L'atto maturato in silenzio-assenso è penalmente rilevante solo se la violazione è evidente

Se il silenzio assenso, seppur viziato, risulta oscuro all’occhio del funzionario negligente per la specificità della normativa di dettaglio, non si può parlare di abuso d'ufficio. Deve configurarsi un vantaggio o profitto e la corrispondente volontà dell’agente di raggiungere quei fini criminali.

Un Procuratore Generale impugnava la sentenza di non luogo a procedere emessa da un G.U.P. locale nei confronti di più imputati funzionari comunali, i quali non si sarebbero attivati per impedire ad un cittadino di usufruire della sanatoria edilizia ex l. numero 326 del 24 novembre 2003, pur in assenza dei requisiti di legge. La pubblica accusa contesta l’assunto di irrilevanza del giudice nei confronti dei comportamenti degli imputati, precisando che l’istituto del silenzio-assenso, previsto dalla stessa normativa di sanatoria, avrebbe permesso al richiedente concessione di usufruire di un atto, benché viziato per carenza dei presupposti normativi, in grado di sanare le irregolarità di un immobile ad uso abitativo sprovvisto dei necessari titoli urbanistici ed edilizi. Gli imputati avrebbero dunque omesso di verificare la rispondenza di quella richiesta di sanatoria ai canoni legali, consentendo la maturazione dei termini – 24 mesi – per la concessione implicita del titolo abilitativo. La Cassazione, con la sentenza numero 42415/2011 depositata il 17 novembre, così si pronuncia «Nella ipotesi in esame, è vero che gli imputati non hanno rilasciato alcun atto formale, ma hanno posto in essere un tassello della sequela procedimentale che avrebbe potuto sfociare – nel caso in cui nessuno ne avesse rilevato l’illegittimità -, in una indebita sanatoria di opere, all’evidenza, non condonabili, perché non concernevano manufatti ad uso abitativo. Pertanto merita un nuovo esame la conclusione del Giudice secondo il quale le emergenze acquisite non potevano essere consolidate nell’ulteriore corso di giustizia e che il caso non richiedeva l’approfondimento ed il vaglio della fase dibattimentale». La specificità della previsione penale e l’ampiezza del fare amministrativo. L’ampia casistica dei reati contro la pubblica amministrazione sconta ormai la quotidiana convivenza fra norme penali costituite da elementi materiali e volitivi da riscontrare con affidabile certezza, con il complesso normativo, regolamentare e dei criteri di opportunità che guida le scelte dei singoli amministratori/funzionari chiamati a porre in essere comportamenti amministrativamente rilevanti. Sotto un profilo penale omettere un comportamento dovuto, se chiamati ad intervenire per legge, per norma, per dovere di ruolo o per convenzione sociale, equivale sotto ogni profilo sanzionatorio a porre in essere comportamenti attivi articolo 40, comma 2, c.p. . Può seguire la colpevole omissione anche un evento in senso giuridico, quale esito di un meccanismo deterministicamente legiferato, che alla mancanza di provvedimenti espressi della pubblica amministrazione fa conseguire la modifica di situazioni giuridiche fatte valere nei confronti della pubblica amministrazione medesima e/o nei confronti degli altri cittadini consociati. Tali sono i casi di silenzio-assenso previsti dalle leggi amministrative – di cui al caso in esame, quello configurato dall’articolo 32, comma 37, l. numero 326/2003 -. Sotto il profilo della compatibilità normativa, da verificare ogni qual volta lo scoglio della normativa penale si staglia sulla piattaforma mobile delle leggi amministrative, va affrontata una sovente difficoltà applicativa della disposizione penale. Le disposizioni speciali sul silenzio-assenso richiedono la presenza di requisiti formali e sostanziali per la concessione dei titolo abilitativo, si tratta di elementi di dettaglio che richiedono una conoscenza specialistica da parte del funzionario e spesso un giudizio di fattibilità della concessione, evidentemente permeato da un certo carattere di discrezionalità tecnica ed amministrativa. Il giudice penale mira a verificare il requisito della violazione di legge, ai fini della integrazione dell’abuso d’ufficio, laddove, invece, le patologie dell’atto amministrativo sono più ampie e le formule formazione della volontà dell’organo amministrativo ancora più variegate – v., appunto, silenzio-assenso -. Il giudizio penale, sostenuto da affidabile certezza, deve dunque contenere un giudizio sulla violazione della disciplina amministrativistica, non potendone tuttavia contenere ogni vizio, appurata la funzione residuale che l’intervento penale deve possedere fra le sanzioni civili. Una soluzione è penalmente rilevante solo la violazione evidente. Un criterio sintomatico dell’evidenza. Difatti la Cassazione ha inteso limitare il cono d’ombra della sanzione penale, ha ritenuto che la mancanza dei requisiti era ictu oculi così evidente che era d’obbligo un atto di diniego. Ne segue che la Cassazione chiude un varco al penale quando il silenzio assenso, seppur viziato, risulta oscuro all’occhio del funzionario negligente, per la specificità della normativa di dettaglio. Nel caso il Collegio ritiene, rinviando al giudice di merito, che tale evidenza debba essere sintomaticamente indagata mediante una ricerca del vantaggio o del profitto a sé o a terzi richiesti dalla previsione dell’abuso d’ufficio e della corrispondente volontà dell’agente di raggiungere quei fini criminali, di fatto operando una operazione di sovrapposizione fra verifica del dato volitivo/psicologico e verifica dei più dati materiali/costitutivi della fattispecie ex articolo 323 c.p., il che costituisce, secondo un ammonimento ormai consolidato in dottrina, sinonimo di un’analisi penale nervosa ed imperfetta. La conseguenza incongruenza processuale. Se vale quanto suddetto, appare anche abnorme definire la impugnata sentenza di non luogo a procedere riformabile in quanto non sarebbe stata indagata la volontà di far conseguire un indebito profitto. L’articolo 425, comma 3, c.p.p., richiamato dalla sentenza in commento, postula l’inidoneità di quanto acquisito a sostenere l’accusa nel dibattimento e non intende consentire al giudice di legittimità di rinviare al Tribunale demandando nuove verifiche, come quelle in punto di volontà criminale ai sensi della previsione dell’abuso d’ufficio, le quali non attengono alla previa verifica dell’integrazione delle singole componenti materiali della fattispecie penale. È più corretto ritenere che quel giudizio di idoneità debba essere integrato all’interno dei dati istruttori già acquisiti e catalogati, piuttosto che all’interno del giudizio ipotetico sulla volontà di commettere quel reato, valutazione che era stata omessa in sede di decisione impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 ottobre – 17 novembre 2011, numero 42415 Presidente Ferrua – Relatore Squassoni Motivi della decisione Il Giudice per la udienza preliminare del Tribunale di Lanciano, procedendo a sensi dell'articolo 425 c.p.p., ha dichiarato non doversi procedere, perché il fatto non sussiste a carico di S.R. e C.D. per il reato di abuso di atti di ufficio contestato sotto il profilo che gli imputati - nelle rispettive qualità di dirigente del settore urbanistico e di responsabile del procedimento-avevano illegittimamente accolto una domanda di condono procurando un ingiusto vantaggio al richiedente . A sostegno della conclusione, il Giudice ha rilevato che gli imputati non avevano emesso alcun provvedimento sulla richiesta di sanatoria essendosi limitati a determinare le somme dovute per il condono. Inoltre, tale istanza con la quale si chiedeva di legittimare la realizzazione di una pavimentazione in asfalto di terreno agricolo per l'utilizzo dell'area a parcheggio e servizio di pompa erogatrice di gasolio ad uso privato era accoglibile ciò in quanto l'articolo 32 c.27 legge 269/2003 non vieta modifiche di destinazione di uso in zone vincolate solo dallo strumento urbanistico locale. Il Giudice ha concluso osservando che le prove acquisite non erano modificabili in un eventuale dibattimento. Per l'annullamento della sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo difetto di motivazione e violazione di legge. Dopo avere puntualizzato la regola di giudizio che deve guidare il magistrato nell'emettere una sentenza ex articolo 425 c.p.p. e puntualizzato l'iter amministrativo che è alla base del processo, rileva - che è inconferente la mancata adozione di un formale atto da parte del Comune perché il condono si perfeziona tacitamente per il silenzio assenso dopo la determinazione della somma dovuta, il suo pagamento ed il passaggio del tempo - che la sanatoria non era ammissibile perché l'opera non era conforme agli strumenti urbanistici generali in vigore nel territorio. Le censure sono meritevoli di accoglimento. In tema di condono, il silenzio assenso ex articolo 32 comma 37 legge 269/2003, si forma, sempre che sussistano i requisiti normativamente richiesti per ottenere la sanatoria, in seguito al pagamento integrale della oblazione,al versamento degli oneri accessori, al perfezionamento delle altre condizioni inserite dalla norma uniti al decorso del termine di anni due dalla presentazione della domanda senza l'adozione di provvedimenti negativi da parte del Comune. Se mancano i requisiti per un provvedimento esplicito di sanatoria, non è praticabile quello implicito con il silenzio - accoglimento. Nella ipotesi in esame, è vero che gli imputati non hanno rilasciato alcun atto formale, ma hanno posto in essere un tassello della sequela procedimentale che avrebbe potuto sfociale - nel caso in cui nessuno avesse rilevato la illegittimità - in una indebita sanatoria di opere, all'evidenza, non condonabili perché non concernevano manufatti ad uso abitativo. Ora gli imputati, persone per la loro qualifica lavorativa esperte nel settore edilizio, avrebbero dovuto ictu oculi rilevare che mancavano i requisiti per la sanatoria e che la relativa domanda era da respingere di conseguenza, il loro comportamento, posto in essere in violazione di legge, faceva sorgere, quanto meno, un qualificato sospetto e poteva costituire un indizio significativo del fine di fare conseguire un indebito vantaggio patrimoniale del richiedente la sanatoria tale aspetto della situazione non è stato esaminato nell'erroneo presupposto che l'intervento fosse condonabile. Pertanto, merita un nuovo esame la conclusione del Giudice secondo il quale le emergenze acquisite non potevano essere consolidate nell'ulteriore corso di giustizia e che il caso non richiedeva l'approfondimento ed il vaglio della fase dibattimentale. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Lanciano.