di Antonio Terlizzi
di Antonio Terlizzi *La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 10573 del 13 maggio 2011 sostiene che ai soli fini fiscali sono valide le ispezioni sul conto di un collaboratore dell'imprenditore anche nel caso in cui l'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria è stata revocata. Sussiste, infatti, la legittimità delle ispezioni sul conto corrente bancario di un collaboratore di un imprenditore anche senza l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria ex articolo 33, terzo comma, del D.p.r. numero 600/1973.Il caso. La documentazione bancaria del collaboratore di un imprenditore era stata acquisita nel corso di un procedimento penale. Le Fiamme Gialle, nell'ambito di un'inchiesta penale per evasione fiscale, avevano ottenuto un'autorizzazione per procedere a verifiche sui conti bancari nella disponibilità del contribuente. Durante le indagini era entrata in vigore una nuova norma che alzava la soglia di punibilità per evasione ed era, quindi, venuta meno la responsabilità del manager sempre per lo stesso motivo l'autorizzazione era stata revocata. Ma l'ufficio, una volta ottenuti i tabulati sui versamenti della collaboratrice, aveva spiccato l'accertamento.L'uomo l'aveva subito contestato ma la Ctp e la Ctr avevano respinto l'istanza.Ammesse le ispezioni sul conto di un collaboratore dell'imprenditore. I giudici di legittimità, nelle motivazioni, hanno ricordato che il contribuente non può fondatamente dolersi del fatto che le indagini bancarie abbiano riguardato conti e depositi intestati a terzi, dovendo ritenersi consentita simile operazione, ai sensi delle norme richiamate, quando l'ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, ritenuti congrui dal giudice tributario di merito, che tali conti e depositi fossero stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extracontabile, a scopo di evasione fiscale. L'autorizzazione tutela la riservatezza delle indagini, non i soggetti coinvolti. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il Collegio afferma, inoltre, che l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, richiesta dall'articolo 33, terzo comma, dpr numero 600 del 1973, per la trasmissione agli uffici delle imposte di documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di Finanza nell'ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancata produzione o riproduzione testuale della suddetta autorizzazione, di cui siano indicati gli estremi, non determina in alcun modo la nullità dell'accertamento sia per l'assorbente questione della sopravvenuta irrilevanza penale che rende insussistente le superiori esigenze di riservatezza e carente di ogni potere l'A.G.La tutela del segreto bancario non può ostacolare l'accertamento di illeciti tributari. La tutela del segreto bancario non può spingersi fino a costituire ostacolo o intralcio all'attuazione di esigenze costituzionali primarie, come l'accertamento degli illeciti tributari, costituenti ipotesi di particolare gravità in quanto rappresentano violazione di un dovere inderogabile di solidarietà. Il contribuente non può detrarsi l'Iva su operazioni elusive. Nell'ordinamento comunitario e, quindi, anche in quello interno deve considerarsi vigente il principio di indetraibilità dell'Iva articolo 17 della direttiva numero 77/388/CEE assolta in corrispondenza di comportamenti abusivi, volti cioè a conseguire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una reale ed autonoma ragione economica giustificatrice delle operazioni economiche che, perciò, risultano eseguite in forma solo apparentemente corretta ma, in realtà, sostanzialmente elusiva.* Esperto tributario
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 2 marzo - 13 maggio 2011, numero 10573Presidente D'Alonzo - Relatore DidomenicoSvolgimento del processo ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia dep. il 06/03/2006 che aveva, accogliendo l'appello dell'Ufficio, riformato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio che aveva accolto il ricorso del contribuente in ordine all'avviso di rettifica IVA 1998 la CTR riteneva irrilevante la revoca dell'autorizzazione agli accertamenti bancari della Procura della Repubblica essendo nel corso delle indagini depenalizzata la fattispecie e di solo rilievo interno la mancanza di autorizzazione del comandante di zona o dell'ispettore compartimentale rilevava che il contribuente aveva la disponibilità di conti bancari intestati alla collaboratrice e allo stesso gravava l'onere di dimostrare la non inerenza delle operazioni, con la conseguente imputazione delle posizioni creditorie e debitorie.Il ricorrente fonda il ricorso su sette motivi fondati su violazione e falsa applicazione di legge e vizio motivazionale.L'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso. La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza e sono state presentate memorie.Motivi della decisionePreliminarmente deve essere rilevata la inammissibilità del ricorso proposto contro il Ministero, che non era parte nel giudizio di appello dal quale doveva intendersi tacitamente estromesso perché iniziato dopo il 01/01/2001, e, pertanto, dopo l'entrata in funzione delle Agenzie delle Entrate Cass. SS.UU. 3116/2006, 3118/2006 .Le relative spese possono giustamente compensarsi, essendosi la superiore giurisprudenza consolidata dopo la proposizione del ricorso.Col primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. . Deduce in particolare che l'autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria penale, originariamente concessa sarebbe stata revocata e il procedimento penale archiviato, donde la necessità dell'autorizzazione del comandante della G.di F. o dell'Ispettore compartimentale.Il motivo è infondato.Benché il ricorrente non chiarisca le ragioni della revoca dell'autorizzazione, soccorrono all'uopo il dato risultante dalla sentenza e i chiarimenti dell'Ufficio, non contestati nella memoria, da cui risulta che l'autorizzazione era stata revocata in virtù di jus novum che aveva elevato la soglia di rilevanza penale omessa dichiarazione di ricavi onde il fatto era divenuto penalmente irrilevante. Su tale impostazione, s'appalesa che non si fa questione dell'autorizzazione dell'AG di utilizzare gli elementi acquisiti nella indagine penale tra l'altro concessa come risulta dalla sentenza , sia per l'indirizzo di questa Corte Cass. numero 7279/2009 che ha ritenuto, sia in tema di imposte dirette sia in tema di imposte indirette, che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, richiesta dall'articolo 33, terzo comma, del d.P.R. numero 600 del 1973, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, di documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell'ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancata produzione o riproduzione testuale della suddetta autorizzazione, di cui siano indicati gli estremi, non determina in alcun modo la nullità dell'accertamento sia per l'assorbente questione della sopravvenuta irrilevanza penale che rendeva insussistente le superiori esigenze di riservatezza e carente di ogni potere l'A.G.V. in ordine all'numero 857/2010.Non è chiaro, invece, se il ricorrente invochi la necessità dell'autorizzazione di cui all'articolo 51 comma 2 numero 7 del DPR numero 633 del 1972 sin dall'inizio ovvero dal momento in cui sarebbe venuta meno l'autorizzazione penale agli accertamenti bancari.Sotto il primo aspetto appare evidente che l'autorizzazione penale assorbiva la necessità di ogni diversa autorizzazione amministrativa, salva poi la autorizzazione della medesima A.G. all'utilizzo delle risultanze che, altrimenti non avrebbe senso nel caso in esame, tra l'altro, non più necessaria perché i fatti avrebbero perduto rilevanza penale .Sotto il secondo aspetto, a voler ritenere superata l'isolata pronunzia numero 4987/2003 che attribuiva solo rilievo interno alla carenza di tale autorizzazione dalla più recente giurisprudenza di questa Corte articolo 51 predetto sarebbe irrilevante .Col secondo motivo deduce falsa applicazione dell'articolo 51 secondo comma numero 7 del DPR numero 663 del 1972 in quanto la norma presuppone la coincidenza fra il soggetto intestatario.Il motivo è infondato.Questa corte ha svariate volte tra le altre, 13391/2003, 4987/2003, 2980/2002 .Nei casi ivi in esame, sono state ritenuti legittimi gli accertamenti anche nel caso di conti correnti bancari o libretti di deposito intestati a familiari del contribuente, non potendosi ragionevolmente disconoscere la sussistenza di un identico interesse all'accertamento, in presenza di gravi, precisi e concordanti indizi circa la fittizia intestazione di tali conti, utilizzati al medesimo scopo di evasione fiscale Cass. nnumero 6232/2003, 8683/2002, 8826/2001 .Ciò in conformità all'insegnamento Corte Cost. sent. numero 51/1992 che la tutela del segreto bancario non può spingersi fino a costituire ostacolo o intralcio all'attuazione di esigenze costituzionali primarie, come l'accertamento degl'illeciti tributari, costituenti ipotesi di particolare gravità in quanto rappresentano violazione di un dovere inderogabile di solidarietà.Si è poi osservato che la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi costituisce, quindi, valido indizio a favore della tesi erariale, non qualificabile come presunzione di doppio grado, dovendosi escludere simile conclusione quando, per disposizione di legge D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 51, comma 2, numero 2 , i singoli dati ed elementi risultanti dall'indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili Cass. numero 27032/2007, già cit. .Nel caso in esame, il conto risultava intestato ad una collaboratrice di cui il aveva la possibilità di operare, onde la CTR ha fatto corretta applicazione dei superiori principi.Col terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 54 terzo comma del D.P.R. numero 633/1972 .Questa Corte Cass. numero 7197/2009 ha affermato che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell'articolo 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia. Il quesito come sopra proposto è privo di ogni autosufficienza in ordine agli elementi di cui si contesta il carattere probatorio, in relazione al vizio denunziato e in particolare in ordine a quello di falsa applicazione di legge che presuppone la mediazione della fattispecie concreta, laddove la valutazione se gli elementi acquisiti costituissero prove certe e dirette è un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità salvo che per vizi motivazionali.Il quesito nei termini sopra posti è tautologico, non individuandosi il vizio interpretativo o applicativo che avrebbe dovuto essere esplicitato. Il motivo è, pertanto, inammissibile.Col quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 54 secondo comma del D.P.R. numero 633/1972 nel ritenere che la dichiarazione del Sig. e le risultanze bancarie del conto intestato alla Sig.ra di cui al P.V.C. costituissero presunzioni gravi precise e concordanti .Su tale motivo valgono le osservazioni di cui al precedente, col chiarimento che anche la valutazione requisiti di gravità, precisione e concordanza degli elementi a base di una presunzione è un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità salvo che per vizi motivazionali.Col quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 115, primo comma del c.p.c. .Se per quanto riguarda il quesito di diritto, a volerne enucleare l'autonomia rispetto al dedotto vizio motivazionale, sì da evitare l'inammissibilità in base all'indirizzo di questa Corte che ritiene proponibile un motivo congiunto ma con quesiti distinti Cass. numero 7770/2009 tuttavia non se ne può non rilevarne l'inammissibilità, per le medesime ragioni sopra dedotte e cioè la sua astrattezza e l'omesso collegamento, anche in termini di autosufficienza, con la fattispecie concreta, per quanto concerne il vizio motivazionale, questa Corte ha già avuto modo di chiarire SS.UU numero 16528/2008 che secondo l'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5 deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto , costituente una parte del motivo che si presenti, a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità .Questa Corte articolo 366 c.p.c. , di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate o mal valutate, nonché di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una o più risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l'efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si è formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base così anche Cass. numero 3004/2004 .Nel caso in esame il predetto momento di sintesi non risulta effettuato e il momento espositivo è privo di autosufficienza.Col sesto motivo deduce, in subordine, la mancata considerazione dell'Iva a credito relativa agli acquisti presunti dalle movimentazione bancarie ai sensi dell'articolo 53 Cost La superiore tesi è in contrasto col più recente indirizzo espresso da Cass., trib., 12 marzo 2007 numero 5719 non entrano nel conteggio del dare ed avere ai fini IVA le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, a nulla rilevando che le medesime fatture costituiscano la 'copertura' di prestazioni acquisite da altri soggetti L'affermazione, nel caso in ispecie effettuata in relazione alla invocata detraibilità in tema di fatture soggettivamente inesistenti è sicuramente mutuabile nel caso in esame, anche in considerazione che la detraibilità dell'Iva - conseguenza della neutralità della imposta - è ricollegata a un rigido meccanismo di fatturazioni a monte e a valle che, certo, non risultano nel caso in esame e all'effettivo pagamento della imposta che si porta in detrazione.Questa Corte, anche se in un non recente precedente Cass. numero 8786/2001 , ha affermato che l'articolo 55 del decreto numero 633 del 1972 dispone che se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale, l'Ufficio dell'I.V.A. può procedere in ogni caso all'accertamento dell'imposta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità.In tal caso l'ammontare imponibile complessivo e l'aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell'Ufficio, ivi comprese le dichiarazioni mensili e trimestrali eventualmente presentate, e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell'articolo 19 risultanti dalle dichiarazioni mensili e trimestrali . Codeste norme hanno evidente carattere sanzionato rio dell'obbligo di presentare la dichiarazione annuale - momento essenziale nel regime dell'I.V.A. - ed altrettanto evidente scopo di prevenire il danno che altrimenti verrebbe cagionato all'erario quando quella dichiarazione viene a mancare. Non conferente è poi il richiamo all'ordinamento comunitario,in quanto, con la Cass. 10352/2006 .In altre parole e applicando il principio alla fattispecie in esame, il valore del principio della neutralità non è assoluto come appare sostenersi dal contribuente, ma opera in regime fisiologico .Priva di rilevanza è, infine, la questione di costituzionalità dedotta, in quanto, per le ragioni sopraesposte, nel caso in esame non risulta una doppia imposizione, che potrebbe ledere il principio della capacità contributiva.Il ricorso deve essere pertanto rigettato con ogni conseguenza in tema di spese.P.Q.M.Dichiara inammissibile il ricorso contro il Ministero e compensa le spese relative rigetta il ricorso contro l'Agenzia e condanna il ricorrente alle spese che liquida in euro 3.500,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.