Il commercialista paga la ‘mazzetta’ per evitare l’accertamento: non è concussione ma induzione

La ‘mazzetta’, pagata per evitare un doveroso accertamento di irregolarità fiscali effettivamente sussistenti, non rientra nel reato di concussione ma in quello di induzione indebita a dare o promettere utilità.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3722/2014, depositata il 28 gennaio scorso. La fattispecie. Il commercialista del proprietario di un bar si accordava con 2 funzionari dell’Agenzia delle Entrate, dietro sollecitazione degli stessi, per ‘chiudere un occhio’ su alcune anomalie di gestione sotto il profilo tributario e previdenziale. La cifra concordata era di 1.000 euro, ma l’esercente, sospettando anche del proprio commercialista, concordava con la Guardia di Finanza una consegna ‘controllata’ del denaro. In sede di perquisizione venivano rinvenuti 800 euro in possesso dei 2 pubblici ufficiali e 200 euro nella cassaforte del commercialista. Scatta dunque la condanna per il reato di concussione, in concorso con i 2 funzionari dell’Agenzia. Concussione o induzione indebita a dare o promettere utilità? Nel ricorso per cassazione, però, la difesa del professionista lamentava l’insussistenza del fatto e, in subordine, chiedeva la riqualificazione del reato in induzione indebita a dare o promettere utilità art. 319 quater c.p. a seguito delle modifiche normative intervenute legge n. 190/2012 . Gli Ermellini, accogliendo quest’ultima doglianza, affermano che il fatto rientra proprio nella nuova fattispecie di reato, in continuità normativa rispetto alla concussione nella forma previgente. Era stato prospettato un male ‘giusto’. Infatti – viene precisato nel dispositivo – risulta che i pubblici ufficiali avevano prospettato alla vittima un danno in sé lecito in quanto sarebbe conseguito ad un loro doveroso accertamento di irregolarità fiscali effettivamente sussistenti, prospettando quindi un male ‘giusto’, ipotesi rientrante nella nuova figura normativa . In conclusione, i giudici del rinvio dovranno determinare la pena in base alla nuova norma.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 novembre 2013 – 28 gennaio 2014, n. 3722 Presidente Milo – Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto Con sentenza del 31 maggio 2012 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Milano il 10 novembre 2009 condannava S.G. per concorso in concussione. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il 19/12/2006 due funzionari della Agenzia delle Entrate, A. e M. , effettuavano un controllo a carico del bar sito in Milano di tale V.G. e, rilevate anomalie di gestione sotto il profilo tributario e previdenziale, prospettando al V. gravi conseguenze in caso di formalizzazione degli accertamenti, lo inducevano ad accettare un pagamento in loro favore perché non procedessero a denunciare le dette irregolarità. Al fine della conclusione di tale accordo illecito, condotta che le ulteriori indagini dimostravano essere frequente per i due funzionari, questi ultimi chiedevano che il V. facesse agire quale intermediario il suo commercialista, S.G. . Intervenuto costui su iniziativa della vittima, vi era quindi un incontro tra i funzionari, S. e V. quest'ultimo veniva fatto allontanare e gli altri si accordavano per il pagamento di una cifra che veniva indicata da S. al V. in Euro 1000 e che i funzionari avrebbero ritirato presso lo studio del commercialista. S. raccomandava al cliente la necessità di procedere come richiesto da A. e M. attese le gravi irregolarità emerse nella attività imprenditoriale. Varano denunciava i fatti alla GdF, sospettando anche del proprio commercialista, per cui concordava con gli operanti una consegna controllata del denaro. V. consegnava 1000 Euro al S. , con banconote segnate i due funzionari si recavano nello studio del commercialista e all'uscita, sottoposti a controllo, risultavano avere Euro 800 proveniente dalla somma anzidetta. In sede di perquisizione nello studio del S. , nella cassaforte veniva rinvenuta la restante somma di Euro 200. I giudici di merito giungevano alla conclusione del concorso di S. nella attività illecita dei pubblici ufficiali sulla scorta del dato dell'avere il S. trattenuto per sé questa somma, avendo detto alla vittima che l'accordo con i funzionari era per Euro 1000, ritenendo infondata la tesi dell'essere i 200 Euro il denaro corrispondente ad un debito del V. per le prestazioni del commercialista e perciò da questi trattenuto lecitamente ed in accordo con il cliente. La Corte di Appello valutava nel merito le deduzioni della difesa quanto alla ricostruzione del fatto ed al ruolo svolto dal ricorrente, osservando innanzitutto che la difesa basava le proprie conclusioni su circostanze difformi da quelle accertate e, inoltre, rilevava come non potesse invocarsi un ruolo di S. di mero intermediario perché questi si era comunque attivato per garantire ai rei il buon esito dell'operazione, poco importando che non vi fosse stato un precedente accordo. Il ricorrente aveva indotto la vittima ad accettare il pagamento in modo da creare le condizioni per ottenere un personale vantaggio. Secchi propone ricorso con atto a propria firma. Con primo motivo deduce la violazione di legge in ordine all'art. 317 cod. pen. nonché il vizio della motivazione in ordine alla prova dell'accordo tra il S. e i due funzionari. Premette la regola d'esperienza per la quale un mediatore , quale era il S. , in tanto possa ritenersi corresponsabile della concussione in quanto non solo abbia obiettivamente facilitato la condotta del concussore ma abbia agito per specifica collusione con il reo, ad es. persuadendo la vittima o minacciandola deduce la totale assenza nella motivazione della sentenza impugnata di una verifica di una tale situazione. Con secondo motivo deduce il vizio della motivazione in ordine alla dimostrazione dell'avere l'imputato contribuito a costringere la vittima a cedere alle pressione estorsive. La sentenza non offre alcuna motivazione quanto all'avere il S. cercato di convincere il V. a pagare o comunque contribuito ad ingenerare il suo stato di soggezione. Con terzo motivo deduce l'illogicità della motivazione sulla ragione per cui il S. aveva trattenuto la somma di Euro 200,00. La affermazione fatta dalla Corte di Appello in ordine all'avere il S. trattenuto per sé Euro 200 dalla somma di 1000 Euro consegnatagli dalla persona offesa per il pagamento richiesto dai pubblici ufficiali, risulta illogica alla luce di quanto accertato, non essendosi tenuto conto del fatto che il S. aveva ben chiarito come si trattasse di somma a lui dovuta per una diversa prestazione professionale. Il 30 ottobre 2013 il ricorrente presenta ulteriori motivi a propria firma con i quali insiste nell'affermare che non vi è stata una sua attività diversa da quella di mediare tra i rei e la vittima, peraltro nell'interesse di quest'ultimo, senza alcuna condotta mirata a rafforzare la minaccia. Il 6 novembre 2013 il difensore di fiducia presenta una memoria osservando come non sia indicata alcuna condotta aggiuntiva rispetto a quella di mero mediatore e che valesse a rafforzare il metus potestatis indotto dai rei. La somma prelevata di per sé, osserva, non ha funzione nell'ambito del rapporto con i presunti correi che, se del caso, sarebbero vittime di una truffa compiuta dal ricorrente ai loro danni. Inoltre il difensore deduce che il fatto, alla luce delle modifiche intervenute con la legge n. 190 del 20 12, deve essere oggi ritenuto integrare il reato di cui all'art. 319 quater cod. pen L'8 novembre 2013 S.G. ha presentato ulteriore memoria con atto a propria firma ribadendo le sue argomentazioni. Considerato in diritto Il ricorso è fondato solo quanto alla qualificazione del fatto, come dopo specificato. Il primo motivo è infondato innanzitutto sotto il profilo della disciplina del concorso di persone del reato. Il ricorrente ritiene che il concorso di persone nel reato comporti sempre il previo accordo tra i rei e la consapevolezza di ciascuno del ruolo assunto dagli altri. Tale interpretazione non è però corretta in quanto ricorre il concorso nel reato anche quando un soggetto, come ritenuto nel caso di specie, agevoli la condotta delittuosa di altri senza previo accordo e, se del caso, anche se il soggetto agevolato non ne sia consapevole In tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro Sez. Un. Sent. 31 del 22/11/2000 . Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto, a parte il fatto che il ricorrente presuppone, secondo la propria interpretazione dell'art. 110 cod. pen., che si dovesse dimostrare il previo accordo, la sentenza affronta il tema della condotta volutamente agevolatrice del ricorrente, motivando sul punto con un apprezzamento di fatto non sindacabile in questa sede di legittimità. In questo modo si risponde anche agli ulteriori argomenti presenti nelle memorie e motivi aggiunti che intendono negare questa attività agevolatrice essenzialmente sulla base di apprezzamenti in fatto che non possono avere spazio in questa sede. Il terzo motivo è manifestamente infondato in quanto parte dal presupposto che sia accertato che il S. dovesse ricevere Euro 200 dal V. e che a tale titolo, con la consapevolezza del V. stesso, avesse trattenuto per sé i soldi. Ma, in base a quanto accertato dalla sentenza, si tratta di un presupposto chiaramente erroneo. Va invece accolta la deduzione in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto. Lo stesso, difatti, rientra nella nuova ipotesi di reato di cui all'articolo 319 quater cod. proc. pen., in continuità normativa rispetto alla concussione nella forma previgente La successione normativa fra il previgente testo dell'art. 317 cod. pen., quello introdotto dall'art. 1 comma 75 della I. n. 190 del 2012 e quello del nuovo ed autonomo art. 319 quater cod. pen., si colloca all'interno del peculiare fenomeno della successione di leggi penali, disciplinato dal quarto comma dell'art. 2 cod. pen. Sez. 6, Sentenza n. 21701 del 07/05/2013 . Risulta difatti che i pubblici ufficiali avevano prospettato alla vittima un danno in sé lecito in quanto sarebbe conseguito ad un loro doveroso accertamento di irregolarità fiscali effettivamente sussistenti, prospettando quindi un male giusto , ipotesi rientrante nella nuova figura normativa Cass. VI sent. 13047 del 25/02/2013 . In tali limiti il ricorso va accolto con conseguente annullamento della sentenza con rinvio per la sola determinazione della pena in base alla nuova norma. Attesa la soccombenza sostanziale, il ricorrente deve essere altresì condannato alla rifusione spese processuali del presente grado in favore della parte civile costituita. P.Q.M. Qualificato il fatto come induzione indebita ex art. 319 quater cod. pen., annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello d. Milano. Rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di questo grado in favore della Agenzia delle Entrate, costituita parte civile, spese che liquida in complessive Euro 1500.