Tentata estorsione a pochi giorni dall’uscita dal carcere. Inevitabili i domiciliari

L’attualità del pericolo di recidiva, presupposto per l’applicazione delle misure cautelari, deve essere valutata in concreto, analizzando la personalità dell’accusato anche sulla base delle modalità delle condotte e le sue concrete condizioni di vita.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza numero 30632/17 depositata il 19 giugno. Il caso. Avverso la sentenza che confermava l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, l’imputato a cui viene contestato il reato di tentata estorsione ricorre in Cassazione. Il ricorrente deduce l’inconfigurabilità del tentativo posto che avrebbe volontariamente desistito dall’azione criminosa, nonché la mancanza degli elementi per ritenere che il pericolo di reiterazione fosse concreto ed attuale, proprio in considerazione della sua desistenza volontaria. Tentativo. La Corte esclude l’ammissibilità della prima doglianza in considerazione del costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la costrizione che fa seguito alla violenza o minaccia attiene all’evento del reato dell’estorsione, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno è un evento ulteriore. Il tentativo è dunque configurabile in ogni caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungano il risultato della costrizione della persona offesa al facere ingiunto. Pericolo. Con riferimento alle esigenze cautelari, di cui il ricorrente lamenta l’insussistenza, il Collegio sottolinea che il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato deve essere interpretato sulla base del contesto e della personalità dell’agente, unici elementi che consentono una valutazione specializzata e non astratta sulla futura probabile commissione di nuovi delitti. Ne consegue dunque che nella valutazione dell’attualità del pericolo di reiterazione assume rilevanza non solo il giudizio sulla permanenza del periculum libertatis dal momento della consumazione del fatto a quello in cui viene effettuato il giudizio cautelare, ma anche la proiezione futura e potenziale di tale stato soggettivo. In conclusione, la Corte riassume affermando che il pericolo di reiterazione è concreto, ogni volta che vengano dimostrati elementi non ipotetici ma reali da cui dedurre la probabilità di recidiva ed attuale, ogni volta in cui sia possibile una «prognosi infausta» sulla ricaduta nel delitto o sia possibile valutare la sussistenza di un pericolo di «recidiva prossima» o «imminente». Ciò posto la sentenza impugnata risulta conforme ai principi summenzionati avendo accertato che la condotta contestata si era perfezionata dopo soli 10 giorni dall’uscita dal carcere del ricorrente e a 3 anni dalla cessazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, circostanze da cui - correttamente – il giudice di merito ha dedotto l’«allarmante attualità» del pericolo ed una «incoercibile propensione al delitto». La Corte dichiara dunque inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 maggio – 19 giugno 2017, numero 30632 Presidente Prestipino – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Bari, sezione per il riesame delle misure coercitive confermava l’ordinanza di applicazione al C. della misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di tentata estorsione. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagato che deduceva 2.1. vizio di legge in ordine alla configurabilità del tentativo l’indagato avrebbe volontariamente desistito dall’azione criminosa non riproponendo le minacce nonostante avesse più volte incontrato i dipendenti della ditta della persona offesa si deduceva che nonostante il C. avesse il dominio della situazione non aveva volontariamente portato a termine la condotta né erano stati individuati elementi esterni alla volontà dell’indagato che avrebbero interrotto l’azione criminosa 2.2. vizio di legge e di motivazione mancherebbero gli elementi per ritenere che il pericolo di reiterazione fosse concreto ed attuale, anche tenuto conto del fatto che il C. aveva desistito dal portare a termine l’azione criminosa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Il primo motivo che invoca vizio di legge e di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della desistenza non si confronta con la giurisprudenza, condivisa dal collegio, secondo cui la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si ha solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere una persona al facere ingiunto Cass. sez. 2 numero 11922 del 12/12/2012, rv 254798 Cass. sez. 2 numero 37515 del 11/06/2013 rv 256658 . Nel caso di specie la Corte territoriale, confermando il giudizio del Tribunale rilevava che le minacce esplicite ed implicite del C. hanno incusso timore nel d.N. che ha dichiarato espressamente di aver percepito le frasi ed il contegno come intimidatorio pag. 3 della sentenza impugnata . Si tratta di una valutazione di merito, che non presenta illogicità ed è coerente con le emergenze processuali. Tale valutazione non risulta incisa dalle allegazioni difensive, che si risolvono nella invocazione del riconoscimento della desistenza, ma non si confrontano con il dato, invero fondamentale, della consumazione del reato, seppur solo nella forma tentata che consegue al riconoscimento della costrizione. In materia di oneri gravanti sul ricorrente che invoca il riconoscimento della desistenza il collegio ribadisce, infatti che la prova della riconducibilità della desistenza volontaria alla volizione dell’agente, nonché della non dipendenza dell’avverarsi dell’evento da fattori esterni grava su chi la deduce Cass. sez. 1 numero 21955 del 02/02/2010, Rv. 247402 Cass. sez. 6 numero 7937 del 10/03/1995 Rv. 202577 . 1.2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. Si deduce il difetto della motivazione in relazione alla dimostrazione dell’attualità e della concretezza del pericolo cautelare. Con riferimento all’attributo dell’attualità nella giurisprudenza di legittimità sì registra una divaricazione interpretativa da un lato si interpreta il requisito della attualità, ritenendo che lo stesso esprima la necessità della permanenza dello stato di pericolosità personale dell’accusato dalla manifestazione di devianza fino al momento in cui viene effettuato il giudizio sulla cautela in tale prospettiva assume qualche rilievo anche la prossimità del fatto per cui si procede rispetto al tempo in cui si effettua il giudizio cautelare Cass. sez. 2, numero 18744 del 14/04/2016, Rv. 266946 Cass. sez. 6, numero 3043 27/11/2015, Rv. 265618 . Dall’altro si valorizza la necessità di individuare condizioni, esterne all’accusato, non riconducibili alla sua personalità, che possono favorire la ricaduta nel delitto e che giustificano un giudizio prognostico infausto in ordine alla possibilità di prossime , ovvero imminenti devianze. Quest’ultima lettura è, peraltro, in parte fatta propria anche dal primo orientamento laddove, nel riconoscimento dell’attualità si valorizza la presenza di elementi che lascino prevedere la concretizzazione del rischio di recidiva. Tale interpretazione viene portata all’estremo laddove si giunge a ritenere che per ritenere integrato il requisito richiesto, occorra addirittura la previsione di una specifica occasione per delinquere. In estrema sintesi il primo orientamento pone al centro della valutazione la personalità del soggetto, mentre il secondo valorizza eventuali condizioni oggettive o di contesto in grado di attivare la latente pericolosità dell’accusato e rendere attuale il pericolo cautelare. Invero si tratta di orientamenti solo in apparenza divergenti in quanto valorizzano due diverse dimensioni del requisito dell’attualità da un lato la presenza di indici di proclività al delitto desumibili dalla analisi squisitamente soggettiva della personalità dell’accusato dall’altro la presenza di attivatori del pericolo oggettivi ricavabili da dati ambientali o di contesto. Entrambe le dimensioni dell’attualità devono essere prese in considerazione il pericolo non sarebbe attuale in presenza di assenza di indici soggettivi di pericolosità, nondimeno il requisito verrebbe meno in assenza di condizioni esterne idonee a favorire la recidiva. Del resto il giudizio cautelare, ontologicamente probabilistico, non può ridursi all’accertamento di uno stato , ovvero alla verifica della permanenza delle condizioni soggettive che caratterizzavano la persona dell’accusato al tempo della commissione del delitto a quello della applicazione della cautela, ma deve necessariamente estendersi alla valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto. Tale giudizio non può che fondarsi sulle emergenze disponibili tra le quali sono comprese, oltre alla personalità dell’accusato anche le concrete modalità del delitto per cui si procede, nonché le sue oggettive condizioni di vita in assenza di cautele. La valutazione dell’attualità non può, pertanto, prescindere dallo scrutinio degli unici elementi, contesto e personalità, che consentono un giudizio specializzante e non astratto circa la futura, probabile, commissione di nuovi delitti. Tanto premesso, nella valutazione dell’attualità del pericolo di reiterazione diventa rilevante non solo il giudizio sulla permanenza del periculum libertatis dal momento della consumazione del fatto per cui si procede a quello in cui viene effettuato il giudizio cautelare, ma anche la proiezione di tale stato soggettivo nel futuro prossimo, attraverso la effettuazione di un giudizio di tipo probabilistico tipico della cognizione cautelare fondato sulla valutazione delle concrete condizioni di vita dell’indagato. Pertanto si ritiene che il pericolo di reiterazione sia concreto ogni volta che si dimostri l’esistenza di elementi non ipotetici, ma reali, dai quali si possa dedurre la probabilità di recidiva sia attuale ogni volta in cui sia possibile una prognosi infausta in ordine alla ricaduta nel delitto, ovvero sia possibile valutare l’esistenza di un pericolo di recidiva prossime all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente . Non si richiede, invece, che il giudizio sulla attualità si estenda alla previsione di una specifica occasione per delinquere, la cui previsione esula dalle facoltà del giudice della cautela. Né si ritiene che la valutazione circa l’alta probabilità di una prossima ricaduta nel delitto debba essere intesa come stringente immediatezza , ovvero imminenza . Il giudizio sulla attualità deve essere dunque fondato sia sull’analisi della personalità dell’accusato desumibile anche, seppur non solo dalle modalità del fatto per cui si procede , sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Il giudice della cautela deve, in ogni caso, valorizzare l’esistenza di elementi specializzanti, senza limitarsi alla rilevazione della astratta gravità del titolo di reato. 1.3. Nel caso di specie, in coerenza con tali indicazioni ermeneutiche, l’attualità del pericolo veniva argomentata sulla base del fatto che la condotta contestata veniva perfezionata dall’indagato appena dieci giorni dopo la sua uscita dal carcere ed a distanza di soli tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale pag. 4 dell’ordinanza impugnata . Si tratta di circostanze che il collegio ha correttamente ritenuto indicative di una allarmante attualità dimostrando una incoercibile propensione al delitto. Anche sotto questo profilo il provvedimento impugnato si sottrae, pertanto, ad ogni censura. 2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 1500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500.00 favore della Cassa delle ammende.