza riferimento ad una precedente conversazione, così come sospetta era la specificazione della misura delle scarpe, del tutto inutile, poiché lo scrivente aveva specificato che la misura era la stessa del figlio inoltre l'indicazione delle misure era erronea e ciò suscitava ulteriori sospetti. Il fatto che, in precedenza, la persona nominata avesse effettivamente acquistato delle scarpe sportive al V., che le aveva restituite alla moglie, era circostanza - che la difesa aveva chiesto di provare - che il Tribunale riteneva irrilevante, atteso che essa poteva costituire la giustificazione formale delle frasi indicate, senza escludere il contenuto cifrato della missiva. 2. Ricorre per cassazione V.V., osservando che il semplice sospetto che una missiva possa essere strumento per veicolare all'esterno messaggi dal contenuto illecito non è elemento idoneo a comprimere un diritto di rango costituzionale. Il provvedimento deve essere ancorato a fatti oggettivi, debitamente accertati, ma il Tribunale non aveva ritenuto utile procedere ad accertare i fatti esposti dalla difesa. Il Tribunale si era, così, basato su una presunzione di illiceità estranea alla ratio della norma, così violando gli articolo 8 della CEDU, 27 e 111 della Costituzione. In un secondo motivo, il ricorrente deduce vizio della motivazione la dichiarazione della terza persona che aveva proceduto all'acquisto delle scarpe era stata utilizzata come elemento a carico, così come sarebbe stata utilizzata una dichiarazione di contenuto opposto. Si trattava, quindi, di una lettura preconcetta che non permette alcuna possibilità di difesa. Il ricorrente conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata. 3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato. La norma dell'articolo 18 ter legge 354 del 1975 contempla le esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero ragioni di sicurezza o di ordine all'istituto. Se è vero che non è sufficiente un mero sospetto della sussistenza dei presupposti previsti dalla norma, è anche vero che gli elementi concreti che devono essere evidenziati possono portare ad argomentazioni presuntive non espresse in termini di certezza in altre parole, non deve essere dimostrato che la missiva inviata dal detenuto inciti o ordini la commissione di reati ad esempio che il capo mafioso detenuto con un messaggio criptico ordini un omicidio ovvero contenga messaggi rivolti ad altri partecipi all'associazione mafiosa, così eludendo la ratio del regime di cui all'articolo 41 bis ord. penumero è sufficiente che gli elementi concreti facciano ragionevolmente dubitare che il contenuto effettivo della missiva sia quello che appare dalla semplice lettura e temere che il detenuto abbia voluto trasmettere un messaggio che abbia a che fare con le esigenze indicate dall'articolo 18 ter cit. La motivazione dell'ordinanza impugnata corrisponde a quanto appena enunciato il Tribunale di Trapani non si limita ad affermazioni generiche, che lascino trasparire il semplice sospetto sulle reali intenzioni del detenuto, ma evidenzia ed analizza le anomalie della missiva ad esempio l'insistenza sui numeri e la sua sostanziale inutilità per giungere all'espressione di un timore ragionevole di un contenuto e un destinatario effettivi diversi da quelli apparenti. Tale valutazione è correttamente correlata alla pericolosità del V., ritenuto esponente di spicco di Cosa Nostra nel territorio trapanese. La violazione di legge e il vizio di motivazione denunciati in ricorso, pertanto, non sussistono. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.