Lo scoperto del conto non prova che la banca conosceva la crisi della società

Per poter revocare una rimessa bancaria, effettuata sul conto corrente di una società nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento, il curatore ha l’onere di dimostrare che la Banca conosceva lo stato d’insolvenza della debitrice, e tale prova non può considerarsi raggiunta solo sulla base della costante scopertura del conto corrente della fallita, perché si tratta di circostanza equivoca, che potrebbe indicare una fiducia della banca nelle capacità economiche del proprio cliente.

È il principio espresso dall’ordinanza n. 25952 della Cassazione, depositata il 19 novembre 2013. Il caso . La curatela di una società fallita proponeva azione revocatoria, ex art. 67, comma 2, l. fall., per far dichiarare inefficaci, nei confronti della massa dei creditori, alcune rimesse solutorie affluite sul conto corrente della società, nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava la Banca a restituire l’importo oggetto di revocatoria e la Corte d’Appello confermava la decisione. L’istituto proponeva, quindi, ricorso per cassazione. Revocatoria e prova della scientia decoctionis. Presupposto della revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67, comma 2, l. fall., è la prova, incombente sul curatore, della conoscenza, da parte della Banca che ha effettuato le rimesse, dello stato di insolvenza della debitrice. La Corte d’Appello ha ritenuto provata questa scientia decoctionis , in via presuntiva, dall’andamento del conto corrente, caratterizzato da costante scopertura, e dal cospicuo indebitamento della società, oltre che da asserite informazioni ricavabili dai sistemi di controllo, quali la Centrale Rischi, di cui dispongono gli istituti di credito. Per la Cassazione, però, si tratta di argomentazioni astratte e generiche e fondate su elementi probatori privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dagli artt. 2927 e 2929 c.c. La Corte di merito, insomma, ha tratto la presunzione del fatto ignorato la scientia decoctionis , da un fatto ignoto l’acquisizione, non dimostrata, da parte della Banca di ipotetiche segnalazioni di grave sofferenza del cliente provenienti dalla Centrale Rischi, non provate in corso di causa e di cui pertanto si ignora non solo il contenuto ma persino l’esistenza . Lo scoperto del conto non prova che la banca sapeva. La Cassazione precisa anche che la costante scopertura del conto rappresenta, di per sé, una circostanza equivoca che può anche essere indicativa della fiducia riposta dalla banca nelle capacità economiche del proprio cliente, e che non può costituire elemento presuntivo così grave da fondare da solo la prova della ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione . La generica e astratta considerazione della Corte d’Appello, secondo cui la scopertura del conto non può essere considerata espressione di una normale attività commerciale, è inidonea a giustificare la decisione assunta, che viene pertanto cassata con rinvio dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 15 ottobre - 19 novembre 2013, n. 25952 Presidente Di Palma – Relatore Cristiano Fatto e diritto Il consigliere designato, d.ssa Magda Cristiano, ha depositato la seguente relazione, ritualmente comunicata alle parti La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 24.1.011, ha respinto l'appello proposto dalla Banca del Fucino s.p.a. contro la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda ex art. 67 II comma l. fall., avanzata contro l'appellante dal Fallimento della Termomac Combustibili s.r.l. in liquidazione, aveva dichiarato l'inefficacia nei confronti della massa dei creditori delle rimesse solutorie affluite nel periodo sospetto sul conto corrente intrattenuto dalla società poi fallita presso la banca ed aveva condannato quest'ultima alla restituzione alla curatela della somma di Euro 93.133,60 oltre interessi. Per ciò che nella presente sede ancora interessa, la corte territoriale ha ritenuto che la sdentia decoctionis della Banca, pur non potendo essere desunta dalla sua qualità di operatrice economica professionale, potesse ritenersi provata in via presuntiva dall'andamento del conto corrente in contestazione, caratterizzato da costante scopertura, insuscettibile di essere considerata quale espressione di una normale attività commerciale, e dal cospicuo indebitamento complessivo della Termomac verso le banche che, ancorché ufficialmente risultante da un bilancio d'esercizio pubblicato in data successiva all'effettuazione delle rimesse revocabili, l'appellante era in condizione di conoscere tempestivamente grazie agli efficaci sistemi di controllo come ad es. la Centrale Rischi di cui, a differenza di altre categorie di creditori, dispongono gli istituti di credito e che consentono loro di conoscere in tempo reale l'esistenza di posizioni di sofferenza dei clienti cui vengono concesse aperture di credito . La sentenza è stata impugnata dalla Banca del Fucino con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui il Fallimento ha resistito con controricorso. 1 Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., rileva che la corte di merito ha tratto la prova presuntiva della ricorrenza del presupposto soggettivo dell'azione da elementi privi dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, in base ad argomentazioni astratte e totalmente generiche, nelle quali non si è tenuto conto che il Fallimento non aveva prodotto le risultanze della Centrale Rischi, con i relativi eventuali codici di sofferenza di riferimento e che la scopertura di un conto corrente affidato è elemento assolutamente fisiologico nell'ambito dell'attività di impresa. 2 Col secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata e rileva che la corte del merito ha ulteriormente violato l'art. 2727 c.c. desumendo la sussistenza del fatto ignoto della scientia decoctionis da un fatto la conoscenza da parte di essa banca delle risultanze della Centrale Rischi altrettanto ignoto. I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, appaiono manifestamente fondati. Come correttamente rilevato dalla corte territoriale, la qualità della banca di operatore economico qualificato è fatto che, di per sé, non può provare la conoscenza dello stato di insolvenza, ma che vale, piuttosto, a fondare il convincimento della particolare capacità dell'istituto di credito di cogliere tempestivamente i segnali della crisi economica e finanziaria del proprio cliente. Spetta però al Fallimento, gravato sul punto del relativo onere, di allegare e di provare l'effettiva sussistenza di tali segnali, manifestatisi in data anteriore all'effettuazione delle rimesse di cui chiede la revoca. La prova non può quindi essere ricavata, in via ipotetica, dalla supposta acquisizione da parte della banca di altrettanto ipotetiche segnalazioni di grave sofferenza del cliente, provenienti dalla Centrale Rischi, che non risultano prodotte in causa e di cui, pertanto, si ignora non solo il contenuto, ma persino l'esistenza, o dalla mera constatazione, priva di rilevanza giuridica, che la banca ha disposizione altri efficaci sistemi di controllo , neppure indicati così ragionando la corte territoriale ha violato l'art. 2727 c.c., in quanto ha tratto la presunzione del fatto ignorato la scientia decoctionis da un fatto ignoto ed è incorsa anche in un vizio di contraddittorietà della motivazione, in quanto ha finito col fondare il proprio convincimento sulla mera qualità di creditore particolarmente avveduto della banca. La sola circostanza di fatto documentata dal Fallimento a dimostrazione della scientia decoctionis della Banca del Fucino e perciò effettivamente valutabile dal giudice a quo ai sensi dell'art. 2727 c.c. è costituita dalla costante scopertura del conto si tratta però di circostanza equivoca, che potrebbe essere indicativa anche della fiducia riposta dalla banca nelle capacità economiche del proprio cliente, e che non può costituire elemento presuntivo così grave da fondare da solo la prova della ricorrenza del presupposto soggettivo dell'azione, a meno che il giudice non chiarisca appieno le ragioni ad es durata, ammontare, progressività dello sconfinamento che lo hanno indotto a ravvisare nel dato un segnale certo dell'insolvenza del correntista, che non poteva sfuggire all'attenzione della creditrice. Nella specie, pertanto, la generica ed astratta considerazione svolta dalla corte territoriale, secondo cui la scopertura del conto era insuscettibile di essere considerata quale espressione di una normale attività commerciale, è inidonea a giustificare la decisione, sostanzialmente assunta alla luce di tale unica risultanza istruttoria. Si dovrebbe pertanto concludere per l'accoglimento del ricorso, con conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c Il collegio, letta la relazione, ne condivide la conclusioni, non utilmente contraddette dalle difese orali svolte all'udienza camerale dal Fallimento, che ha richiamato, a sostegno del proprio assunto, le risultanze del bilancio d'esercizio della fallita pubblicato dopo l'effettuazione delle rimesse per cui è causa, senza chiarire quali documenti prodotti in giudizio fossero atti a dimostrare che la banca ne aveva avuto anteriormente conoscenza. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.