Il Comune deve risarcire il danno subito dall’automobilista che, a causa di una buca ricolma d’acqua, perde il controllo del veicolo, finendo in una scarpata.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 3793 del 18 febbraio 2014. Strada dissestata. Il Tribunale di Lagonegro accoglieva la domanda di una donna che chiedeva al Comune di Lauria il risarcimento dei danni subiti in un incidente stradale a causa della presenza sull’asfalto di una buca ricolma d’acqua, non segnalata, che le faceva perdere il controllo dell’auto e determinava la caduta nella scarpata sottostante. Tale decisone veniva riformata in secondo grado, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune. La donna ricorre in Cassazione. Danni cagionati da cose in custodia. La suprema Corte giudica fondato il ricorso, analizzando il contenuto dell’articolo 2051 c.c. relativo alla responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia essa ha carattere oggettivo e per la sua configurazione è necessario il nesso eziologico tra la cosa custodita e il danno arrecato. La nozione di custodia non implica un obbligo di custodire analogo a quello del depositario. Al contrario, la funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, «dovendo, pertanto, considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Per escludere tale responsabilità occorre il caso fortuito. Ne deriva che solo il caso fortuito può escludere tale tipo di responsabilità, il quale sia riconducibile ad un elemento esterno, imprevedibile ed inevitabile. Onere della prova. Tenuto conto di ciò, l’attore, che mira ad ottenere il risarcimento, deve provare il nesso di causalità tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi da responsabilità, deve provare un fattore a lui estraneo e che interrompa il nesso causale. Responsabilità della P.A. Nel caso di specie, il Supremo Collegio ricorda che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, ex articolo 2051 c.c., si presume responsabile dei sinistri causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze. Tale responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere sia in un’alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima che ha omesso le normali cautele esigibili in situazioni analoghe. Erronea l’applicazione dell’articolo 2043 c.c. La Corte di merito, quindi, ha errato nel fondare la sua decisione sull’articolo 2043 c.c., imponendo al danneggiato e non alla P.A. l’onere di provare l’esistenza dell’insidia o del trabocchetto. La sentenza deve, di conseguenza, essere cassata e la causa rimessa alla corte d’Appello di Potenza in diversa composizione.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 11 dicembre 2013 – 18 febbraio 2014, numero 3793 Presidente Segreto – Relatore Vivaldi Svolgimento del processo C.D. convenne, davanti al Pretore di Lauria, il Comune di Lauria chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti nell'incidente stradale del omissis lungo la strada omissis , quando, per la presenza sull'asfalto di una buca ricolma di acqua, non segnalata, perdeva il controllo dell'autovettura e finiva in una scarpata sottostante. All'esito del giudizio, il tribunale di Lagonegro – essendo nelle more entrata in vigore l'istituzione del giudice unico -, con sentenza del 21.3.2003, accolse la domanda condannando il Comune convenuto al risarcimento dei danni come quantificati in sentenza. A diversa conclusione pervenne la Corte d'Appello che, con sentenza in data 1.3.2007, accolse - come si desume dalla parte motivazionale della sentenza impugnata in questa sede l'appello proposto dal Comune rigettando la domanda proposta dalla C. . Quest'ultima ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L'intimato non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Preliminarmente si rileva che il dispositivo della sentenza impugnata riporta come dizione rigetta l'appello , laddove la motivazione della sentenza conduce chiaramente al suo accoglimento. Si tratta di evidente errore materiale, che questa Corte può rilevare al limitato fine di escludere la ricorrenza di un errore di giudizio o di attività, devoluto al suo sindacato Cass. 12.3.2012 numero 3863 , ma che non può correggere, spettando tale attività al giudice a quo ai sensi dell'articolo 287 e segg. c.p.c. Cass. 7.11.2005 numero 21492 . Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio 2006, numero 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione con l'applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I. Secondo l'articolo 366 bis c.p.c. - introdotto dall'articolo 6 del decreto - i motivi di ricorso devono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall'articolo 360, numero 1 , 2 , 3 e 4, l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall'articolo 360, primo comma, numero 5 , l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Segnatamente, nel caso previsto dall'articolo 360 numero 5 c.p.c., l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto , che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità S.U. 1.10.2007 numero 20603 Cass. 18.7.2007 numero 16002 . Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l'enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta v. S.U. 11.3.2008 numero 6420 che ha statuito l'inammissibilità - a norma dell'articolo 366 bis c.p.c. - del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un'enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo . La funzione propria del quesito di diritto - quindi - è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare da ultimo Cass.7.4.2009 numero 8463 v, anche S.U. ord. 27.3.2009 numero 7433 . Inoltre, l'articolo 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta -ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso stesso -, una diversa valutazione, da parte del giudice di legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell'articolo 360, primo comma, c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura - come già detto - deve, all'esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione e formalità espressiva va funzionalizzata, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., all'enunciazione del principio di diritto, ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza. Nell'ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui al numero 5 dell'articolo 360 c.p.c.c. il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata , è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso c.d. momento di sintesi - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione v. da ultimo Cass. 25.2.2009 numero 4556 v. anche Cass. 18.11.2011 numero 24255 . I motivi - che denunciano la violazione degli articolo 2043 e 2051 c.c. in relazione alla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati da cose in custodia strada - investono la soluzione di una questione di diritto più volte esaminata dalla Corte di legittimità. Essi, esaminati congiuntamente, sono fondati per le ragioni che seguono. Sono principii consolidati nella giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di danni da cose in custodia i seguenti. La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall'articolo 2051 cod. civ. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone, né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito da intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato , fattore che attiene non già ad un comportamento del custode che é irrilevante bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile, non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità. L'attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale Cass. 19.2.2008 numero 4279 Cass.19.5.2011 numero 1106 v. anche Cass. 11.3.2011 numero 5910 . Con riferimento, poi, alla responsabilità della P.A. sui beni di sua proprietà, ivi comprese le strade, va ribadito che l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'articolo 2051 c.c., dei sinistri causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze. Tale responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere, sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima, consistita nell'omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe e che, attraverso l'impropria utilizzazione del bene pubblico, abbia determinato l'interruzione del nesso eziologico tra lo stesso bene in custodia ed il danno Cass. 13.3.2013 numero 6306 Cass. 5.2.2013 numero 2660 Cass. 18.10.2011 numero 2108 Cass. 25.5.2010 numero 12695 Cass.7.4.2010 numero 8229 Cass. 20.11.2009 numero 24529 Cass. 19.11.2009 numero 24419 Cass. 25.7.2008 numero 20247 v. anche Cass. 28.9.2012 numero 16542 . Erroneamente, quindi, la Corte di merito ha fondato la propria decisione sulla non applicabilità della norma dell'articolo 2051 c.c., ma di quella dell'articolo 2043 c.c. imponendo al danneggiato l'onere di provare l'esistenza dell'insidia o del trabocchetto. La fattispecie, invece, dovrà essere esaminata dal giudice del rinvio sulla base della norma dell'articolo 2051 c.c. e dei principi, anche in tema di prova, sopra enunciati. Conclusivamente, il ricorso è accolto la sentenza cassata e la causa rimessa alla Corte di Appello di Potenza in diversa composizione. Le spese sono rimesse al giudice del rinvio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Potenza in diversa composizione.