in tema di risarcimento da fatto illecito, il Comune non vanta un diritto di credito avente ad oggetto le somme riscosse o da riscuotere all'esito del procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 22401 del 27 ottobre, chiarisce che, in caso di avvio in ritardo della procedura di riscossione delle sanzioni amministrative nel termine quinquennale di legge e di successivo sgravio generalizzato delle partite creditorie, il Comune che sarebbe stato destinatario delle somme riscosse non può chiedere al Ministero dell'Interno, ex articolo 2043 c.c., il pagamento delle somme corrispondenti all'ammontare totale degli sgravi, in quanto non può vantare né un diritto di credito né un interesse differenziato dagli interessi generali. La questione. La Prefettura di Genova aveva attivato la procedura di riscossione di una serie di sanzioni amministrative, comminate a seguito di violazioni del Codice della Strada, oltre il termine quinquennale di legge a seguito di tale ritardo aveva disposto lo sgravio generalizzato delle partite creditorie, a prescindere dalla proposizione, da parte dei debitori, dell'eccezione di prescrizione. Il Comune di Genova, pertanto, cita in Giudizio il Ministero dell'Interno, chiedendone la condanna al pagamento delle somme corrispondenti all'ammontare totale degli sgravi. In primo e secondo grado la domanda non viene accolta il Comune presenta, quindi, ricorso per Cassazione. Il quesito il Comune può ottenere il risarcimento per l'omessa riscossione delle multe da parte della Prefettura? In particolare, alla Corte vengono posti due quesiti se, nel caso de quo, al Comune di Genova possa essere riconosciuta tutela risarcitoria aquiliana quale destinatario delle somme che sarebbero state riscosse e se configuri illecito aquiliano il comportamento omissivo della Prefettura, che non ha avviato, nel termine prescrizionale previsto dall'articolo 28, legge numero 681/1981, il procedimento di riscossione delle sanzioni amministrative. La Corte rigetta il ricorso. In primo luogo, viene chiarito che il Comune non ha natura imprenditoriale a fini di lucro e che il procedimento sanzionatorio di cui alla legge numero 689/1981 non è finalizzato ad assicurare la realizzazione di un credito dello stesso Comune. La pretesa, come svolta dal Comune, si può inquadrare come tutela risarcitoria da lesione del credito o da lesione dell'integrità del patrimonio, in cui possono rientrare diverse ipotesi, tutte, comunque, riconducibili ad attività di terzi che interferiscano nella mancata realizzazione di vantaggi economici collegati a posizioni contrattuali o, più generalmente, creditorie, procurando, per l'appunto, una diminuzione patrimoniale. Il danno ingiusto in caso di diritti di credito. Ormai, prosegue la S.C., è pacifico che il danno ingiusto, di cui all'articolo 2043 c.c., possa anche essere costituito dalla lesione esterna di un diritto di credito, ossia da una lesione riferibile ad un terzo diverso dall'obbligato, che abbia impedito l'adempimento di quest'ultimo o che abbia, comunque, pregiudicato l'esistenza di quel diritto. Deve esistere un rapporto obbligatorio tra creditore e debitore, che nel caso in esame manca. Per tale tutela è, però, necessario che il credito esista e sia correlato ad un rapporto obbligatorio intercorrente tra creditore ed obbligato. Ciò non si verifica, tuttavia, nel caso de quo, in quanto l'obbligazione creditoria presuppone una interrelazione giuridica tra soggetto attivo della prestazione dovuta creditore e soggetto passivo della stessa debitore . Tale interrelazione manca nel caso di cui alla sentenza in rassegna, poiché il procedimento sanzionatorio disciplinato dalla legge numero 689 del 1981 è diretto alla repressione ed alla prevenzione di condotte illecite commesse a danno della collettività la sanzione pecuniaria inflitta non costituisce la prestazione che assoggetta il debitore al creditore, bensì la punizione cui viene assoggettato il trasgressore in questo caso, violazione delle norme del codice della strada . Tali sanzioni pecuniarie, quindi, non costituiscono un debito del reo nei confronti dello Stato né influisce su tale vicenda la circostanza che il Comune sia il beneficiario finale delle somme riscosse e che l'ente stesso sia parte nel processo d'opposizione all'ordinanza ingiunzione. La sentenza S. U. numero 500 del 1999. La S.C. concorda con il giudice di merito, che ha affrontato anche la questione circa la possibilità che, alla luce dei principi scaturenti dalla sentenza a S.U. numero 500/1999, il comportamento attribuito dal Comune alla Prefettura possa essere ritenuto lesivo di un interesse giuridicamente rilevante e meritevole di tutela risarcitoria. Tuttavia, nel caso de quo l'interesse del Comune risulta essere interesse di mero fatto, non differenziato dagli interessi generali, diretto all'osservanza, da parte di un altro soggetto, di doveri la cui violazione non lede posizioni soggettive specificamente determinate, ma esclusivamente l'ordinamento, compreso il dovere, da parte degli organi amministrativi, di attenersi, nell'esercizio del potere, ai canoni della buona amministrazione, interesse non tutelabile in via aquiliana. Il Comune non vanta un diritto di credito sulle somme da riscuotere per violazione del Cds no al risarcimento ex articolo 2043 c.c. La Corte di Cassazione conclude enunciando il principio per cui, in tema di risarcimento da fatto illecito, il Comune non vanta un diritto di credito avente ad oggetto le somme riscosse o da riscuotere all'esito del procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative ex lege numero 689/1981, né una posizione differenziata, giuridicamente protetta rispetto alle attività demandate al Prefetto nel corso del procedimento stesso. Ne consegue che non è tutelabile ex articolo 2043 c.c. la pretesa del Comune di essere risarcito dal Ministero dell'Interno per la perdita degli introiti pecuniari derivanti dalla riscossione delle sanzioni pecuniarie amministrative, anche se tali perdite sono dall'ente ritenute attribuite a colpose omissioni o a ritardi nell'adempimento dei compiti attribuiti al Prefetto nel corso del menzionato procedimento.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 settembre - 27 ottobre 2011, numero 22401 Presidente Trifone - Relatore Spirito Svolgimento del processo Il Comune di Genova, quale ente destinatario dei proventi devoluti a seguito di procedure sanzionatorie amministrative, citò in giudizio il Ministero dell'Interno, imputando alla Prefettura di Genova di avere colpevolmente ritardato la formazione dei ruoli e la notificazione delle cartelle esattoriali, con conseguente produzione di effetti estintivi, nonché di aver proceduto allo sgravio totale, rinunciando ad esigere la riscossione coattiva nei confronti di tutti i debitori, benché non avessero eccepito la prescrizione. Chiese, dunque, la condanna del Ministero a pagargli le somme corrispondenti all'ammontare totale degli sgravi. Il Tribunale di Genova respinse la domanda, con sentenza poi confermata dalla Corte d'appello della stessa città. Propone ricorso per cassazione il Comune di Genova attraverso tre motivi. Risponde con controricorso il Ministero dell'Interno. Il Ricorrente ha depositato memoria per l'udienza. Motivi della decisione Il quesito annesso al primo motivo chiede di sapere se possa essere riconosciuta tutela risarcitoria aquiliana al diritto di credito del Comune, quale destinatario ex lege dei proventi delle sanzioni amministrative irrogate dalla Prefettura, laddove la riscossione delle somme non sia stata possibile per intervenuta prescrizione del credito sanzionatorio, conseguente alla mancata attivazione da parte del titolare del procedimento della procedura di riscossione nel termine quinquennale di legge, e laddove, una volta avviata tardivamente la procedura di riscossione, sia stato disposto dal titolare del procedimento uno sgravio generalizzato delle partite creditorie, a prescindere dalla proposizione da parte dei debitori dell'eccezione di prescrizione. Il secondo motivo censura il vizio della motivazione della sentenza impugnata per non avere essa argomentato in ordine al riconoscimento della legittimazione attiva e processuale al creditore e non al titolare del procedimento di riscossione nei procedimenti di opposizione a cartella esattoriale. Il quesito correlato al terzo motivo chiede di sapere se configuri illecito aquiliano il comportamento omissivo della Prefettura che non ha avviato nel termine prescrizionale di cui all'articolo 28 della legge numero 689 del 1981 il procedimento di riscossione delle sanzioni amministrative, provocando la generalizzata prescrizione del credito del Comune, nonché per avere, dopo la formazione dei ruoli e la notifica delle cartelle esattoriali, operato autonomamente lo sgravio di tutte le partite creditorie pendenti, a prescindere dalla proposizione, da parte dei debitori, dell'eccezione di prescrizione, senza coinvolgere nella decisione il Comune, titolare dei proventi delle sanzioni in argomento e gravato da oneri procedimentali per funzioni delegate dalla Prefettura stessa. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati. La difesa del Comune, come ha già fatto nel corso dei due gradi di merito, continua a definirsi creditore delle somme provenienti dal procedimento sanzionatorio amministrativo ed a definire il soggetto sanzionato come suo debitore. Bisogna, allora, rappresentarle come hanno già fatto i giudici del merito che l'ente territoriale in questione non ha natura imprenditoriale a fini di lucro e che il procedimento sanzionatorio disciplinato dalla legge numero 689 del 1981 non è finalizzato, appunto, ad assicurare la realizzazione di alcun credito all'ente stesso. La pretesa, così come svolta dal Comune, può essere, infatti, inquadrata in quella particolare vicenda che giurisprudenza e dottrina definiscono come tutela risarcitoria da lesione del credito o da lesione dell'integrità del patrimonio, in cui possono rientrare diverse ipotesi comunque riconducibili ad attività di terzi che interferiscano nella mancata realizzazione di vantaggi economici collegati a posizioni contrattuali o, più generalmente, creditorie, procurando, appunto, una diminuzione patrimoniale. Per ormai acquisita esegesi giurisprudenziale dell'articolo 2043 c.c. risalente alla fondamentale pronunzia di cui a Cass. numero 174 del 1971, resa nel c.d. caso Meroni - il danno ingiusto suscettibile di risarcimento, secondo il paradigma della suddetta norma, é anche quello derivante dalla lesione esterna di un diritto di credito abbandonata ormai da decenni la teoria che pretendeva la tutela stessa come dipendente solo dalla lesione di un diritto assoluto , da una lesione cioè, riferibile ad un terzo diverso dall'obbligato, il quale abbia impedito l'adempimento di quest'ultimo o abbia, comunque, pregiudicato l'esistenza di quel diritto. Tuttavia, siffatta tutela presuppone che un credito esista e sia correlato ad un rapporto obbligatorio intercorrente tra creditore ed obbligato. Circostanza, quest'ultima, che non è dato riscontrare nella fattispecie in esame, posto che, per sua stessa origine storica, l'obbligazione creditoria presuppone l'interrelazione giuridica tra il soggetto attivo creditore della prestazione dovuta e soggetto passivo debitore della stessa. Nel caso in trattazione siffatta interrelazione non esiste, in quanto il procedimento sanzionatorio amministrativo è diretto alla repressione e, dunque, alla prevenzione di condotte illecite molte delle quali punite nel passato in via penale commesse a danno della collettività e la sanzione pecuniaria inflitta non costituisce la prestazione che assoggetta il debitore al creditore, bensì la punizione alla quale viene assoggettato il trasgressore nella specie, dei precetti del codice della strada . Così come sarebbe impensabile ritenere che le sanzioni pecuniarie penali costituiscano un debito del reo in favore dello Stato. Né rileva, rispetto a quanto finora argomentato, che il Comune sia il beneficiario finale delle somme riscosse all'esito del procedimento sanzionatorio e che l'ente stesso sia parte nel processo d'opposizione all'ordinanza ingiunzione. Questi aspetti si collegano al fatto che le somme riscosse debbano essere destinate a determinati fini che rientrano, appunto, nella sfera d'attribuzione del Comune e che al Comune stesso è demandato l'accertamento della trasgressione. A questo risultato sono già pervenute le sentenze di merito rese nella vicenda. Tuttavia, con estrema puntualità, la sentenza d'appello s'è fatta carico di affrontare un aspetto ancora più approfondito della questione. Postasi al cospetto dei principi scaturenti dalla fondamentale Cass. S.U. numero 500 del 1999, è andata a verificare se, comunque, il comportamento attribuito dal Comune alla Prefettura possa essere ritenuto lesivo di un interesse giuridicamente rilevante, meritevole di tutela risarcitoria, così come il menzionato arresto ebbe a stabilire. Ne ha correttamente dedotto che quello rappresentato dal Comune è un interesse di mero fatto, non differenziato dagli interessi generali, diretto all'osservanza da parte di un altro soggetto di doveri la cui violazione non vulnera posizioni soggettive specificamente determinate, ma soltanto l'ordinamento, ivi compreso anche il dovere degli organi amministrativi di attenersi, nell'esercizio del potere, ai canoni della buona amministrazione. In conclusione deve essere espresso il principio in ragione del quale In tema di risarcimento da fatto illecito, il Comune non vanta un diritto di credito avente ad oggetto le somme riscosse o da riscuotere all'esito del procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative di cui alla legge numero 689 del 1981, né una posizione differenziata, giuridicamente protetta rispetto alle attività demandate al Prefetto nel corso del procedimento stesso. Ne consegue che non è tutelabile in via aquiliana la pretesa del Comune di essere risarcito dal Ministero dell'Interno per la perdita degli introiti pecuniari derivanti dalla riscossione delle sanzioni pecuniarie amministrative perdite che l'ente stesso ritiene attribuibili a colpose omissioni o ritardi nell'adempimento dei compiti attribuiti al Prefetto nel corso del menzionato procedimento . Il ricorso deve essere, dunque, respinto, con condanna del ricorrente a rivalere la controparte delle spese sostenute nel giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 14200,00, di cui Euro 14000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.