La minaccia è un reato di pericolo, quindi non può esserci tentativo

Per la configurazione del reato di minaccia non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, ma è sufficiente che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 29383/13, depositata il 9 luglio scorso. La fattispecie. Una frase minacciosa, Educarne uno per educarne cento , ed un proiettile, questo il contenuto delle lettere inviate da un 57enne alla sede del partito di Rifondazione Comunista e alla sede dell’emittente televisiva Rete 4. Minaccia aggravata è il reato per cui scatta la condanna in primo grado, anche per quanto riguarda il Capo B, in merito alla lettera inviata a Rete 4. I giudici di appello, invece, riqualificano tale Capo di imputazione come tentativo di minaccia, rideterminando, di conseguenza, la pena in 1 mese e 10 giorni di reclusione. Tentativo di minaccia? Ma si tratta di un reato di pericolo. A proporre ricorso per cassazione è il difensore dell’imputato, il quale ritiene errata la mancata assoluzione del suo assistito dal reato sub B. Infatti, la Corte territoriale, nel qualificare come tentativo di minaccia la condotta ascritta all’imputato, ha disatteso il principio secondo cui l’applicazione dell’art. 56 c.p. delitto tentato sarebbe esclusa in riferimento ai reati di pericolo , essendo tale fattispecie enunciata dall’art. 612 c.p È sufficiente che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo. La S.C., in particolare, rileva che la minaccia è un reato di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mediante l’incussione di timore nella vittima . In sostanza, è sufficiente - precisa ancora la Cassazione - che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per ciò solo, la sfera della libertà morale . Nel caso di specie, poi, non risulta che il messaggio all’emittente televisiva sia stato inviato realmente e che i destinatari siano stati nelle condizioni di avere notizia della minaccia in esso contenuta. Per questo motivo, in relazione a tale contestazione, la sentenza impugnata viene annullata senza rinvio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 febbraio – 9 luglio 2013, n. 29383 Presidente Ferrua – Relatore De Berardinis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 2-2-2012 la Corte di Appello di Trieste riformava parzialmente la sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale in data 5.5.2010, con la quale D.G. era stato dichiarato responsabile dei reati di minaccia aggravata capi A-B-C- ascrittigli, rispettivamente, al capo A , ai sensi dell'articolo 612 co. II CP. perché minacciava appartenenti al Partito della Rifondazione comunista inviando presso la sede del partito una busta contenente un proiettile e frasi quali educarne uno per educarne cento . In data capo B 612 co. II CP. perché minacciava T.E. e B.E. inviando presso la sede dell'emittente una busta contenente un proiettile e frasi quali educarne uno per educarne cento . in data C articolo 612 co. II CP. perché minacciava personale del CAF inviando preso la sede una missiva dal seguente contenuto contiene antrace non pallottole” in data La Corte territoriale, qualificata l'ipotesi di cui al capo B ai sensi degli artt. 56/612 cpv. CP. - rideterminava la pena in mesi uno e giorni dieci di reclusione,confermando nel resto l'impugnata sentenza. L'imputato risultava individuato a seguito di indagini di Ps. nelle quali si era svolta perquisizione domiciliare, con esito positivo secondo quanto descritto in sentenza. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo 1 - In riferimento alla mancata assoluzione dell'imputato dal reato sub B , che la Corte territoriale, nel qualificare come tentativo di minaccia la condotta ascritta all'imputato aveva disatteso il principio secondo cui l'applicazione dell'articolo 56 CP sarebbe esclusa in riferimento ai reati di pericolo-essendo tale la fattispecie enunciata dall'articolo 612 CP. 2 - deduceva altresì la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al giudizio di responsabilità del ricorrente per i reati di cui ai capi A e C della rubrica,rilevando che non era stato individuato il soggetto destinatario delle minacce, restando incerta la destinazione delle espressioni contestate agli addetti alla ricezione della posta o aderenti al partito di cui in rubrica. Sul punto rilevava altresì che la sig.ra M. era solo la ex convivente dell'imputato. Da tali rilievi la difesa desumeva l'insussistenza del reato di minaccia. 3 - Rilevava altresì la illogicità della motivazione, in ordine alla mancata assoluzione del D. ai sensi del secondo comma dell’articolo 530 CPP., rilevando che nella perquisizione non era stato trovato alcun corpo di reato, evidenziando l'obbligatorietà della assunzione di una perizia per l'accertamento del reato. 4 - infine censurava le disposizioni inerenti alla determinazione della pena, anche per la quale non erano state concesse le attenuanti generiche - censurando la decisione del giudice di appello che aveva fatto riferimento ad uno solo dei parametri richiamati dall'articolo 133 CP. Per tali motivi chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata ai sensi dell'articolo 606 comma I lett. B, E CPP. Rileva in diritto Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento, fatta eccezione per la censura inerente alla insussistenza del tentativo di minaccia ritenuto in sentenza per il capo B – per quanto sarà specificato di seguito. Va rilevato, in primo luogo che la sentenza impugnata rende motivazione esaustiva in riferimento alle doglianze formulate dalla difesa in grado di appello, senza evidenziare lacune sostanziali in merito alle richieste dell'appellante. Tanto consente di escludere il fondamento delle censure attinenti ai vizi di motivazione, risultando che l'analisi degli elementi probatori è stata eseguita nel rispetto dei criteri enunciati dall'articolo 192 CPP. Tanto premesso deve tuttavia evidenziarsi che risulta fondata la censura inerente alla insussistenza del reato di cui al capo B. Al riguardo deve osservarsi che,secondo l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte - Sez. V, 17-12-2008, n. 46528 - RV 216321 - la minaccia è reato di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mediante l'incussione di timore nella vittima. È sufficiente,invece,che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per ciò solo, la sfera della libertà morale. Orbene, deve in tal senso rilevarsi che nella fattispecie di cui al capo B - la Corte di appello ha erroneamente applicato l'ipotesi del tentativo,avendo rilevato che risultavano carenti elementi di prova relativi alla materiale trasmissione della missiva a chi ne era destinatario, presupponendo il tentativo l'accertamento della idoneità della condotta a realizzare l'intimidazione della vittima. Tale fattispecie, deve invero ritenersi insussistente, non risultando dagli elementi illustrati in sentenza che il messaggio rivolto ad una emittente televisiva - nelle persone di T.E. e B.E. sia stato inviato realmente,e che i destinatari fossero stati nelle condizioni di avere notizia della minaccia in esso contenuta. In tal senso deve ritenersi fondata la censura difensiva, che richiama giurisprudenza di legittimità Sez. IV, 26.5.2003, n. 36353 , non desumendosi dalla motivazione della sentenza il riferimento alla concreta trasmissione della missiva, non pervenuta per fatto indipendente dalla volontà dell'autore. Pertanto, in relazione a tale contestazione va pronunziato l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. Devono ritenersi, al contrario, prive di fondamento le censure inerenti alla carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione per quanto concerne i reati di minaccia indicati ai capi A - e C - della rubrica, in relazione ai quali la difesa deduce che non sarebbe stato individuato il destinatario delle espressioni minacciose. Invero, dal testo del provvedimento si evince che la Corte territoriale ha reso adeguata motivazione dalla quale si desumono con chiarezza le risultanze delle indagini illustrate richiamando la sentenza di primo grado a fl. 2 , evidenziandosi che era stata accertata la condotta criminosa attraverso deposizioni testimoniali, e verbale di sequestro. Deve rilevarsi peraltro che la motivazione risulta specifica anche in ordine alla individuabilità del destinatario dei messaggi missive indirizzate alla sede di Rifondazione Comunista e al CAF essendo la prima lettera indirizzata a P M. , per conoscenza e accoliti di tale partito. Quanto all'accertamento della ascrivibilità all'imputato delle missive in contestazione devono ritenersi validi gli elementi di prova menzionati in sentenza, comprensivi di esito di perquisizione domiciliare e sequestro di materiale presso l'abitazione del predetto imputato. Si rivelano pertanto ininfluenti e come tali inammissibili i rilievi peraltro del tutto generici, svolti dalla difesa per evidenziare l'inesistenza di prove della ascrivibilità dei messaggi in contestazione allo stesso imputato, dato che la prova della responsabilità dell'imputato risulta desunta dal complesso delle risultanze di indagine e deposizione testimoniale, secondo quanto è dato desumere dal testo del provvedimento impugnatole rende altresì evidente il contenuto minatorio dei messaggi in contestazione e la sussistenza della aggravante di cui al secondo comma dell'articolo 612 CP. Devono infine ritenersi inammissibili le generiche deduzioni sulla violazione dell'articolo 133 e 62 bis CP. ritenendo esaustiva e pertinente la motivazione sul punto ove risulta correttamente valutata la esistenza di precedenti penali anche specifici, dell’imputato. Pertanto va pronunziato l'annullamento della sentenza, senza rinvio, limitatamente al reato di cui al capo B , e per l'effetto deve essere eliminata la relativa pena, a titolo di continuazione indicata in giorni due di reclusione. Deve essere rigettato nel resto il ricorso. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al capo B perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena, fissata a titolo di continuazione, pari a giorni due di reclusione rigetta nel resto il ricorso.