Il compenso del curatore fallimentare in caso di assenza dell’attivo

Il compenso del curatore fallimentare va determinato applicando le percentuali sull’attivo se esistente e quelle sul passivo secondo i criteri di cui all’articolo 1 d.m. numero 570/1992.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 20664/19, depositata il 31 luglio. La vicenda. Il Tribunale di Roma liquidava il compenso finale di un curatore fallimentare in poco più di 800 euro, ai sensi della’rt. 4, comma 1, d.m. numero 30/2012 in considerazione che l’attivo realizzato era pari a zero. Il decreto è stato impugnato dal curatore con ricorso per cassazione dolendosi della violazione degli articolo 39 l. fall. e 1, comma 2, d.m. numero 30/2012. In particolare, il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto applicare la norma citata che prevede un compenso ulteriore per scaglioni in percentuali progressive rispetto al passivo. Criteri di liquidazione del compenso. La giurisprudenza ha già avuto modo di esprimersi sul tema ricordando che il compenso del curatore fallimentare va determinato applicando le percentuali sull’attivo se esistente e quelle sul passivo secondo i criteri di cui all’articolo 1 d.m. numero 570/1992. La somma minima liquidabile, ai sensi dell’articolo 4, deve essere riconosciuta a garanzia dell’organo del fallimento solo se i predetti criteri conducono ad una liquidazione inferiore. Aggiunge inoltre il Collegio che la liquidazione del compenso del curatore fallimentare deve essere specificamente motivata mediante l’indicazione dei criteri applicati a pena di nullità del decreto. L’articolo 1 d.m. numero 30/2012, applicabile ratione temporis, prevede che il compenso del curatore del fallimento sia liquidato dal tribunale a norma dell’articolo 39 l. fall. tenendo conto «dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, dell’importanza del fallimento, nonché della sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni e deve consistere in una percentuale sull’ammontare dell’attivo realizzato non superiore a determinate misure». Ripercorsi i vari criteri previsti del citato decreto in relazioni agli aumenti percentuali previsti, la sentenza precisa che in caso di assenza o insufficienza dell’attivo il compenso deve essere determinato applicando anche le percentuali sul passivo, ferma restando la somma minima liquidabile. Non avendo nel caso di specie il Tribunale rispettato tali principi, la sentenza viene cassata con rinvio al Tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 – 31 luglio 2019, numero 20664 Presidente Didone – Relatore Amatore Fatti di causa 1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Roma ha liquidato il compenso finale in favore del curatore del fallimento della in Euro 811,35, a norma del D.M. 25 gennaio 2012 numero 30, articolo 4, comma 1, ponendolo a carico dello Stato e tenendo conto che l’attivo realizzato era pari a zero. 2. Il decreto, pubblicato il 20 maggio 2015, è stato impugnato dal curatore M.F. con ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo. Il Ministero dell’Economia e il Ministero della Giustizia, intimati, non hanno svolto difese. La causa, assegnata alla Sesta Sezione-Prima Civile, è stata rimessa per la discussione in pubblica udienza con ordinanza del 9.12.2016. Ragioni della decisione 1.Con il primo ed unico motivo di doglianza la parte ricorrente lamenta violazione della L. Fall., articolo 39, e D.M. 25 gennaio 2012, numero 30, articolo 1, comma 2, nonché omessa motivazione del decreto impugnato si duole, più in particolare, che il tribunale avrebbe dovuto applicare l’articolo 1, comma 2, del medesimo D.M., che prevede un compenso ulteriore a scaglioni in percentuali progressive sull’ammontare del passivo che, nella specie, era pari ad Euro 32.492.788,85. 2. Il ricorso deve ritenersi fondato. 2.1 Sul punto è necessario ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha già precisato, nel vigore della previgente normativa di cui al D.M. 28 luglio 1992, numero 570, riprodotta, nel suo impianto normativo, nel D.M. 25 gennaio 2012, numero 30, qui applicabile che il compenso del curatore fallimentare va determinato, in forza dei criteri di cui al D.M. numero 570 del 1992, articolo 1, applicando le percentuali sull’attivo se esistente e quelle sul passivo, mentre la somma minima liquidabile ex articolo 4 del citato decreto ministeriale va riconosciuta, a garanzia dell’organo del fallimento, solo se i menzionati criteri conducano alla liquidazione di un compenso inferiore a quello minimo Cass., Sez. 1, Sentenza numero 20111del 07/10/2015 . 2.2 Va infatti ricordato che la liquidazione del compenso del curatore fallimentare deve essere specificamente motivata mediante l’indicazione dei criteri seguiti, ai sensi della L. Fall., articolo 39, in relazione alla disciplina regolamentare richiamata D.M. 25 gennaio 2012, numero 30 , risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione Sez. 1, Sentenza numero 6202 del 15/03/2010 . Orbene, l’articolo 1, del Decreto 28 luglio 1992, numero 570 riprodotto, nel suo contenuto precettivo, nel D.M. 25 gennaio 2012, numero 30, articolo 1, qui applicabile ratione temporis dispone che il compenso al curatore del fallimento è liquidato dal tribunale a norma del R.D. 16 marzo 1942, numero 267, articolo 39, tenendo conto dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, dell’importanza del fallimento, nonché della sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni, e deve consistere in una percentuale sull’ammontare dell’attivo realizzato non superiore a determinate misure. Inoltre, al curatore è corrisposto, sull’ammontare del passivo del fallimento, un compenso supplementare dallo 0,19% allo 0,94% sui primi 81.131,38 Euro e dallo 0,06% allo 0,46% sulle somme eccedenti tale cifra. L’articolo 4 del cit., comma 1, decreto, poi, prescrive che il compenso liquidato a termini degli articolo 1, 2 e 3, non può essere inferiore, nel suo complesso, ad Euro 811,35, salvo il caso previsto dall’articolo 2, comma 1 ossia, nell’ipotesi di cessazione dalla carica prima della chiusura delle operazioni di fallimento. Va tuttavia precisato che l’ipotesi di liquidazione del compenso in assenza o insufficienza di attivo, invece, non è contemplata dal predetto decreto ministeriale, come giustificante una liquidazione che prescinda dai criteri dettati dall’articolo 1. Anche in tal caso, dunque, il compenso deve essere determinato, applicando le percentuali sull’attivo se esistente e quelle sul passivo, mentre la somma minima liquidabile è determinata a garanzia dell’organo del fallimento, nelle ipotesi in cui i criteri dettati dall’articolo 1, conducano alla liquidazione di una somma inferiore a quella minima. Per contro, nella concreta fattispecie in esame, il provvedimento del tribunale, pur contenendo il riferimento alla consistenza dell’attivo pari a zero , ha, senza alcuna giustificazione, liquidato la somma minima prevista nel cit. articolo 4, pur essendo applicabile il criterio basato sull’entità del passivo, posto che solo l’applicazione del criterio basato sull’attivo avrebbe comportato la liquidazione di somma inferiore al minimo previsto dal D.M Da ultimo, va segnalato che dovrà essere cura del giudice delegato - in esplicazione dell’esercizio della sua generale funzione di controllo e di vigilanza sulla procedura fallimentare, già prevista dalla L. Fall., articolo 25, comma 1, - verificare un possibile esercizio distorsivo da parte del curatore delle prerogative previste dall’articolo 102, medesima legge, attraverso la mancata attivazione dello strumento di non farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo pur in presenza di una prognosi certa di insufficiente realizzo dell’attivo , al solo scopo di maturare il compenso supplementare del curatore calcolato sull’entità del passivo accertato, ai sensi del sopra richiamato D.M. 25 gennaio 2012, numero 30, articolo 1, comma 2. Il decreto impugnato, dunque, deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame alla luce dei principi innanzi enunciati e per il regolamento delle spese. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame e per le spese al Tribunale di Roma in diversa composizione.