Ruolo in esubero, illegittimo il licenziamento della dipendente assegnatavi da pochi mesi

Vittoria piena per una lavoratrice. Ora ha diritto non solo a riavere il proprio posto di lavoro ma anche ad essere risarcita dall’azienda. Evidente, secondo i Giudici, l’abuso compiuto dal datore di lavoro.

Dipendente assegnato da pochi mesi alla mansione dichiarata in esubero dall’azienda. Illegittimo perciò il suo licenziamento, collocato all’interno di una procedura di mobilità che ha coinvolto sette dipendenti in tutto. Riconosciuto quindi il suo diritto a riavere il proprio posto di lavoro Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza numero 14990/21, depositata il 28 maggio . All’origine della vicenda c’è la procedura di mobilità adottata nell’ottobre del 2016 dall’azienda, riguardante «l’ esubero di sette unità lavorative » e conclusasi con un accordo sindacale. Però uno dei lavoratori coinvolti – una donna –, e messi alla porta, contesta la procedura, sostenendo di avere prima subito la soppressione , nel dicembre del 2015, della mansione a lei assegnata da anni, e di essere stata poi «adibita a mansioni dequalificanti». Secondo la dipendente «l’intento» del datore di lavoro era «di allontanarla dalla compagine aziendale» per poi metterla alla porta «nell’ambito di un licenziamento collettivo». Così si spiega, sempre secondo la dipendente, la decisione dell’azienda di assegnarle «la mansione di ‘addetto archivio’, mansione poi dichiarata in esubero». Per la lavoratrice è illegittimo il licenziamento deciso dalla società, anche perché «ella, essendo stata assegnata alla mansione di ‘addetto archivio’ solo temporaneamente, non doveva essere inserita tra i profili in esubero». Consequenziale, quindi, la richiesta di vedere l’azienda condannata a «reintegrarla nel posto di lavoro» e a riconoscerle un’adeguata indennità. Questa versione viene ritenuta solida dai giudici di merito, i quali, sia in primo che in secondo grado, dichiarano «l’ illegittimità del licenziamento», ritenendo evidente la violazione compiuta dall’azienda sui « criteri di scelta » dei dipendenti in esubero , soprattutto perché «la collocazione della dipendente presso l’archivio era solo provvisoria e avvenuta da poco tempo». A dare ragione in modo definitivo alla lavoratrice provvede la Cassazione, confermando la decisione presa dai giudici d’Appello. Confermato, quindi, il diritto della donna a riavere il proprio posto di lavoro e ad essere anche adeguatamente risarcita dall’azienda. I magistrati di terzo grado chiariscono che nessuno mette in discussione «la legittimità della soppressione della posizione di addetto agli archivi», mentre viene ritenuto evidente l’ abuso compiuto dalla società e consistito nel « licenziamento di un dipendente addetto» fino a pochi mesi prima «a mansioni diverse da quelle considerate in esubero» e «assegnato a queste ultime mansioni solo pochi prima del recesso». Tirando le somme, la lavoratrice «non poteva essere licenziata, in quanto solo provvisoriamente e, peraltro, da pochi mesi assegnata all’archivio».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 novembre 2020 – 28 maggio 2021, numero 14990 Presidente Berrino – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso L. numero 92 del 2012, ex articolo 1, comma 47 e segg., depositato il 14 luglio 2017, la T. adiva il Tribunale di Milano lamentando la illegittimità del licenziamento intimatole dalla Pegueot Citroen Retail Italia PCR il 27.12.16 al termine della procedura di mobilità ex L. numero 223 del 1991, adottata nell’ottobre 2016 e conclusasi con accordo sindacale nella quale si denunciava un esubero di 7 unità lavorative. In particolare la ricorrente, impiegata inquadrata nel 2 livello, lamentava di aver sempre svolto la mansione di antenna garanzia nell’ambito del settore garanzie sino al OMISSIS allorquando, a seguito della soppressione della relativa mansione, veniva adibita ad altre dequalificanti mansioni con l’intento di allontanarla dalla compagine aziendale per poi venire licenziata nell’ambito del suddetto licenziamento collettivo in quanto la mansione da ultimo svolta, ossia quella di addetto archivio ricoperta dal omissis , era stata dichiarata in esubero. Lamentava dunque la ricorrente che, essendo stata adibita da parte della società alla mansione di addetto archivio solo temporaneamente , non avrebbe dovuto essere inserita tra i profili in esubero. Chiedeva pertanto la condanna della società resistente alla reintegra nel posto di lavoro con pagamento delle mensilità medio-tempore maturate o in subordine la condanna al pagamento dell’indennità di cui all’articolo 18 S.L Si costituiva la PCR contestando l’asserito comportamento vessatorio, precisando come i cambi di mansione fossero determinati dalla soppressione della funzione di antenna garanzie sin dal omissis che già dall’apertura della mobilità ottobre 2016 era stata indicata la soppressione della mansione di addetta archivio che era quella da ultimo ricoperta dalla T. dal omissis , e che tale procedura era stata vagliata dalle parti sociali, le quali avevano dato atto della correttezza della procedura. All’esito della discussione orale, il primo giudice emetteva ordinanza di parziale accoglimento del ricorso presentato dalla T. ed in particolare annullava il licenziamento e condannava la resistente alla reintegra della T. nel posto di lavoro ed al pagamento dell’indennità risarcitoria nel limite massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto percepita, detratto l’eventuale aliunde perceptum. Proponeva opposizione la società. Il Tribunale con sentenza numero 1571/18 confermava l’ordinanza opposta e l’illegittimità del licenziamento per violazione dei criteri di scelta, chiarendo che ciò derivava dalla collocazione presso l’archivio solo provvisoria e solo da poco assegnata alla T. . Avverso tale sentenza proponeva reclamo la società la T. resisteva all’impugnazione. Con sentenza depositata il 24.9.18, la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo, condividendo gli accertamenti di fatto e le valutazioni in diritto svolte del Tribunale. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi, cui resiste la T. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, cui resiste la società con controricorso. Motivi Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. numero 223 del 1991, articolo 4, comma 9, articolo 5, comma 1 e articolo 24, comma 1, osservando che la sentenza impugnata aveva ritenuto che la illegittimità della procedura non derivava dalla soppressione della mansione di addetta agli archivi, sicché tale soppressione doveva ritenersi, a prescindere dal fatto che l’adibizione ad essa della T. fosse definitiva o provvisoria, non potendo peraltro il giudice sindacare il merito delle scelte imprenditoriali. Il motivo è infondato. A prescindere infatti dalla considerazione che la Corte di merito non ha affatto statuito la legittimità della soppressione della posizione lavorativa di addetto agli archivi nè avrebbe potuto farlo, trattandosi di scelte insindacabili dell’imprenditore , deve comunque evidenziarsi che la sentenza impugnata ha ribadito un elementare principio di civiltà giuridica e di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, quello secondo cui non è conforme a tali canoni il licenziamento di un dipendente addetto a mansioni diverse da quelle considerate in esubero ed adibita a queste ultime solo pochi mesi prima del recesso. 2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., articolo 2697 c.c., L. numero 223 del 1991, articolo 4, comma 9 e articolo 5. Lamenta che la lavoratrice non aveva mai dedotto di essere fungibile rispetto ad altri lavoratori e non aveva comunque assolto l’onere di dimostrare l’illegittima applicazione dei criteri di scelta, indicando i lavoratori rispetto ai quali la scelta avrebbe dovuto essere effettuata. Il motivo è infondato poiché, lamentato da parte della ricorrente ed acclarato dalla Corte di merito che ella non poteva essere licenziata in quanto solo provvisoriamente e peraltro solo da pochi mesi adibita all’archivio, sarebbe stato onere della società provare che la scelta, in base ai criteri adottati e neppure specificati dalla società, era corretta. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, restando così assorbito il ricorso incidentale condizionato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.