Sposati per 35 anni: violenze da incubo o esagerazione? La moglie mostrava tolleranza a causa della prostrazione psicologica indotta dall'uomo

Confermata l'attendibilità dei racconti dei figli, sostenuti anche da una sentenza penale. La durata del legame figlia della incapacità della moglie di sottrarsi all'incubo. Confermata la separazione personale con addebito.

Ben trentacinque anni di matrimonio, un legame solido. Almeno in apparenza perché, in realtà, secondo quanto raccontato dai tre figli, il rapporto è stato una sorta di ‘inferno in terra’. Carnefice l’uomo, vittima la donna assieme alla prole . Come attesta la separazione personale pronunciata dal Tribunale, e accompagnata da addebito a carico dell’ex marito e assegno di mantenimento a favore della ex moglie. La ricostruzione dei fatti, fornita dai figli, oltre che dalla donna, è incontestabile. E nessun peso può essere dato alla tolleranza prolungata per anni manifestata dalla ex moglie come da sentenza della Cassazione, numero 24164, prima sezione civile, depositata ieri . L’incubo. I difficili rapporti tra moglie e marito portano, dopo ben trentacinque anni di matrimonio, alla richiesta di separazione personale. La decisione del Tribunale addebita la rottura del legame ai comportamenti dell’uomo, e riconosce alla donna un assegno di mantenimento. Su questa stessa falsariga si mantiene anche la Corte d’Appello, che amplia addirittura la misura del sostegno economico che l’uomo è obbligato a fornire alla donna dai 300 euro si passa ai 500 euro, mensili ovviamente. A pesare è, secondo i giudici, l’inferno vissuto dalla donna e dai figli . Più precisamente, «la condotta» dell’uomo «all’interno della famiglia, e nei confronti della moglie in particolare, fu gravemente lesiva dell’integrità psichica e morale, ancor prima di quella fisica, e, dunque, violativa dei doveri fondamentali nascenti dal matrimonio». E a dare forza a questa tesi i racconti della donna e dei figli, non solo in sede civile ma anche in sede penale. Riassumendo, viene documentato «il regime vessatorio cui, per decenni, la donna e i figli furono sottoposti». Come si spiega, però, il fatto che un matrimonio da incubo sia durato trentacinque anni? Semplicemente, «le violenze, le ingiurie, le umiliazioni avevano portato la donna ad un vero e proprio stato di prostrazione psicologica, tanto da non trovare mai la forza di sottrarsi, davvero, in quasi trentacinque anni, ad un vero e proprio calvario». Figli da riesaminare? Per l’uomo, però, la questione non può essere chiusa così. Per questo motivo, viene presentato ricorso in Cassazione, contestando la pronuncia d’Appello. E il cardine principale a finire nel mirino è la valutazione dei racconti fatti dai figli in merito ai rapporti tra moglie e marito. Senza dimenticare, poi, la questione delle relazioni extra-coniugali attribuite all’uomo. Più in particolare, l’uomo denuncia «la inattendibilità e la contraddittorietà delle deposizioni testimoniali rese dalla moglie e dai figli», anche alla luce della durata del rapporto coniugale, e critica l’utilizzo «delle risultanze della sentenza penale». E, a margine, viene anche criticata la decisione d’Appello di aumentare il contributo a favore della ex moglie. Nessun dubbio. La ricostruzione proposta dall’uomo, però, viene completamente rigettata dalla Cassazione. Per i giudici, difatti, le testimonianze rese dalla donna e dai figli sono assolutamente decisive. Nella sostanza, il quadro complessivo viene valutato come gravissimo, tanto da aver spinto la donna in uno «stato di prostrazione psicologica» tale da «non trovare la forza di sottrarsi ad un calvario». E questo quadro è emerso già in occasione del procedimento civile di primo grado, a prescindere dal successivo richiamo alla pronuncia emessa in sede penale. E per quanto concerne la parte economica? Anche in questo caso, i giudici di piazza Cavour mostrano di condividere quanto stabilito in Appello. Perché la somma stabilita in primo grado non era sufficiente a garantire alla donna «il tenore di vita del matrimonio», anche tenendo conto dello stato di «non occupazione» della donna. Eppoi, concludono i giudici, il consistente reddito dell’uomo – prescindendo dalle possidenze immobiliari – si può presumere sia aumentato nel tempo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 ottobre – 17 novembre 2011, numero 24164 Presidente Felicetti – Relatore Di Palma Fatto e diritto Ritenuto che il Tribunale di Caltagirone, con la sentenza numero 12/04 del 22 gennaio 2004, pronunciò la separazione personale dei coniugi S.I. e V.G., addebitandola a quest’ultimo, e pose a carico dello stesso l’assegno mensile di € 300,00 per il mantenimento della moglie che avverso tale sentenza il G. propose appello principale, in punto addebitabilità della a separazione dinanzi alla Corte di Catania, cui resistette la I., proponendo a sua volta appello incidentale, in punto misura dell'assegno di mantenimento che la Corte adita, con la sentenza numero 1006/06 del 18 ottobre 2006, respinse l'appello principale del G., accolse l' appello incidentale della I. e, in parziale riforma della sentenza impugnata, determinò l’assegno mensile per il mantenimento della moglie nella misura di € 500,00 a far data dalla pubblicazione della sentenza che, per quanto in questa sede ancora rileva., la Corte a quanto alla conferma della pronuncia di addebito della separazione al G. ha affermato « [ ] alla stregua delle testimonianze pressoché unanimi dei tre figli della coppia in contesa, è emerso che la condotta mantenuta dal G. all’interno della famiglia, e nei confronti della moglie in particolare, fu gravemente lesiva dell’integrità psichica e morale, ancor prima di quella fisica, della donna e di tutto il nucleo familiare e, dunque, violativa dei doveri fondamentali nascenti dal matrimonio. Tanto è apparso assumere indubitabilmente efficacia causale rispetto alla crisi definitiva, alla finale situazione di totale fallimento della convivenza, rispetto alla quale, trattandosi di diritti e doveri non disponibili, non rileva l’eventuale tolleranza – durata nella specie per lunghissimo tempo prestata da parte del coniuge più debole. Simile deduzione è stata altresi rafforzata dal contenuto della sentenza pena e prodotta in atti sulla cui acquisizione controparte nulla ha opposto atto che, attestando il contenuto delle particolareggiate deposizioni della donna e dei figli, documenta con chiarezza lo sconcertante abituale regime vessatorio cui per decenni la donna – e gli stessi figli – furono sottoposti ad opera del G. le violenze, le ingiurie, le umiliazioni di ogni natura agite dall’uomo che avevano portato la donna ad un vero e proprio stato di prostrazione psicologica tanto da non trovare mai la forza di sottrarsi davvero, in quasi trentacinque anni, ad un vero e proprio calvario. E’ evidente che la gravità del quadro complessivamente emerso rende del tutto superfluo l’accertamento dell’allegata, ultima relazione extraconiugale e dell’epoca della sua effettiva verificazione» b quanto alla determinazione dell'assegno di mantenimento in favore della I., ha affermato che già dalle risultanze probatorie del giudizio di primo grado, in specie dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, emergeva che la somma mensile di € 300,00 non appariva & lt & lt Congrua rispetto al presumibile tenore di vita assicurato durante il matrimonio dal capofamiglia», tenuto anche conto del «permanente stato di non occupazione lavorativa della donna, da sempre deliberato dai coniugi» ha aggiunto che, «pur prescindendo dalle possidenze immobiliari delle quali è traccia talune comuni ai coniugi ed altre di sola pertinenza del marito , risultava che per l’anno 2000 il G. ebbe a percepire un reddito di L. 53.723.000 circa» ha concluso che, «in mancanza della benché minima contestazione dell'uomo circa l'inadeguatezza di mezzi economici lamentati dalla moglie e di qualsivoglia allegazione in ordine pure alle proprie attuali condizioni reddituali, che devono presumersi naturalmente incrementate nel tempo, sembra equo determinare il già riconosciuto assegno mensile in euro 500,00» avverso tale sentenza V.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura che S.C., benché ritualmente intimata, non si è costituita ne ha svolto attività difensiva che il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato che, con il primo motivo con cui deduce violazione norma di diritto ex articolo 360, 1 c. numero 3 violazione articolo 132 c.p.c. per insufficiente motivazione» , il ricorrente dopo aver riprodotto tutti i motivi d'appello concernenti sia la mancanza di prova certa della violazione dei doveri dei coniugi di cui all'articolo 143 cod. civ. sia la mancanza di adeguata motivazione in ordine alla dichiarazione di addebito critica la sentenza impugnata, sostenendo che i giudici a quibus hanno motivato in modo insufficiente sull’addebito e menzionando, ad esempio, il punto della sentenza ove si richiamano le sue asserite relazioni extraconiugali a conclusione del motivo, formula il seguente quesito di diritto Il Giudice di appello nella esposizione dei motivi di diritto, nella sentenza, deve obiettivamente trattare i singoli motivi posti a andamento dell'atto di appello?» che il motivo è palesemente inammissibile, sia per l’inadeguata formulazione del quesito di diritto, sia per la omessa formulazione del cosiddetto momento di sintesi, sia per l’estrema genericità del contenuto del ricorso che infatti quanto al quesito di diritto, lo stesso è formulato in modo del tutto astratto, senza alcun riferimento alla o alle concrete fattispecie sottostanti alle critiche dedotte quanto all'evocato vizio di insufficiente motivazione, il motivo non si conclude né con la chiara indicazione del fatto o dei fatti controversi in relazione ai quali il vizio è dedotto né con le specifiche ragioni della asserita inidoneità della motivazione a giustificare la decisione impugnata, senza contare inoltre che l'unico fatto controverso menzionato «per esempio» le contestate relazioni extraconiugali del ricorrente è stato espressamente escluso dalla ratio decidendi, laddove i Giudici a quibus affermano «È evidente che la gravità del quadro complessivamente emerso rende del tutto superfluo l’accertamento dell’allegata, ultima relazione extraconiugale e dell’epoca della sua effettiva verificazione» che, con il secondo motivo con cui deduce «Violazione norma di diritto ex articolo 360, 1 c. numero 3 violazione articolo 115--116 c.p.c. per errata disponibilità e valutazione delle prove , il ricorrente critica, per altro verso, la sentenza impugnata, nella parte in cui pone a base della decisione le risultanze della sentenza penale, sostenendo che la Corte non ha sottoposto a rigoroso vaglio critico le testimonianze rese dinanzi al giudice penale e non ha considerato che tali testimonianze valgono, al più, come fonte di presunzione semplice che tale motivo é infondato che, infatti posto il principio che il giudice civile, in presenza di una sentenza penale di condanna non definitiva, può trarre elementi di convincimento dalle risultanze del procedimento penale, in particolare utilizzando come fonti le prove raccolte e gli elementi di fatto acquisiti in tale giudizio, ma è necessario che il procedimento di formazione del proprio libero convincimento sia esplicitato nella motivazione della sentenza, attraverso l’indicazione degli elementi di prova e delle circostanze sui quali esso si fonda, non essendo sufficiente il generico richiamo alla pronuncia penale che si tradurrebbe nella elusione del dovere di autonoma valutazione delle complessive risultanze probatorie e di conseguenza nel vizio di omessa motivazione cfr., ex plurimis, le sentenze numero 10055 deL 2010, 5009 del 2009 e 16559 del 2005 E, nella specie, la Corte di Catania ha tenuto conto innanzitutto delle prove testimoniali assunte dai giudici di primo grado, dichiarando che tali elementi probatori, acquisiti direttamente, risultano soltanto “rafforzati” dalle deposizioni rese dai medesimi testimoni moglie e figli del G. in sede penale, ed ha precisato che il contenuto delle prove assunte direttamente in sede civile è il medesimo violenze fisiche e psichiche perpetrate dal G. nei confronti della moglie e dei figli di quello risultante dagli atti del giudizio penale, in tal modo mostrando di aver compiuto un’autonoma valutazione di tutto il complesso delle prove acquisite nel giudizio civile e, quindi, anche di quelle raccolte nel giudizio penale che con il terzo motivo con cui deduce «Omessa, insufficiente o contradditoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , il ricorrente, premesso che i fatti controversi richiamati nei motivi di appello sono maltrattamenti e vessazioni, relazione extraconiugale e presunto incremento reddituale dello stesso ricorrente – critica la sentenza impugnata sotto il profilo degli enunciati vizi di motivazione, per insufficienza circa la inattendibilità e la contraddittorietà delle deposizioni testimoniali rese dalla moglie e dai figli, nonché per insufficienza circa l’affermato incremento reddituale goduto dal ricorrente medesimo che i l motivo è inammissibile, per omessa formulazione del cosiddetto momento di sintesi imposto dall’articolo 366 bis cod. proc. civ. che infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio, la menzionata disposizione codicistica, applicabile alla specie ratione temporis, impone va l’obbligo, a pena di inammissibilità, in ordine alla proposizione di ciascun motivo riconducibile all’articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c., di indicare in modo chiaro, sintetico, evidente ed autonomo, secondo l’univoca interpretazione datane da questa Corte, il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione cfr. ex plurimis, l’ordinanza numero 27680 del 2009 e la sentenza ielle sezioni unite numero 16528 del 2008 che nella specie, invece, il ricorrente ha omesso di formulare, a conclusione della illustrazione del motivo, detto “momento di sintesi con le caratteristiche dianzi indicate che non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese del presente grado del giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso.