Se la condizione non si avvera entro il termine stabilito dalle parti, indipendentemente dalla volontà di chi vi aveva interesse contrario, la mancata collaborazione di questi non è determinante.
Lo ha stabilito la Cassazione, Seconda sezione civile, con la sentenza numero 17479/12. Il caso una vendita condizionata. Un contratto subordina la vendita di un immobile al verificarsi di una condizione l’approvazione della concessione edilizia, entro due anni dalla stipula, per la ristrutturazione e ricostruzione del fabbricato. Inoltre, parte venditrice assume l’impegno di collaborare per l’ottenimento di tale concessione. In seguito la mancato rilascio della condizione in parola, il contratto non si perfeziona e l’acquirente cita in giudizio il venditore sostenendo che il mancato verificarsi della condizione sia imputabile a quest’ultimo. Tuttavia, tanto in primo quanto in secondo grado, simile domanda viene respinta i giudici di merito ritengono, infatti, che gli episodi di mancata collaborazione rimproverati al venditore siano stati causalmente irrilevanti ai fini del mancato rilascio del documento autorizzativo. L’acquirente propone quindi ricorso per cassazione. Condizione e nesso di causalità. Punto centrale del ricorso deciso dalla sentenza in commento risulta perciò essere il nesso di causalità tra condotta del resistente e mancato avvera mento della condizione. La Cassazione, che rigetta il ricorso, evidenzia come la sentenza impugnata fornisca sulla questione una motivazione logica e coerente, non potendosi perciò configurare una violazione dell’articolo 1359 c.c In effetti la condotta del promittente venditore, sebbene sia manifestazione dello scarso spirito collaborativo del resistente, non è valutabile come causa efficiente del mancato avveramento della condizione, evento questo che si sarebbe ugualmente verificato. Né sarebbero valse le prove testimoniali invano richieste dal ricorrente, in quanto i relativi capitoli di prova non risultavano comunque decisivi per capovolgere la decisione impugnata. Libera determinazione contrattuale. Questi, in breve, i fatti compendiati dalla Suprema Corte il termine di due anni, stabilito per contratto dalle parti, è inutilmente decorso anche a causa del mutamento del piano regolatore, circostanza nota al ricorrente. La conseguenze di tale cambiamento è stata l’inevitabile dilatazione dei tempi per l’approvazione della domanda di condono relativa all’immobile, accadimento che il resistente non avrebbe comunque potuto evitare. In conclusione, la libera scelta contrattuale del termine di due anni, operata in autonomia dal ricorrente, unita alla conoscenza da parte dello stesso dell’esistenza di un abuso ‘sanabile’, entrambe puntualmente motivate dalla Corte territoriale, conducono la Suprema Corte a respingere il ricorso con condanna alla refusione delle spese.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 giugno – 12 ottobre 2012, numero 17479 Presidente Oddo – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 Dando seguito a un iniziale accordo del 1995, relativo alla vendita da parte di Gi Ma. all'odierno ricorrente P M. di un immobile sito in OMISSIS le parti stipulavano nuova scrittura. Stabilivano che la vendita avrebbe avuto luogo a condizione che entro due anni venisse approvata dal comune di Lavagna la concessione edilizia per la ristrutturazione e ricostruzione del fabbricato, con invito a versare il contributo. L'accordo prevedeva inoltre che il venditore Ma. avrebbe collaborato per l'ottenimento della concessione e sottoscritto ogni domanda o istanza a ciò finalizzata. Mancato il rilascio della concessione, nel dicembre 1999 M.P. agiva contro Gi Ma. , lamentando che la condizione non si era verificata per fatto imputabile al venditore. Il tribunale di Chiavari rigettava la domanda. La Corte di appello di Genova, ammessa ed espletata istruttoria orale, il 28 febbraio 2006 perveniva alla medesima decisione. Affermava che gli episodi di mancata collaborazione rimproverati al venditore, datati tra il 3 novembre 1999 e il 13 dicembre 1999, pur manifestando lo scarso spirito collaborativo del convenuto, erano tuttavia causalmente irrilevanti ai fini del mancato rilascio del documento autorizzativo. M. impugna questa sentenza con due motivi. I figli ed eredi del convenuto resistono con controricorso, illustrato da memoria. Motivi della decisione 2 Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto , il motivo, che fa riferimento, nel teste, all'articolo 1359 cc, sostiene che la condizione dalla quale dipendeva l'efficacia del contratto non si è avverata per causa imputabile alla parte interessata al non avveramento. La censura è infondata, giacche essa non riesce a individuare errori di diritto contenuti nella sentenza della Corte territoriale, ma espone tesi che si risolvono nell'esposizione di vizi motivazionali, che possono essere esaminati unitamente al secondo mezzo. Apoditticamente si sostiene che la condizione era stata apposta nell'interesse del solo sig. M. e si assume che la condotta di controparte è stata contraria a buona fede, senza tuttavia individuare in qual punto la sentenza si sia ispirata a principi normativa errati. Viene quindi sovrapposta la censura sulla ricostruzione del fatto, e la sua conseguente qualificazione, alla censura di cui all'articolo 360 numero 3 c.p.c., che presuppone una errata interpretazione delle norme o una loro applicazione a fattispecie del tutto estranee al campo di applicazione. 3 Il secondo motivo denuncia in primo luogo contraddittorietà della motivazione con riferimento al punto in cui i giudici di appello danno atto dell'evidente interesse del resistente a non dare esatto adempimento al suo obbligo di collaborazione, per liberarsi da ogni legame contrattuale. Il rilievo e inconferente. Con riguardo a questi profili, La ratio decidendi della sentenza è costituita infatti dalla valutazione, motivatamente resa dalla Corte di appello, che i comportamenti del Ma. non sono stati causa del mancato avveramento della condizione, la quale non si sarebbe avverata anche so questi avesse prestato la massima collaborazione contrattuale. È sufficiente un'attenta lettura del punto e primo capoverso di pag. 5 della fitta motivazione dei giudici di appello per comprendere che non c'è alcuna illogicità, ma anzi perfetta coerenza nel ragionamento della Corte territoriale, che ha esaminato il comportamento del promittente, ha verificato che esso non era animato da spirito collaborativo, ma ha escluso che tale condotta fosse causa efficiente del mancato avveramento . L'argomentazione viene svolta partire da pag. 4 con l'analisi dei vari comportamenti e della loro irrilevanza cronologica rispetto allo spirare del termine. 3. Dintorno alla mancanza di nesso di causalità tra condotta del resistente e mancato avveramento della condizione ruota un altro profilo decisivo della motivazione, attinente alla lettera 12. Nov. 1999 indirizzata dalla srl Elma, emanazione societaria del M. ai promittente venditore In essa, a soli 15 giorni circa dalla scadenza del termine, si comunicava che a causa del cambiamento del piano regolatore e di quella di condono ancora non definita il progetto era stato nuovamente presentato, con prevedibile allungamento dei tempi. Ora, alla luce di questo ulteriore rilievo, che evidenziava la irrilevanza cronologica dell’atteggiamento non collaborativo del resistente, la motivazione della sentenza impugnata resiste anche al seconda motivo di ricorso, che lamenta la mancata ammissione di parte delle prove testimoniali dedotte. I capitoli di prova riportata non risultavano infatti decisivi per capovolgere la valutazione di merito della Corte di appello, che e insindacabile in sede di legittimità quando sia logica e congrua. Ciò vale per il capitolo 7 , relativo alla presentazione del nuovo progetto, che è incontroversa, e della quale avrebbe dovuto e potuto essere documentata la completezza dell'istanza e lo stato dell'avanzamento burocratico, mediante produzione degli atti burocraticamente rilevanti, restando tuttavia indispensabile dimostrare che l'approvazione avrebbe potuto giungere in tempo utile, circostanza contraddetta dalla stessa lettera del 12 novembre e su cui la prova comunque non verteva. Del tutte generica e vaga era la circostanza al capo 8 , relativa alla mancata consegna di documentazione da parte del Ma. , posto che la sentenza ha specificamente analizzato la corrispondenza intercorsa e l'assenza di lagnanze specifiche scritte punto e 3 di pag 5 della sentenza , considerazioni che rendevano del tutto vaga la capitolazione. Anche le circostanze dedotte al capo 9 e segg. erano irrilevanti, perché avrebbero dovuto essere provate per iscritto tempi e modalità della presentazione di domanda di condono o perché comunque non decisive. Ed infatti emerge da esse che la domanda era stata presentata e che l'iter è durato quasi due anni , cioè all'incirca all'epoca in cui era stato rinnovato l'accordo del 1995. Dunque il ricorrente era ben infarinato, all'epoca, della esistenza di queste, problematica e ciononostante ritenne, nella sua libera autonomia contrattuale, di fissare il termine di due anni per l'approvazione del nuovo progetto di ristrutturazione, che presupponeva la sanatoria per il precedente abuso. Solo se fosse emerso e dai capi di prova orale ciò non risulta affatto che la notizia dell'abuso era sopravvenuta in tempo recente e che la presentazione di domanda di condono era stata successiva, la circostanza dell'esistenza dell'abuso avrebbe avuto portata causalmente determinante per il mancato rilascio della nuova concessione. La Corte di appello in assenza di tali riscontri, ha escluso il rilievo che il ricorso attribuisce alla domanda di condono, ineccepibilmente respingendo la richiesta istruttoria. Il capo 11, che mirava a provare che il M. aveva taciuto la circostanza dell'abuso in sede di accordi , evidenziava infatti solo che all'inizio della vicenda non vi era stata informazione, senza nulla dire su quando La notizia era giunta. In mancanza di contestazioni scritte in proposito, nonostante la corrispondenza e i nuovi accordi intercorsi, la. capitolazione dedotta era quindi indiscutibilmente generica e non decisiva. Anche il capo 10, relativo alla necessità di preventiva autorizzazione FF.SS per avere il condono, trova esauriente risposta nella accettazione del termine contrattuale pattuito nel 1997, condotta da un operatore esperto del settore nella consapevolezza del rischio sent. Pag. 6 in fine . Non v'è quindi alcun profilo di fondatezza della doglianza. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 8.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.