Stato di necessità soltanto dopo aver percorso tutte le soluzioni alternative

Il problema abitativo ha sempre rappresentato una questione politica classica tanto che la disciplina del contratto di locazione e delle problematiche in sede esecutiva sono espressione del continuo compromesso tra le opposte esigenze.

La questione abitativa determina spesso la necessità di applicare il codice penale come nel caso affrontato dalla sentenza numero 5945/2013, depositata il 7 febbraio, dalla Corte di Cassazione. Ed infatti, all’imputato erano stati contestati i reati di occupazione di edificio articolo 633 c.p. e di deturpamento e imbrattamento di cose altrui articolo 639 c.p. sebbene in primo grado fosse stato condannato, la Corte di appello di Napoli assolveva l’imputato per aver agito in stato di necessità. A quel punto, però, il procuratore generale ricorre per cassazione per chiedere l’annullamento della sentenza per non avere fatto corretta applicazione della scriminante prevista dall’articolo 54 c.p. «non essendo emerso che l’occupazione costituisse l’unico rimedio per l’imputato di potersi procurare un alloggio, né potendosi tale condizione trarre dal mero stato di disagio in cui costui versava». Stato di necessità - Il ricorso del procuratore generale va a buon segno ed infatti, la sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione del 7 febbraio 2013, numero 5945 accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Orbene, la Suprema Corte muove il proprio ragionamento dalla constatazione che la giurisprudenza di legittimità è oramai costante nell’applicare la scriminante dello stato di necessità «sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo». e le soluzioni alternative. Senonché, nel caso di specie l’imputato non aveva fornito alcuna prova di aver chiesto l’aiuto dei servizi sociali e delle altre istituzioni pubbliche di assistenza egli quindi, non ha cercato di percorrere «soluzioni alternative» rispetto alle quali, peraltro, non ha certamente potuto allegare la relativa indisponibilità. Per gli Ermellini la Corte territoriale avrebbe riconosciuto la scriminante soltanto sulla base delle condizioni dell’immobile espressione delle condizioni economiche di disagio dell’imputato. Ma quella situazione è comune - osserva la Suprema Corte - «ad altre persone che parimenti versano in quelle condizioni e nutrono le medesime aspettative al fine di ottenere quanto prima un immobile». Peraltro, poiché il reato contestato è permanente e non risulta che l’imputato abbia abbandonato l’immobile già occupato, la Suprema Corte annulla con rinvio dal momento che non si è verificata alcuna prescrizione il cui dies a quo inizia a decorrere, in assenza della prova della liberazione, dalla data di deliberazione della sentenza di primo grado.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 gennaio – 7 febbraio 2013, numero 5945 Presidente Petti – Relatore Ariolli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17/10/2011, la Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa in data 28/4/2008 dal Tribunale di Napoli ed appellata dall'imputato, assolveva S.S. dal reato di cui agli articolo 633 e 639 bis cod. penumero , perché non punibile per avere agito in stato di necessità. 2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli, chiedendone l'annullamento. Al riguardo, deduce la violazione di legge, in quanto la Corte territoriale non avrebbe fatto corretta applicazione della scriminante di cui all'articolo 54 cod. penumero , non essendo emerso che l'occupazione costituisse l'unico rimedio per l'imputato di potersi procurare un alloggio, né potendosi tale condizione trarre dal mero stato di disagio in costui versava. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Invero, l'illecita occupazione di un bene immobile, secondo l'ormai costante giurisprudenza di questa Corte v. ex plurimis, Sez. 2, sentenza numero 8724 dell'11/02/2011, rv. 249915 è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere, oltre che in lesioni della vita o dell'integrità fisica, nella compromissione di un diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo. Fattispecie nella quale la Corte ha escluso la ricorrenza della scriminante, essendo stato accettato che la necessità di occupazione illecita di un edificio residenziale pubblico al fine di occuparlo con la compagna minorenne in stato di gravidanza, invocata dall'imputato, sarebbe potuta essere soddisfatta con la richiesta di ausilio ai servizi sociali e alle altre istituzioni pubbliche di assistenza, la cui indisponibilità, nel caso di specie, non era stata neanche allegata . Nella fattispecie, però, oltre alla carenza di energia elettrica ed al ridotto arredamento dell'alloggio, non risulta che l'imputato abbia fornito alcuna prova di avere chiesto l'aiuto dei servizi sociali e delle altre istituzioni pubbliche di assistenza ovvero di avere cercato soluzioni alternative, la cui indisponibilità, nel caso di specie, non risulta neppure allegata. Si è quindi dedotta la sussistenza della scriminante dalla presenza di meri dati fattuali descrittivi dell'immobile che, nel caso di specie, esprimono soltanto l'esistenza di condizioni economiche di disagio dell'imputato, comuni, peraltro, ad altre persone che parimenti versano in quelle condizioni e nutrono le medesime aspettative al fine di ottenere quanto prima un immobile. 4. In accoglimento del ricorso, deve essere, pertanto, essere annullata la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, la quale si atterrà al principio di diritto sopra affermato. Il rinvio si impone poiché il reato, di natura permanente in ragione della contestazione mossa all'imputato al fine di occupare l'immobile e con l'indicazione della data del fatto che coincide con quella dell'accertamento dell'abusiva occupazione , non è ancora estinto per prescrizione. Invero, in assenza di elementi di segno contrario che escludano l'abbandono dell'alloggio in epoca successiva al suo accertamento e nulla al riguardo risulta dal processo ovvero dedotto o provato dall'imputato ed anzi in presenza di elementi che dimostrano la continuità dell'occupazione l'imputato indicava l'alloggio abusivamente occupato quale domicilio ai fini delle notificazione del presente giudizio in data 13.5.2006 , la permanenza del reato cessa con la deliberazione della sentenza di primo grado avvenuta il 28/4/2008 Sez. 2, sentenza numero 35419 dell'11/06/2010, rv. 248301 . Da tale data non risulta ancora maturato il termine ordinario e massimo di prescrizione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Cotte di appello di Napoli.