La Corte di Cassazione ha nuovamente ribadito che è la certezza di innocenza dell’incolpato che configura il dolo del reato di calunnia.
La fattispecie. 2 persone contro 2 persone in un’aula di tribunale, con una parte che era promotrice di una procedura esecutiva. Ma la questione arriva nelle mani del giudice panale con l’accusa, per i convenuti del procedimento civile e il loro avvocato, di calunnia. Questi avevano accusato la controparte di aver posto in essere, con le loro richieste pressanti ed eccedenti il dovuto, un tentativo di estorsione. Secondo il GUP, però, il fatto non costituisce reato. Sia la parte civile che il Procuratore della Repubblica, dunque, presentato ricorso per cassazione. Calunnia se si ha certezza dell’innocenza dell’incolpato. La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 26819/2012 depositata il 9 luglio, ribadisce che, perché si realizzi il dolo del reato di calunnia, «è necessario che chi formula la falsa accusa abbia certezza dell’innocenza dell’incolpato». «L’erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude – chiariscono gli Ermellini – l’elemento soggettivo». Non c’è reato. Nel caso concreto, secondo la ricostruzione del GUP condivisa dalla S.C. , ne è scaturita una rappresentazione falsata, non di fatti, ma di intenti, «determinata dalla particolarità della vicenda in cui i prevenuti si sono ritrovati coinvolti, che li ha indotti a leggere, senza comprovata malafede, alcuni passaggi della condotta degli accusati in una luce ingiustamente persecutoria». Pertanto, i ricorsi - ritenuta logicamente motivata la decisione del GUP - vengono rigettati.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 aprile – 9 luglio 2012, numero 26819 Presidente De Roberto – Relatore Cortese Fatto Con sentenza del 29.06.2011 il GUP del Tribunale di Como dichiarava non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato nei confronti di T.D. , G.C.M. e P.A. in ordine a - al delitto di calunnia continuata in danno di La.Ma. , La.Eg. e L.C. , per averli falsamente accusati in più occasioni, nel corso di una causa che vedeva i La. , assistiti dall'avv. L. , promotori di una procedura esecutiva nei confronti del T. e della G. , assistiti dall'avv. P. , di aver posto in essere, con le loro richieste pressanti ed eccedenti il dovuto, un tentativo di estorsione b - al delitto di calunnia in danno di L.C. , per averlo falsamente accusato, nell'atto di citazione in riassunzione a sensi dell'articolo 616 c.p.c., di avere, comunicando, con lettere indirizzate alla banca di Legnano e al Comune di S. Fedele Intelvi, che i signori T. e G. erano legittimati passivi di una vendita in esproprio benché i debiti fossero stati pagati, posto in essere una diffamazione nei loro confronti. Rilevava in particolare il GUP che le condotte tenute dai prevenuti furono motivate dalla radicata convinzione che il credito azionato dai La. fosse superiore al dovuto, e ciò sulla base di articolate argomentazioni di natura giuridica e contabile, quali illustrate nella memoria difensiva dell'avv. P. . Tanto portava ad escludere in capo ad essi la consapevolezza dell'innocenza degli accusati. Contro la sentenza propongono ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Como e la parte civile avv. L. . I ricorrenti, richiamando anche la competenza professionale dell'avv. P. , rilevano che — i prevenuti, lungi dal limitarsi a una contestazione del debito, hanno reiteratamente e arbitrariamente qualificato la condotta degli accusati come estorsiva — nessuna motivazione è stata resa dal GUP in ordine al proscioglimento dalla calunnia per diffamazione in danno dell'avv. L. . Diritto I ricorsi sono infondati. Per quanto concerne, invero, il delitto di calunnia, deve osservarsi, in via generale, che, perché si realizzi il dolo di tale reato, è necessario che chi formula la falsa accusa abbia certezza dell'innocenza dell'incolpato. L'erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude, quindi, l'elemento soggettivo. Si è tuttavia precisato v., per tutte, Sez. 6, 14 marzo 1996, Gardi che tale esclusione opera solo se il convincimento dell'accusatore si basi su elementi seri e concreti e non su semplici supposizioni. A quest'ultimo riguardo, occorrono però alcuni chiarimenti. Se, invero, l'erroneo convincimento sulla colpevolezza dell'accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o comunque di corretta rappresentazione nella denuncia, la omissione di tale verifica o rappresentazione determina effettivamente la dolosità di un'accusa espressa in termini perentori. L'ingiustificata attribuzione come fatto vero di un fatto di cui non si è accertata la realtà presuppone infatti la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all'incolpato. Quando invece l'erroneo convincimento riguarda profili valutativi della condotta oggetto di accusa, non descritta in sé in termini difformi dalla realtà, l'attribuzione dell'illiceità è dominata da una pregnante inferenza soggettiva, che, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, è inidonea a integrare il dolo tipico della calunnia. Applicando tali principi al caso di specie, deve osservarsi che, secondo la ricostruzione del GUP, la falsità delle accuse rivolte dai prevenuti attiene precipuamente ai profili soggettivi dell'operare degli accusati, ritenuto dagli imputati - alla stregua delle loro vantazioni giuridiche e contabili sul titolo esecutivo azionato - come animato con ogni probabilità da finalità indebite, tali da connotarlo di illiceità anche penale. Ne è scaturita, quindi, secondo la detta ricostruzione, una rappresentazione falsata, non di fatti, ma di intenti, determinata dalla particolarità della vicenda in cui i prevenuti si sono trovati coinvolti, che li ha indotti a leggere senza comprovata malafede, alcuni passaggi della condotta degli accusati in una luce ingiustamente persecutoria. Tale ricostruzione del GUP appare logicamente motivata e idonea a vincere le obiezioni sollevate nei ricorsi, che insistono sulla volontarietà, che non e in discussione, dell'attribuzione alle condotte degli accusati del connotato della illiceità penale. Le argomentazioni giustificative sviluppate nella sentenza, pur se appaiono in qualche passaggio come riferite solo alla calunnia di tentata estorsione ricomprendono in realtà nella sostanza anche l'imputazione della calunnia di diffamazione. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna la parte privata ricorrente al pagamento delle spese processuali.