Nel caso di sequestro di somme di denaro da erogarsi manca il profitto corrispondente a un danno

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente presuppone che l’imputato abbia già conseguito il profitto illecito del reato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 31211, depositata il 22 luglio 2013. Il caso. Il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso in Cassazione contro l’ordinanza con cui il Tribunale – decidendo sul decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip, appellato dagli indagati – ha annullato l’impugnato provvedimento. Il ricorrente ha evidenziato criticamente che gli imputati, agendo quali esponenti di rilievo rappresentanti legali, amministratori e dirigenti , siano riusciti a ottenere, con artifizi e raggiri, certificazioni di crediti per prestazioni non conformi a legge e quindi da non remunerarsi. Pertanto, a suo dire, sussisterebbe la necessità che le somme non ancora erogate dall’ente regionale siano assoggettate a sequestro, in modo da impedirne il pagamento alla banca cessionaria. Il sequestro per equivalente presuppone un profitto corrispondente a un danno. La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato. La fattispecie per la quale è stata disposta la misura cautelare reale impugnata è di truffa tentata ai danni dell’ASL, truffa posta in essere dagli imputati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, mediante artifizi e raggiri consistenti nell’erogare presso una casa di cura prestazioni mediche e ricoveri in contrasto con la normativa di settore, e nel far invece figurare, attraverso l’inserimento di dati informatici falsi nel server regionale, che l’erogazione era avvenuta in conformità alle disposizioni vigenti . A tal proposito, gli Ermellini hanno rilevato che nel caso di specie – qualificato come truffa tentata – l’ente pubblico non ha ancora provveduto alle erogazioni conseguenti alle prestazioni sanitarie contestate cosicché non ha subito alcun danno, corrispondentemente gli indagati non hanno maturato profitto alcuno. Il profitto e il danno implicano che il reato non si arresti nella fase del tentativo, ma giunga a consumazione. Per Piazza Cavour ne discende l’assenza degli elementi di fattispecie per disporre la misura cautelare del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, restando, così, preliminare e decisiva l’osservazione sulla incompatibilità logica tra la misura richiesta – sequestro per equivalente - e la fattispecie di reato in ragione della quale la stessa è prospettata ossia truffa non consumata ma soltanto tentata.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 giugno – 22 luglio 2013, n. 31211 Presidente Cammino – Relatore Di Marzio Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Frosinone - decidendo sul decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del medesimo Tribunale in data 17.12.2012, appellato dagli indagati - ha annullato l'impugnato provvedimento. 2. Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone lamentando violazione dell'articolo 321 c.p.p Si premette infatti che il Tribunale ha motivato la propria decisione sul rilievo che essendo stato contestato agli odierni imputati il reato di truffa tentata ai danni della Regione Lazio, non potesse disporsi l'applicazione della misura cautelare reale avente ad oggetto, a tal punto, un profitto di reato mai conseguito essendo ancora le somme da erogarsi nel possesso dell'Ente Regionale, il quale ben potrebbe operare in via di autotutela non corrispondendo le somme medesime. Rileva criticamente il ricorrente che gli odierni imputati, agendo quali esponenti di rilievo rappresentanti legali, amministratori e dirigenti della Casa di Cura San Raffaele di ., siano riusciti ad ottenere con artifizi e raggiri, certificazione da parte della competente ASL di crediti per prestazioni non conformi a legge e pertanto da non remunerarsi. Si aggiunge che, peraltro, gli indagati hanno già ottenuto l'anticipazione di somme da parte della Unicredit banca cessionaria, quale factor, di detti crediti . Si conclude dunque nel senso della necessità che le somme non ancora erogate dall'ente regionale siano assoggettate a sequestro onde impedirne il pagamento alla banca cessionaria e ciò a prescindere da discutibili rilievi sulla sussistenza di poteri di autotutela del credito in capo all'Ente pubblico erogatore. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. La fattispecie descritta nel capo c di incolpazione, e per la quale è stata disposta la misura cautelare reale impugnata, è di truffa tentata ai danni dell'ASL di omissis , truffa posta in essere dagli odierni imputati con altri soggetti allo stato ancora non identificati, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, mediante artifizi e raggiri consistenti nell'erogare presso la casa di cui cura San Raffaele di Cassino prestazioni mediche ricoveri in contrasto con la normativa di settore, e nel far invece figurare, attraverso l'inserimento di dati informatici falsi nel server regionale, che l'erogazione era avvenuta in conformità alle disposizioni vigenti . Così operando, gli indagati inducevano in errore il responsabile dell'ufficio liquidazione della A.S.L. che liquidava le fatture presentate senza tuttavia realizzare allo stato erogazione di somme. Deve pregiudizialmente rilevarsi, sulla natura del sequestro per cui è processo, che lo stesso è per equivalente, non essendo rivolto a utilità pertinenziali al reato ma a somme di denaro da erogarsi. La misura è pertanto funzionale alla confisca per equivalente. Quest'ultima presuppone un profitto corrispondente a un danno. Gli elementi del profitto e del danno implicano che il reato non si arresti nella fase del tentativo ma giunga a consumazione. Soltanto in tal caso, infatti, può dirsi conseguito il profitto e cagionato il danno. Perspicua in tal senso Cass. sez. VI, 10.1.2013, n. 4297, secondo cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, previsto dall'art. 322 ter cod. pen., presuppone che l'imputato abbia già conseguito il profitto illecito del reato. La Corte ha quindi annullato il decreto di sequestro preventivo, disposto nell'ambito di un procedimento per corruzione connessa all'aggiudicazione di pubblici appalti, in un caso in cui l'appalto era stato aggiudicato ma non vi era stato effettivo affidamento e svolgimento dei lavori da parte del corruttore con conseguente riscossione del pagamento . Nel caso di specie - come detto qualificato nel capo e di incolpazione come truffa tentata - l'ente pubblico non ha ancora provveduto alle erogazioni conseguenti alle prestazioni sanitarie contestate cosicché non ha subito alcun danno corrispondentemente gli indagati non hanno maturato profitto alcuno. Ne discende l'assenza degli elementi di fattispecie per disporre la misura cautelare del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Cosicché, anche prescindendo dalle condivisibili argomentazioni svolte dal Tribunale sulla sussistenza, nel caso di specie, di poteri di autotutela del credito comunque attivabili dall'ente pubblico allo scopo di proteggere gli interessi istituzionalmente affidati, e dunque pur apprezzandosi come fondate le osservazioni del Tribunale sulla inconferenza del provvedimento di sequestro siccome rivolto a denaro ancora nella disponibilità dell'ente erogatore e dunque siccome ipotizzato, quale rimedio penalistico, in supplenza degli esistenti rimedi civilistici , resta preliminare e decisiva l'osservazione sulla incompatibilità logica tra la misura richiesta – sequestro per equivalente - e la fattispecie di reato in ragione della quale la stessa è prospettata ossia truffa non consumata ma soltanto tentata. 2. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.