Dissequestrati beni per 8,1 miliardi di euro: il provvedimento del Gip è abnorme

Beni per 8,1 miliardi di euro sotto sequestro. Il Gip non ha spiegato perché debbano essere considerati ‘profitto del reato’ e, inoltre, lo stesso provvedimento è stato emesso in assenza di una richiesta da parte del pm.

Il caso. Oggetto del ricorso presentato in Cassazione sent. n. 2659/14, depositata il 21 gennaio è il sequestro preventivo di beni delle società della famiglia Riva, funzionale alla confisca per equivalente, sino alla concorrenza della somma complessiva di 8,1 miliardi di euro, nell’ambito del caso ILVA. La Sesta Sezione Penale, dopo aver annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, ha ordinato la restituzione, agli aventi diritto, di quanto in sequestro. Nessuna richiesta da parte del pm. Prima di tutto – osservano i Giudici di Cassazione – il provvedimento impugnato è stato emesso dal Gip non in relazione ad una richiesta cautelare proveniente dal pm. Nello specifico, il Gip aveva integrato il precedente provvedimento di sequestro con un successivo decreto emesso 2 giorni dopo . In pratica – precisano gli Ermellini - il provvedimento impugnato ha autorizzato, in difetto di una correlativa richiesta da parte del pm, una estensione del sequestro preventivo in relazione ad oggetti azioni, quote sociali, cespiti aziendali e a destinatari le società ricorrenti, neanche sottoposte ad indagine riguardo ai fatti di reato oggetto di contestazione del tutto diversi rispetto a quelli indicati nell’originario decreto . E poi – si legge in sentenza – il giudice di merito non ha illustrato le ragioni per cui i beni costituenti oggetto del sequestro debbano considerarsi ‘profitto del reato’ e quindi aggredibili con una misura cautelare reale artt. 19 e 53 d.lgs. n. 231/2001 . Il provvedimento è abnorme. Il provvedimento del Gip, inoltre, è abnorme. Questo, infatti, non risulta inquadrabile normativamente, avendo di fatto consentito, in assenza di una domanda cautelare proveniente dal pm, unico organo in tal senso legittimato, una indebita estensione dell’ambito di applicazione dell’originario vincolo cautelare reale in relazione ad oggetti del tutto diversi da quelli indicati nell’iniziale titolo esecutivo, e a soggetti del tutto estranei alla commissione degli illeciti fonte della loro responsabilità amministrativa ex artt. 19 e 53 d.lgs. n. 231/2001.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 dicembre 2013 – 21 gennaio 2014, n. 2659 Presidente Agrò – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. RIVA ENERGIA s.r.l., MUZZANA TRASPORTI s.r.l. e RIVA ACCIAIO s.p.a. hanno proposto, a mezzo dei loro difensori di fiducia, ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p. avverso il provvedimento adottato dal G.i.p. presso il Tribunale di Taranto in data 17 luglio 2013, a titolo di precisazione del decreto emesso dallo stesso Giudice in data 22 maggio 2013 - sì come integrato anche da un successivo provvedimento del 24 maggio 2013 - avente ad oggetto il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sino alla concorrenza della somma complessiva di Euro 8.100.000.000,00, in relazione alla contestazione di alcuni illeciti amministrativi dipendenti da reato nell'ambito del procedimento originariamente pendente nei confronti della dirigenza della ILVA s.p.a. e successivamente esteso alle società ILVA s.p.a. e RIVA FIRE s.p.a., ai sensi degli artt. 5, 24-ter, comma 2, 25-undecies, comma 2, lett. a , b , c ed h , 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/01, nonché agli artt. 321 c.p.p., 104, 104-bis e 92, disp. att., c.p.p 1.1. In particolare, le società ricorrenti - premesso a di non essere sottoposte ad indagine penale, ciò che le accomuna alla socia di maggioranza RIVA Forni Elettrici b di non essere beneficiane di alcun conferimento a seguito di scissione dell'indagata RIVA FIRE, ciò che ne diversifica la posizione rispetto alla socia di maggioranza RIVA Forni Elettrici e di non essere destinatane del decreto emesso in data 22 - 24 maggio 2013 - tanto che l'esecuzione del vincolo cautelare veniva condotta nei soli confronti di ILVA, RIVA FIRE e RIVA Forni Elettrici - e di essere state tuttavia attinte de facto dal sequestro preventivo, a dispetto dei limiti oggettivi espressamente enunciati nel dispositivo del decreto in data 22 maggio 2013, nonché delle relative motivazioni - pongono preliminarmente in evidenza come il provvedimento del 17 luglio 2013 - estensivo del vincolo in rem nei confronti delle società soggette a controllo, collegamento o influenza dominante di RIVA FIRE, ovvero di RIVA Forni Elettrici - modifichi in modo sostanziale il contenuto dell'originaria misura cautelare e non ne costituisca affatto una mera interpretazione in executivis , costituendo, semmai, l'effetto di un nuovo e separato impulso cautelare. Al riguardo deducono, pertanto, tre motivi di doglianza il cui contenuto viene di seguito sinteticamente illustrato. 1.2. Abnormità del provvedimento adottato il 17 luglio 2013, poiché il G.i.p., dietro un'apparente precisazione in executivis , individua un nuovo e distinto genus patrimoniale, classificato in base a nozioni giuridiche controllo societario, collegamento, ecc. del tutto estranee al dispositivo ed alle motivazioni del sequestro del 22-24 maggio 2013. Si tratta, infatti, di un vincolo cautelare nuovo, che colpisce svariate società estranee a qualsivoglia criterio ascrittivo ex D. Lgs. n. 231/01, e niente affatto beneficiane di alcuna operazione di scissione delle società indagate, costituito dal G.i.p. per via del tutto officiosa, non potendo la domanda del custode -amministratore tener luogo di una indefettibile richiesta cautelare da parte del P.M 1.3. Violazione di legge in relazione alla totale carenza di motivazione del provvedimento impugnato, rilevabile ictu oculi dal suo esame, tenuto conto che la res attinta dal vincolo risulta descritta attraverso nozioni giuridiche astratte, non contenute né logicamente deducibili dal dispositivo della prima cautela, ovvero dalle motivazioni di quella. La relazione del custode-amministratore in data 27 giugno 2013, peraltro, non contiene alcuna motivazione del nuovo vincolo reale, né risulta allegata al provvedimento del G.i.p. in data 17 luglio 2013, onde il meccanismo della motivazione per rinvio non potrebbe neppure in astratto perfezionarsi. 1.4. Nullità del provvedimento ex art. 606, lett. b , c.p.p., in relazione agli artt. 19 e 30 del D. Lgs. n. 231/01, poiché, da un lato, esso non allega, né dimostra, l'ascrivibilità alle società ricorrenti dei reati contestati nell'ambito del procedimento penale, secondo il rapporto di presupposizione invece contestato nei confronti di RIVA FIRE e di ILVA, né afferma che quelle società abbiano mai tratto un profitto-risparmio dall'ipotetica consumazione dei reati-presupposto, dall'altro lato esso non indica in alcuna delle ricorrenti, né potrebbe farlo, un ente beneficiario di scissione, onde tali società non sono colpite neppure in tale veste, sul diverso piano dell'obbligazione civile configurabile ex art. 30 del su citato D. Lgs Le ricorrenti, infatti, sono controllate da RIVA Forni Elettrici, società, quest'ultima, non indagata ed estranea alla genesi e all'incameramento dell'ipotizzato profitto da reato. Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato e va accolto sulla base delle ragioni di seguito esposte. 3. Occorre preliminarmente osservare, sulla base di una pacifica linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte in motivazione, v. Sez. Un., n. 8388 del 22/01/2009, dep. 24/02/2009, Novi da ultimo, Sez. 2, n. 47257 del 20/10/2009, dep. 11/12/2009, Rv. 245368 , che il procedimento di applicazione delle misure cautelari delineato dal codice di rito, con riferimento sia a quelle personali che a quelle reali, postula, come indefettibile antecedente , uno specifico atto propulsivo rappresentato dalla domanda che il pubblico ministero rivolge al giudice. Al riguardo, la stessa Corte Costituzionale sent. n. 4 del 20-22 gennaio 1992 ha osservato, relativamente alla corretta interpretazione dei principii fissati dagli artt. 101, secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, che se, infatti, la domanda della parte privata costituisce espressione del diritto di agire e difendersi e se, ancora, la domanda del pubblico ministero si colloca nell'alveo dell'obbligatorio esercizio dell'azione penale, è evidente, allora, che la configurazione di un giudice autosufficiente e monopolista verrebbe a porsi in stridente antinomia rispetto a quei principi, specie se calati in un modello processuale che dichiaratamente mira ad esaltare il ruolo delle parti ed a preservare, correlativamente, la terzietà del giudice . Se, come si premura di precisare la Relazione illustrativa del Progetto preliminare al codice di proceduta penale, deve essere da un lato esclusa una legittimazione ai provvedimenti cautelari in capo al pubblico ministero . cosi è da escludersi l'adozione di misure cautelari che prescinda dalla iniziativa del pubblico ministero, il quale è, sotto questo profilo, soggetto necessariamente richiedente senza legittimazione a disporre, mentre, per converso, il giudice è soggetto decidente, ma non ex officio . Spetta, dunque, al pubblico ministero il potere esclusivo di promuovere, attraverso la richiesta, il procedimento applicativo delle misure, non diversamente da ciò che accadrebbe ove si configurasse la richiesta stessa alla stregua di un atto di esercizio della azione cautelare sicché, alla domanda formulata dalla parte pubblica corrisponde la genesi di un fenomeno devolutivo che assegna al giudice un potere decisorio, il cui ambito di applicazione ben può essere circoscritto all'interno dei confini tracciati dal devolutum . Ne discende, ancora, che il perimetro del potere delibativo assegnato al giudice non può fuoriuscire dall'alveo tematico tracciato dalla richiesta del pubblico ministero, giacché, ove al giudice stesso fosse riconosciuto uno ius variandi tale da consentirgli di debordare dallo specifico petitum che ha formato oggetto della richiesta, finirebbe per evocarsi in capo all'organo giurisdizionale un potere sostanzialmente officioso, che invece il legislatore ha inteso ripudiare. In tal senso, deve coerentemente escludersi non solo la possibilità che il giudice applichi ex officio una misura cautelare in mancanza di una domanda del pubblico ministero extra petita , ma anche che egli adotti una misura, non già meno severa, bensì, in peius , più grave di quella richiesta ultra petita . Ove si verifichi l'inosservanza della preclusione nascente dal principio della domanda cautelare, si configura, sul piano interpretativo Sez. Fer., 6/9/1990 n. 2668, Palma, Rv. 185652 Sez. III, 8/10/1998, n. 2554, P.M. in proc. Corigliano, Rv. 212169 Sez. VI, 26/6/2003, n. 35106, De Masi, Rv. 226515 Sez. VI, 10/7/2008, n. 33858, P.M. in proc. Maazouzi, Rv. 240799 Sez. 6, n. 29593 del 04/07/2011, dep. 22/07/2011, Rv. 250742 , la nullità - di ordine generale ed assoluta, insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento - dell'ordinanza del giudice, riferita, ai sensi degli artt. 178, lett. b e 179, comma 1, c.p.p., all'iniziativa indefettibile e riservata in via esclusiva al pubblico ministero nell'esercizio dell'azione cautelare. 4. Ebbene, nella vicenda in esame è pacifico che il provvedimento impugnato è stato emesso dal G.i.p. non in relazione ad una richiesta cautelare proveniente dal P.M., ma ad una richiesta di precisazione della portata applicativa di un precedente provvedimento di sequestro adottato dal medesimo G.i.p. in data 22-24 maggio 2013, avanzata il 27 giugno 2013 dal custode e amministratore giudiziario dei beni sottoposti a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente fino alla concorrenza della complessiva somma di Euro 8.100.000.000,00. Su richiesta del custode, in particolare, il provvedimento impugnato ha inteso precisare due aspetti, richiamandosi al decreto di sequestro del 22 maggio 2013 e alla successiva ordinanza del Tribunale del riesame che lo ha confermato a che le azioni, le quote sociali, i cespiti aziendali, le partecipazioni in portafoglio e la liquidità delle società che si ritengono controllate, collegate o comunque sottoposte all'influenza dominante di Riva Fire s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a. ex art. 2359 c.c., ivi incluse quelle controllate da ILVA s.p.a., devono intendersi sottoposti a sequestro preventivo per equivalente sino all'importo sopra considerato, in ciò ritenendosi integralmente condivise le osservazioni svolte dallo stesso custode b che il sequestro dei cespiti aziendali, delle partecipazioni in portafoglio e della liquidità delle società che si ritengano controllate, collegate o comunque sottoposte all'influenza dominante di Riva Fire s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a. deve ritenersi senz'altro esteso all'intero valore di tali beni, sempre sino alla concorrenza della somma sopra indicata, e non li riguarda dunque pro quota , ossia in proporzione al capitale detenuto da Riva Fire s.p.a. e da Riva Forni Elettrici s.p.a. nella società che possiede detti valori. Con il decreto di sequestro preventivo emesso in data 22 maggio 2013 il vincolo cautelare era stato apposto, sino alla concorrenza della complessiva somma di Euro 8.100.000.000,00, con riguardo a beni ossia, denaro, saldi attivi di conti correnti bancari e/o postali, depositi a risparmio, dossier titoli ed eventuali cassette di sicurezza, partecipazioni in altre imprese, beni immobili e mobili registrati, impianti, macchinari, ecc , nella disponibilità, anche mediante interposizione fittizia, ovvero interposizione reale fiduciaria, della società Riva Fire s.p.a., ovvero dell'ente o degli enti eventualmente nati dalla sua trasformazione o fusione - anche per incorporazione - o scissione parziale dunque, beni nella disponibilità sia dell'ente scisso, sia dell'ente, o degli enti, beneficiari della scissione . In via solo residuale, ed in caso di incapienza dei beni sopra indicati, il provvedimento di sequestro aveva esteso il suo oggetto sui beni immobili nella disponibilità - anche mediante interposizione fittizia, ovvero interposizione reale fiduciaria - della società ILVA s.p.a., sempre che non si trattasse di beni strettamente indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello stabilimento siderurgico tarantino. Con successivo decreto del 24 maggio 2013, inoltre, il G.i.p. di Taranto aveva integrato il precedente provvedimento del 22 maggio 2013, specificando che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente nei confronti della Riva Fire s.p.a. poteva essere eseguito anche su rapporti e/o disponibilità finanziarie di qualunque tipo e quale che sia la loro denominazione . Ne discende che il provvedimento impugnato ha autorizzato, in difetto di una correlativa richiesta da parte del P.M., una estensione del sequestro preventivo in relazione ad oggetti azioni, quote sociali, cespiti aziendali, ecc. e a destinatari le società ricorrenti, neanche sottoposte ad indagine riguardo ai fatti di reato oggetto di contestazione del tutto diversi rispetto a quelli indicati nell'originario decreto. Il decreto di sequestro, infatti, aveva come soggetti destinatari Riva FIRE s.p.a. ovvero l'ente, o gli enti, eventualmente nati dalla sua trasformazione o fusione, anche per incorporazione o scissione parziale e solo in via meramente subordinata - in caso di incapienza dei beni della prima - ILVA s.p.a., con particolare riguardo ai soli beni immobili nella disponibilità di quest'ultima, anche mediante interposizione fittizia ovvero interposizione reale fiduciaria . 5. È noto che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è previsto dall'art. 325, comma primo, c.p.p., solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli errori in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali, da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice Sez. Un., n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov Sez. Un., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio Sez. Un., n. 5876 del 28.1.2004, Bevilacqua Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, dep. 11/02/2013, Rv. 254893 . Il provvedimento impugnato, oltre a risultare privo di dispositivo, non espone le ragioni giustificative delle precisazioni fornite alle richieste in tal senso avanzate dal custode, richieste il cui contenuto viene apoditticamente condiviso senza illustrare i motivi della autorizzata estensione, oggettiva e soggettiva, della misura cautelare reale anteriormente disposta. Non viene esplicitato, infatti, il contenuto delle osservazioni svolte dal custode, né vi sono espressamente indicate le ragioni per cui le stesse siano state ritenute fondate. Il formale richiamo, operato nel provvedimento impugnato, alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale eventuali diritti vantati da terzi in buona fede sui beni sottoposti a sequestro possono essere fatti valere nella sede propria, che è quella esecutiva, è genericamente formulato, pretermette il principio della domanda cautelare del P.M. e non spiega le ragioni dell'estensione del sequestro rispetto a soggetti e a beni non ricompresi nel provvedimento cautelare genetico, omettendo peraltro di specificare i motivi per i quali tali beni - facenti capo a società giuridicamente autonome, anche se controllate rispetto a quelle coinvolte nell'indagine - siano stati considerati profitto dei reati associativi ed ambientali oggetto delle imputazioni formulate a carico di persone fisiche poste in posizione apicale nella società controllante, relativamente agli illeciti-presupposto commessi nell'interesse o comunque a vantaggio di quest'ultima. Non vengono illustrate, infatti, le ragioni per cui i beni costituenti oggetto del sequestro debbano considerarsi profitto del reato, e dunque aggredibili con una misura cautelare reale ai sensi degli artt. 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/2001. Peraltro, l'ampliamento dell'ambito di applicazione del sequestro ai beni detenuti dalle società che si ritengano controllate, collegate o comunque sottoposte all'influenza dominante di Riva FIRE s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a. poggia su un presupposto - il rapporto di controllo o di collegamento all'interno di un gruppo di società - la cui esistenza rimane indimostrata, trascurando inoltre la necessaria disamina, con specifico riferimento alla posizione delle società ricorrenti, non solo delle condizioni e dei limiti della responsabilità delle controllanti per quel che attiene ai reati commessi nel contesto delle controllate, ma anche degli effetti e delle correlative implicazioni dell'assunto in tal modo formulato sul piano della configurazione della responsabilità sanzionatoria degli enti. Non è infatti possibile desumere, dalla struttura del provvedimento impugnato, alcun tipo di relazione tra le risorse patrimoniali delle società controllate o soggette ad influenza dominante in tal guisa aggredite dal vincolo cautelare reale e la destinazione impressa al profitto illecito che sarebbe stato ottenuto dalle società indagate e controllanti RIVA FIRE s.p.a. ed ILVA s.p.a In occasione del decreto di sequestro del 22 maggio 2013, il vincolo cautelare aveva colpito il patrimonio di società indagate ILVA e RIVA FIRE , in quanto asseritamente avvantaggiate da un profitto-risparmio di spesa conseguente a reati posti in essere nel loro interesse, nonché il patrimonio di un ente RIVA Forni Elettrici beneficiario della scissione parziale di una delle indagate, e dunque attinto in relazione alla possibile obbligazione solidale di cui all'art. 30 del D. Lgs. n. 231/2001. Per effetto del provvedimento impugnato, di contro, il patrimonio di diverse società - non beneficiane, peraltro, di alcuna operazione di scissione dalle società sottoposte ad indagine - viene sottoposto a misura cautelare in difetto di un'esplicita individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità fissati dal D. Lgs. n. 231/2001. Non è possibile, tuttavia, sulla base di una relazione di controllo o di collegamento societario solo genericamente prospettata, e nell'assenza di un preciso coinvolgimento delle società partecipate nella consumazione dei reati-presupposto, o, quanto meno, nelle condotte che hanno determinato l'acquisizione di un illecito profitto, ricavare l'esistenza di alcun nesso logico-giuridico tra quest'ultimo ed il conseguimento di eventuali illeciti benefici da parte delle controllate. 6. Sulla base delle su esposte considerazioni deve ritenersi, in definitiva, che la disamina dei tratti identificativi del provvedimento impugnato non ne consente una sicura, o quanto meno riconoscibile, collocazione fra i modelli di atto processuale tipicamente delineati dal sistema e ne rivela, per converso, aspetti di abnormità strutturale che lo pongono fuori dell'ordinamento, con l'esigenza della sua conseguente rimozione. Invero, deve considerarsi affetto da abnormità, secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale elaborato in questa Sede, non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo Sez. Un., n. 17 del 10/12/1997, dep. 12/02/1998, Rv. 209603 in motivazione, da ultimo, v. Sez. Un., n. 25957 del 26/03/2009, dep. 22/06/2009, Rv. 243590 . Provvedimento abnorme, dunque, è quello che presenta anomalie genetiche o funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo processuale ex multis, v. S.U., 18-6-1993, P.M. in proc. Garonzi S.U., 24-3-1995, P.M. in proc. Cimili S.U., 9-7-1997, P.M. in proc. Balzan S.U., 9-7-1997, P.M. in proc. Quarantelli S.U., 10-12-1997, Di Battista, cit. S.U., 24-11-1999, Magnani S.U., 24-11-1999 confl., giur. in proc. Di Dona S.U., 22-11-2.000, P.M. in proc. Boniotti S.U., 31-1-2001, P.M. in proc. Romano S.U., 11-7-2001, P.G. in proc. Chirico S.U., 29-5-2002, Manca S.U., 25-2-2004, P.M. in proc. Lustri . Nel caso in esame, come si è rilevato, il provvedimento impugnato non risulta inquadrabile normativamente, avendo di fatto consentito, in assenza di una domanda cautelare proveniente dall'unico organo in tal senso legittimato, ossia dal P.M., una indebita estensione dell'ambito di applicazione dell'originario vincolo cautelare reale in relazione ad oggetti del tutto diversi da quelli indicati nell'iniziale titolo esecutivo, e a soggetti del tutto estranei alla commissione degli illeciti fonte della loro responsabilità amministrativa ex artt. 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/2001. L'esecuzione di quel vincolo è stata in tal modo reiterata, senza individuare le ragioni poste alla base della correlativa imputazione di responsabilità degli enti e senza illustrare i motivi per cui i beni individuati come oggetto del sequestro dovessero considerarsi profitto del reato ai fini sopra indicati. 7. In conclusione, in accoglimento dei motivi di ricorso, deve disporsi l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, con il dissequestro e la restituzione delle cose sequestrate agli aventi diritto. La Cancelleria curerà l'espletamento degli incombenti previsti dall'art. 626 c.p.p P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e ordina la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p