Vittoria per due dipendenti di una municipalizzata operativa nel settore della raccolta dei rifiuti. Riconosciuto il colpevole inadempimento dell’azienda, che dovrà anche versare loro un risarcimento pari a 688 euro a testa, pari alla spesa da loro sostenuta per il lavaggio degli indumenti di lavoro in lavanderie private.
Condannata l’azienda municipalizzata – operativa nel settore della ‘raccolta dei rifiuti’ – che non ha provveduto alla manutenzione e al lavaggio dei giubbotti e dei pantaloni forniti ai dipendenti impiegati in strada quali operatori ecologici. Logico, secondo i Giudici, catalogare quegli indumenti come ‘Dispositivi di protezione individuale’. Evidente, quindi, l’inadempimento realizzato dalla società che ora dovrà anche risarcire due lavoratori Cassazione, ordinanza numero 25401/19, sez. VI Civile-Lavoro, depositata oggi . Lavaggi. A inchiodare la società alle proprie responsabilità hanno provveduto i Giudici di appello. Essi, ribaltando la valutazione compiuta dal Tribunale, hanno accolto la domanda avanzata da due lavoratori, impiegati come operatori ecologici, e finalizzata a vedere riconosciuto «l’obbligo dell’azienda di provvedere alla manutenzione dei ‘Dispositivi di protezione individuale’ loro assegnati», cioè «giubbotti e pantaloni», e «al loro lavaggio». A corredo è stato anche sancito il diritto dei due lavoratori a percepire dall’azienda «il risarcimento», quantificato in 688 euro a testa, «del danno subito per gli oneri economici sostenuti per i lavaggi» degli indumenti aziendali «effettuati presso lavanderie private». Decisiva per i Giudici l’evidente «natura protettiva dell’igiene e della sicurezza degli indumenti in questione» in relazione «alle mansioni svolte di operatori ecologici addetti alla raccolta di rifiuti solidi urbani» Protezione. Inutile il ricorso in Cassazione proposto dai legali dell’azienda. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è corretta la prospettiva adottata in Appello, laddove si è adeguatamente tenuto conto della «tipologia di indumenti» e della loro funzione a fronte delle mansioni svolte dai lavoratori. In sostanza, non vi possono essere dubbi sul fatto che «i giubbotti e i pantaloni assegnati» ai due operatori ecologici «servivano a fini igienici, ovvero di protezione dei lavoratori in quanto esposti a polvere e rifiuti, e dunque finalizzati a fungere da schermo rispetto ad agenti patogeni di pregiudizio alla salute». Di conseguenza, è logico parlare in questo caso, e per gli indumenti in questione, di «obbligo del datore di lavoro» di provvedere alla loro manutenzione e al loro lavaggio, essendo essi catalogabili come ‘Dispositivi necessari per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori’. Evidente, perciò, il colpevole inadempimento, in questo caso, dell’azienda, che, come detto, dovrà anche risarcire i due operatori ecologici per le spese da loro sostenute per il lavaggio di giubbotti e pantaloni.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 8 maggio – 9 ottobre 2019, numero 25401 Presidente Curzio – Relatore Leone Rilevato che La Corte di appello di Napoli con la sentenza numero 7525/2017 aveva accolto l'appello proposto da Se. Anumero e Ba. Gi. avverso la decisione con la quale il locale tribunale aveva rigettato la domanda dagli stessi diretta al riconoscimento dell'obbligo di A.S.I.A Napoli, di cui erano dipendenti, di provvedere alla manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale DPI prevista e accertata dal D.Lgs. numero 81/2008 PI loro assegnati ed al loro lavaggio, oltre che il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno subito per gli oneri economici sostenuti per i lavaggi effettuati presso lavanderie private. La corte territoriale, accertata la natura protettiva dell'igiene e sicurezza degli indumenti in questione, in relazione alle mansioni svolte di operatori ecologici addetti alla raccolta di rifiuti solidi urbani, riteneva sussistente l'obbligo di manutenzione in questione a carico della società, liquidando il danno subito da ciascun lavoratore equitativamente in complessivi Euro 688,00 oltre interessi legali dalla decisione al saldoAvverso tale decisione proponeva ricorso la A.S.I.A. Napoli affidato a due motivi. Il Se. e il Ba. rimanevano intimati. Veniva depositata proposta ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c. ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio. Considerato che 1 Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli articolo 74ss. D.Lgs. numero 81/2008 in relazione all'articolo 360 co.1 numero 3 c.p.c. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed erronea interpretazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie. Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia la nozione di D.P.I. . 2 Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli articolo 74 ss. D.Lgs. numero 81/2008 in relazione all'articolo 360 co.1 numero 3 c.p.c. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed erronea interpretazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie. Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia la sussistenza o meno dell'obbligo aziendale di fornire ai lavoratori D.P.I. . Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti al medesimo presupposto di identificazione dei Dispositivi di Protezione Individuale DPI e dell'accertamento del conseguente eventuale obbligo in capo al datore di lavoro. Se pur si superino i profili di inammissibilità delle censure per il confuso contestuale richiamo a vizi di violazione di legge e di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione quest'ultima non più ammissibile a seguito della riformulazione dell'articolo 360 co numero 5 c.p.c - SU Cass. numero 8053/2014 , se ne deve comunque affermare la infondatezza. Deve premettersi che questa Corte, con riferimento a fattispecie relativa ad una lavoratrice addetta ad attività di pulizia delle vetture dei treni, ha chiarito che In tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, gli indumenti con funzione protettiva dal contatto con sostanze nocive o patogene rientrano tra i dispositivi di protezione individuale, previsti dall'articolo 40 della I. numero 626 del 1994 applicabile ratione temporis , sicché rispetto ad essi è configurabile un obbligo a carico del datore di lavoro di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza Cass. 18674/2015 . Ha invece escluso la esistenza dell'obbligo e la natura di DPI in caso di indumenti che per le loro caratteristiche di capi comuni di abbigliamento tute di stoffa e la loro funzione di vestizione in quanto strumentali al solo scopo di mera preservazione degli abiti civili dell'attuale ricorrente dalla ordinaria usura connessa all'espletamento dell'attività lavorativa cass. numero 5176/2014- Cass. numero 29760/2017 Risulta quindi dirimente, rispetto alla valutazione cui il Giudice è chiamato, la corretta individuazione della concreta fattispecie ed in particolare della tipologia di indumenti cui essa si riferisce. Con accertamento di merito in questa sede non rivedibile, la corte territoriale ha accertato pg 5 sentenza che i giubbotti e pantaloni assegnati servivano a fini igienici ovvero di protezione dei lavoratori in quanto esposti a polvere e rifiuti, e dunque finalizzati a fungere da schermo rispetto ad agenti patogeni di pregiudizio alla salute. La valutazione così svolta deve quindi far ritenere che la conclusione cui la corte territoriale è addivenuta circa la natura di DPI degli indumenti in questione risulta coerente con la individuazione della esistenza dell'obbligo datoriale di manutenere i Dispositivi necessari per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, trattandosi di ricorso vertente su questioni sulle quali esiste un orientamento consolidato della Corte rispetto al quale non sussistono ragioni per discostarsi Cass.numero 7155/2017 conf. Cass.numero 4366/2018 . Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'articolo 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio, introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 legge di stabilità 2013 trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame Cass. numero 22035 del 17/10/2014 Cass. numero 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso nulla per le spese. Ai sensi dell'articolo 13 comma quater del D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.