La relazione finisce, la convivenza no: nessun diritto al gratuito patrocinio

Il rapporto di convivenza è caratterizzato da mutua reciproca assistenza, indipendentemente dal permanere di una relazione sentimentale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31355/13, depositata lo scorso 22 luglio. La fattispecie. Il Tribunale affermava la responsabilità di un uomo in ordine al reato di falsità od omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione art. 95, d.p.r. n. 115/2002 , perché nella dichiarazione resa per ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato aveva occultato la convivenza con la sua compagna che faceva ascendere il reddito complessivo ad oltre 20mila euro, ben superiore a quello dichiarato. L’imputato, quindi, dopo la conferma della condanna da parte della Corte di appello, propone ricorso per cassazione. Relazione finita, ma la convivenza no. Il verdetto, però, non cambia. La S.C., infatti, pur rilevando – come già fatto dai colleghi di merito – la fine della relazione tra l’imputato e la propria compagna, ha sottolineato che, tuttavia, il rapporto di convivenza è proseguito anche dopo la rottura fra i due. Quindi non è cessata la reciproca assistenza. Secondo gli Ermellini, la questione della convivenza non può essere risolta da dichiarazioni sull’ affectio che, non essendo accertabili, lasciano evidente ed inaccettabile spazio ad elusioni della disciplina legale . E poi – chiariscono i giudici – il rapporto di convivenza è caratterizzato da mutua reciproca assistenza, indipendentemente dal permanere di una relazione sentimentale .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 giugno – 22 luglio 2013, n. 31355 Presidente Bianchi – Relatore Blaiotta Motivi della decisione 1. Il Tribunale di Busto Arsizio ha affermato la responsabilità dell'imputato in epigrafe in ordine al reato di cui all'art. 95 del d.P.R. n. 115 del 2002. La sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello di Milano. L'imputazione, afferente alla dichiarazione resa per ottenere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e segnatamente all'occultamento della convivenza con T.C. che fa ascendere il reddito complessivo ad oltre 20.000 Euro, ben superiore a quello di 498 Euro dichiarati. 2. Ricorre per cassazione l'imputato. Con il primo motivo si espone che il rapporto di convivenza si fonda in primo luogo sulla permanente affectio che deve essere accertata dal giudice. Il venir meno di tale affectio trasforma la famiglia di fatto in mera coabitazione. Il dato anagrafico non è sempre risolutivo. Correttamente il ricorrente ha attribuito alla donna il ruolo di mero ospite. Erroneamente la Corte d'appello ha attribuito rilievo esclusivo al dato anagrafico, non potendosi dimostrare i moti interiori. La presunzione è valida solo per il rapporto di coniugio. La presunzione iuris tantum, nel caso di specie, è stata vinta con la prova contraria fornita con la deposizione della T. che ha riferito di coabitare ancora per dividere le spese. Erroneamente si è ritenuto che il Gip non potesse subito verificare quanto dedotto a chiare lettere nell'istanza, a proposito dell'irrilevanza dei redditi della donna. D'altra parte il giudice ha ritenuto di dover subito ammettere al patrocinio statale, ma avrebbe ben potuto non farlo e l'imputato nulla ha fatto per trarlo in inganno. Vi può essere stato errore di valutazione ma non dolo. 2.1 Con il secondo motivo si assume la giuridica inesistenza della sentenza, posto che essa è stata redatta il 5 ottobre 2012, mentre l'udienza si è tenuta il successivo 6 dicembre. 3. Il ricorso è infondato. La sentenza impugnata, nel far proprie le conclusioni cui è giunto il primo giudice, esplicita che l'imputato ha allegato all'istanza lo stato di famiglia composto anche da T.C. e dal figlio della donna Tu.Sa. , nonché autocertificazione per attestare che la donna era sua mera ospite. Si aggiunge che la donna ha dichiarato in dibattimento che la relazione sentimentale è cessata e che, tuttavia, per dividere le spese, la convivenza materiale è continuata. Il primo giudice ha ritenuto che la norma postula un rapporto di convivenza caratterizzato da mutua reciproca assistenza, indipendentemente dal permanere di una relazione sentimentale. La Corte d'appello ha condiviso tale approccio ed ha soggiunto che lo stato di famiglia documentava la convivenza, mentre non può farsi riferimento, in ambiti come quello per il quale si procede, a circostanze per loro natura incerte, quali in particolare l'affectio cui fa ripetuto riferimento la difesa che, costituendo un sentimento, non può essere certificata. È dunque ovvio il rilievo di dati formali come lo stato di famiglia. D'altra parte, la donna ha riferito di coabitare e di dare il suo contributo alla pari, e tanto basta, poiché comunque il P. continuava comunque a ricevere il supporto economico della T. . Tale apprezzamento è immune da censure logiche o giuridiche è indubbia e neppure contestata la convivenza accompagnata dalla solidarietà personale e patrimoniale, che si manifesta anche nella comunione delle spese. Tale situazione di fatto è accompagnata dal documento amministrativo che documenta, appunto, la relazione di convivenza. A fronte di tali dati obiettivi e significativi la questione della convivenza non può essere risolta da dichiarazioni sull'affectio che, non essendo accettabili, lasciano evidente ed inaccettabile spazio ad elusioni della disciplina legale. L'ambiguità deliberata della rappresentazione della situazione, d'altra parte, orienta non irrazionalmente il giudice di merito a ritenere pure il tratto subiettivo del reato. 3.1 Il secondo motivo è palesemente infondato. La sentenza è stata emessa nell'udienza del 6 dicembre 2012, come emerge dall'intestazione e per mero errore materiale nel dispositivo della sentenza documento viene riportata la data del 5 dicembre. Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.