La Suprema Corte ribadisce l’autonomia tra procedimento penale e procedimento disciplinare

Nel pubblico impiego privatizzato, l'articolo 55-ter d. lgs. numero 165/2001, come modificato dal d. lgs. numero 150/2009, ha introdotto la regola generale dell'autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell'accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente.

Così affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza numero 21260/18 depositata il 28 agosto. Il caso impugnazione di licenziamento disciplinare intimato per fatti di rilevanza penale e conseguente condanna con sentenza non definitiva. Una lavoratrice di pubblica amministrazione impugnava il licenziamento per giusta causa intimatogli quale conseguenza di alcuni fatti di rilevanza penale, per i quali era stata condannata alla pena della reclusione, con sentenza non definitiva. Il Tribunale del lavoro accoglieva l’impugnazione. Proponeva appello la P.A. e la Corte d’Appello riformava la sentenza di primo grado, dichiarando la fondatezza e legittimità del licenziamento. Ricorreva in Cassazione la lavoratrice, articolando diversi motivi di censura. L’autonomia tra procedimento penale e disciplinare. Un primo motivo di censura riguarda l’asserita pregiudizialità del processo penale rispetto a quello disciplinare conseguentemente la P.A. avrebbe dovuto sospendere il procedimento disciplinare, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza penale. La Suprema Corte non condivide l’assunto, ribadendo principi sul punto già affermati in precedenza. La tesi, secondo cui vi sarebbe un presunto obbligo della Pubblica Amministrazione di sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell'esito definitivo di quello penale non trova alcun riscontro nella disciplina che regola la fattispecie in esame. Il procedimento disciplinare è regolato dall'articolo 55-ter d. lgs. numero 165/2001, introdotto dal d. lgs. numero 150/2009 c.d. riforma Brunetta nel testo allora vigente ora oggetto del d. lgs. numero 75/2017, articolo 14 , dispone, al primo comma, che Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all'articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente . La regola generale così introdotta è quella della autonomia dei due procedimenti quello disciplinare e quello penale la norma contempla la possibilità della sospensione dunque facoltativa e non obbligatoria come eccezione, nei casi di maggiore gravità ossia per fatti sanzionabili con misure superiori alla sospensione fino a 10 gg. e nei limiti in cui ricorrano casi di particolare complessità e qualora l'istruttoria disciplinare non abbia consentito di acquisire elementi sufficienti alla contestazione. La sentenza impugnata muove, dunque, da una corretta interpretazione della normativa che regola la fattispecie, atteso che non è rinvenibile nel d. lgs. numero 165/2001, articolo 55-ter, che disciplina i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, alcun obbligo di sospensione del primo in attesa della definizione del secondo. L’amministrazione può fondare il proprio convincimento sugli atti del processo penale. Così come non esiste, proseguono gli Ermellini, una disposizione che imponga alla Pubblica Amministrazione di procedere ad un'autonoma istruttoria ai fini della contestazione disciplinare. La Pubblica Amministrazione è, infatti, libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente e ben può avvalersi dei medesimi atti, in sede d'impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti. L'onere che incombe sul datore di lavoro di provare la effettiva realizzazione, da parte del lavoratore, delle condotte oggetto di contestazione disciplinare, attiene non alla procedura disciplinare ma a quella della, eventuale, fase di impugnativa giudiziale del licenziamento da parte del lavoratore. Il termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare decorre dalla data certa di acquisizione dei fatti penali. Il Supremo Collegio ribadisce infine il principio secondo cui il termine perentorio previsto per la contestazione e per la conclusione del procedimento disciplinare, che decorre dall'acquisizione della notizia dell'infrazione ex articolo 55-bis, comma 4, d. lgs. numero 165/2001 , in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte Cost. sentenza numero 310 del 5 novembre 2010 , assume rilievo esclusivamente nel momento in cui tale acquisizione, da parte dell'ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una notizia di infrazione di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l'avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell'addebito, dell'istruttoria e dell'adozione della sanzione ciò vale anche nell'ipotesi in cui il procedimento predetto abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti sui quali è in corso un procedimento penale, per cui sarebbe ammessa la sospensione del primo, e che, comunque, ai fini disciplinari, vanno valutati in modo autonomo e possono portare anche al licenziamento del dipendente. Restano escluse, di conseguenza, tutte quelle notizie generiche, pervenute a qualsiasi ufficio della P.A., magari anche privi di veste formale e di protocollazione o pubblicazioni di cronaca e simili. In conclusione, il ricorso è stato ritenuto del tutto infondato e dunque rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 maggio – 28 agosto 2018, numero 21260 Presidente Napoletano – Relatore Torrice Fatto 1. La Corte di Appello di Roma, adita dalla Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 1 comma 48 e ssg. della L. numero 92 del 2012, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da A.L. volta all’accertamento della illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato dall’Agenzia delle Entrate in data 21.10.2014 ed alla pronuncia dei provvedimenti restitutori economici e reali di cui all’articolo 18 della L. numero 300 del 1970 come modificato dalla legge numero 92 del 2012. 2. Queste le argomentazioni motivazionali sulle quali è fondato il decisum della Corte territoriale 3. la A. per i medesimi fatti contestati in sede disciplinare era stata condannata, unitamente ad altro dipendente, alla pena della reclusione di due anni e dieci mesi per il reato di cui all’articolo 319 quater c.p. con sentenza non definitiva numero 1307 dell’11.6.2004 del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma 4. venuta meno, a norma dell’articolo 55 ter del D. Lgs. numero 165 del 2001, la pregiudiziale penale, la Amministrazione aveva la facoltà di intraprendere e proseguire il procedimento disciplinare e non era obbligata ad attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna 5. l’Amministrazione aveva legittimamente valutato in via autonoma gli atti del procedimento penale ed aveva irrogato il licenziamento ai sensi dell’articolo 67 comma 6 lett. d del Comparto Agenzie Fiscali 6. la pendenza del giudizio relativo ad un precedente licenziamento intimato a seguito di altra sentenza del Tribunale penale di condanna della A. non rendeva illegittimo il licenziamento impugnato 7. la contestazione disciplinare effettuata in data 24.7.2014 era tempestiva in quanto l’Ufficio aveva avuto piena conoscenza dei fatti di rilievo disciplinare solo a seguito della trasmissione in data 11.7.2014 degli atti del procedimento penale da parte del giudice dell’udienza preliminare 8. la sanzione espulsiva era proporzionata ai fatti commessi in quanto l’articolo 67 comma 6 lett. d del CCNL del Comparto Agenzie Fiscali punisce con il licenziamento senza preavviso la commissione anche nei confronti di terzi di fatti o atti anche dolosi che, pur non costituendo illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro 9. Avverso questa sentenza A.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Motivi della decisione Sintesi dei motivi. La ricorrente denuncia 10. Con il primo motivo, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 cod.proc.civ., violazione dell’articolo 55 ter del D. Lgs. numero 165 del 2001 e dell’articolo 653 comma 1 bis c.p.p. La ricorrente sostiene che, venuta meno la pregiudizialità del processo penale l’Amministrazione, ove decida di avviare il procedimento disciplinare è tenuta a svolgere una propria autonoma istruttoria per accertare la rilevanza disciplinare delle condotte oggetto di accertamento nell’ambito del processo penale. 11. Con il secondo motivo, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 5 cod.proc.civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente addebita alla Corte territoriale di non avere tenuto conto, nella formulazione del giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva, delle sommarie informazioni rese dalle parti offese riportate nella sentenza del giudice dell’udienza preliminare. Deduce che tali informazioni provavano che la condotta di essa ricorrente si era compendiata nel non avere impedito al collega di portare a compimento il disegno criminoso avviato nel corso dell’ispezione fiscale e sostiene che tale condotta passiva non avrebbe potuto essere sanzionata con la sanzione espulsiva. 12. Con il terzo motivo, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell’articolo 67 comma 6 lett. d ed e del CCNL del 28.5.2014. La ricorrente sostiene che la disposizione contenuta nella lett. d del citato articolo 67 comma 6 del CCNL, nella parte in cui prevede che, in caso di fattispecie di particolare gravità, costituenti anche illeciti penali l’Amministrazione possa intimare il licenziamento senza preavviso, deve intendersi riferito a fattispecie di reato diverse da quelle contemplate dall’articolo 3 della L. numero 97 del 2001. 13. Con il quarto motivo, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 cod.proc.civ, violazione dell’articolo 2106 c.c., violazione, errata e falsa applicazione dell’articolo 67 del Comparto Agenzie Fiscali. La ricorrente sostiene che i comportamenti oggetto di contestazione disciplinare, emersi dagli atti di indagine e dalla sentenza numero 1307/2014 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, avrebbero dovuto essere sussunti entro la previsione di cui all’articolo 67 comma 4 del CCNL, che punisce con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi le mancanze di particolare gravità che abbiano arrecato danno all’Agenzia o a terzi. 14. Con il quinto motivo, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 cod.proc.civ., violazione dell’articolo 18 della L. numero 300 del 1970, degli articolo 1325 e 1418 c.comma La ricorrente sollecita la rimeditazione dei principi affermati da questa Corte nelle sentenze nnumero 27390/2013, 1244/2011, 6055/2008 e invoca il diverso orientamento giurisprudenziale espresso nelle sentenze nnumero 10394/2005 e 5092/2001. 15. Con il sesto motivo, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 cod.proc.civ., violazione, errata e falsa applicazione degli articolo 3, 4, 5, L numero 97 del 2001, dell’articolo 55 ter del D. Lgs. numero 165 del 2001, dell’articolo 68 del CCNL del 28.5.20014 e dell’articolo 1 comma 83 della L. numero 190 del 2012. La ricorrente assume che la disciplina speciale contenuta nella L. numero 97 del 2001 prevale sulla disposizione generale contenuta nell’articolo 69 del D.Lgs. numero 150 del 2009, che con l’introduzione dell’articolo 55 ter nel D. D.Lgs. numero 165 del 2001, ha segnato il superamento della pregiudizialità penale. 16. Con il settimo motivo, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 cod.proc.civ., violazione errata e falsa applicazione dell’articolo 66 del CCNL del 28.5.2014 e dell’articolo 55 bis del D.Lgs. numero 165 del 2001. La ricorrente deduce che il termine di 40 giorni previsto per la contestazione disciplinare deve farsi decorrere non dall’11.7.2014, data di ricezione da parte dell’Amministrazione della sentenza del giudice delle indagini preliminari e degli atti del procedimento penale, ma dal 12.6.2014, data in cui la Amministrazione aveva conosciuto dalla stampa della condanna inflitta in sede penale ad essa ricorrente. Esame dei motivi. 17. Evidenti ragioni di pregiudizialità impongono di esaminare le censure formulate nel sesto, nel primo e nel settimo motivo di ricorso, che pongono le questioni dei rapporti tra processo penale e processo disciplinare sesto e primo motivo e della tardività, della contestazione disciplinare settimo motivo , perché esse attengono alla regolarità formale della procedura disciplinare. 18. Il sesto motivo, che muove dall’assunto che la Amministrazione datrice di lavoro avrebbe dovuto sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell’esito definitivo di quello penale, è infondato perché non trova alcun riscontro nella disciplina di fonte legale che regola la fattispecie in esame. 19. Il procedimento disciplinare dedotto in giudizio è stato avviato il 24.7.2014. Esso, pertanto, è disciplinato dall’articolo 55-ter D.Lgs. 30 marzo 2001, numero 165, introdotto dal D.Lgs. 27 ottobre 2009 numero 150, che si applica a tutti i fatti disciplinarmente rilevanti per i quali gli organi dell’amministrazione, ai quali è demandata la competenza a promuovere l’azione disciplinare, acquisiscono la notizia dell’infrazione dopo il 16.11.2009, data di entrata in vigore della riforma Cass. 12358/2017, 11985/2016 . 20. Tale disposizione nel testo applicabile ratione temporis , vigente prima delle modifiche apportate dall’articolo 14 del D. Lgs. 25 maggio 2017 numero 75, dispone, al primo comma Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all’articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all’articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l’ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente . 21. La regola generale introdotta è quella della autonomia del processo penale e del procedimento disciplinare. 22. L’articolo 55 comma 1 del richiamato D. Lgs. numero 165 del 2001 prevede, infatti, la possibilità della sospensione del procedimento disciplinare facoltativa e non obbligatoria in relazione a fatti sanzionabili con misure superiori alla sospensione fino a 10 gg. maggiore gravità limitandola ai casi in cui il loro accertamento sia particolarmente complesso e ove l’istruttoria disciplinare non abbia consentito di acquisire elementi sufficienti alla contestazione. 23. Che questa sia la regola si desume non solo dall’inequivoco dato letterale del comma 1 del richiamato articolo 55 ter ma anche dalle disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dell’articolo 55 ter. 24. Con tali disposizioni il legislatore ha mirato ad ovviare ai casi nei quali il procedimento disciplinare, non sospeso, sia pervenuto ad esiti diversi da quelli del procedimento penale, ed ha previsto la riapertura del procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo sentenza irrevocabile che riconosce che il fatto addebitato non sussiste o che il dipendente non lo ha commesso, articolo 55 ter comma 2 , ovvero, nei casi in cui dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitato al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa articolo 55 ter comma 3 . 25. Il dato testuale, inequivoco, contenuto nel comma 1, quello sistematico, desumibile dai commi 2 e 3 e la ratio della disposizione contenuta nell’articolo 55 ter definizione tempestiva dei procedimenti disciplinari a prescindere dall’esito del processo penale non consentono al Collegio alcuno spazio per rimeditare i principi già affermati da questa Corte nella sentenza numero 19183 del 2016, ribaditi nelle successive sentenze nnumero 12358 del 2017 e 8410 del 2018. 26. Diversamente da quanto opina la ricorrente, la disciplina contenuta nella L. numero 97 del 2001 non resiste affatto al superamento della regola della pregiudizialità del processo penale, superamento disposto dal D.Lgs. numero 150 del 2009. 27. Quest’ultimo non ha previsto l’abrogazione dell’articolo 3 della L. 27 marzo 2001 numero 97, nel testo modificato dall’articolo 1 comma 83 della L. 6 novembre 2012 numero 190, in quanto la possibilità che il procedimento disciplinare, sia pure in via residuale ed eccezionale possa essere sospeso in attesa della definizione di quello penale, lascia uno spazio di applicabilità dell’articolo 3, che, però, non può certo essere ritenuta prevalente rispetto all’obbligo posto a carico delle Amministrazioni Pubbliche di definire con tempestività ed immediatezza i procedimenti, a prescindere dall’esito del processo penale Cass. 19183/2016. 28. Come è già stato osservato da questa Corte Cass. 19183/2016 il citato articolo 3 della L. numero 97 del 2001 è stato inserito dal legislatore in un contesto normativo caratterizzato, da un lato, dal principio della necessaria pregiudizialità dell’accertamento penale rispetto al procedimento disciplinare e, dall’altro, dalla non obbligatorietà della sospensione dal servizio del dipendente pubblico accusato della commissione di gravi illeciti penali, ma non raggiunto da misura restrittiva della libertà personale. 29. Attraverso la disposizione contenuta nell’articolo 3 della L. numero 97 del 2001 il legislatore ha voluto vietare alle Pubbliche Amministrazioni, in pendenza del processo penale, di continuare ad utilizzare il dipendente nelle medesime funzioni in passato ricoperte in relazione alle quali la consumazione del reato era avvenuta e ha, perciò, previsto l’obbligo del datore di lavoro, che non avesse adottato il provvedimento di sospensione facoltativa, di trasferire il prestatore in altra sede, o di assegnare allo stesso mansioni diverse, e, ove ciò non fosse stato possibile, di collocare il dipendente in aspettativa o in disponibilità. 30. È evidente che, mutato il contesto normativo e venuta meno la cosiddetta pregiudiziale penale, la norma sopravvive, come innanzi osservato, con il più ristretto ambito di applicabilità, da individuarsi nei limitati casi nei quali, a norma dell’articolo 55 ter comma 1, D. Lgs. numero 165 del 2001, l’Ufficio competente per il procedimento disciplinare, a causa della complessità degli accertamenti, decida di sospendere il procedimento sino al passaggio in giudicato della sentenza penale. 31. Non a caso, infatti, lo stesso comma 1 dell’articolo 55 ter fa salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente , evocando, in tal modo, proprio le misure disciplinate dal richiamato articolo 3. 32. Non sussiste la dedotta violazione dell’articolo 68 del CCNL del 28.5.2004 che, anche nel testo modificato dall’articolo 8 del CCNL 10.4.2008, pone, in conformità alla disciplina legale vigente al tempo della sua sottoscrizione, la regola della pregiudizialità del processo penale rispetto a quello disciplinare. 33. Lo spazio ampio di intervento della contrattazione collettiva nella materia disciplinare relativa al personale pubblico privatizzato è stato, infatti, inciso, in termini di consistente restrizione, dal D. Lgs. 27.10.2009 numero 150, che con l’articolo 68 che ha sostituito l’articolo 55 comma 1 del D. Lgs. numero 165 del 2001 ha attribuito alle disposizioni contenute negli articolo da 55 a 55 octies natura imperativa, ai sensi e per gli effetti degli articolo 1339 e 1419 Cass. 12358/2017, 24574/2016 . 34. È infondata anche la censura formulata nel primo motivo che addebita alla sentenza di avere errato nell’escludere l’obbligo della datrice di lavoro di svolgere una propria autonoma istruttoria in sede disciplinare per accertare la rilevanza disciplinare delle condotte oggetto di accertamento nell’ambito del processo penale. 35. Nell’articolo 55 bis del D. Lgs. numero 165 del 2001, che disciplina le forme ed i termini del procedimento disciplinare e nell’articolo 55 ter dello stesso Decreto, che regola i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, non si rinviene alcuna disposizione che impone alla Pubblica Amministrazione di procedere ad autonoma istruttoria ai fini della contestazione disciplinare. 36. Venuta meno la regola assoluta della pregiudizialità del processo penale rispetto al procedimento disciplinare e disciplinato per legge il possibile conflitto fra gli esiti dei procedimenti articolo 55 ter ultimo comma, articolo 653 e 654 c.p.p. nulla impedisce alla P.A. di avvalersi, per dimostrare la fondatezza della contestazione disciplinare, degli atti del procedimento penale. Cass. numero 5284 del 2017, Cass. numero 19183 del 2016 . 37. Va, quindi, ribadito il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la Amministrazione datrice di lavoro è libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente Cass. 8410/2018, 5284/2017, 19183/2016, 758/2006 . 38. D’altra parte, diversamente da quanto mostra di ritenere la ricorrente, l’onere che incombe sul datore di lavoro di provare la effettiva realizzazione, da parte del lavoratore, delle condotte oggetto di contestazione disciplinare, attiene non alla procedura disciplinare ma a quella della, eventuale, fase di impugnativa giudiziale del licenziamento da parte del lavoratore. 39. Tant’ è che, ferma l’immutabilità della contestazione disciplinare, non è impedito al datore di lavoro di richiedere nel giudizio la acquisizione di prove che non siano emerse nel corso del procedimento disciplinare, integrando, ad esempio, la produzione documentale o richiedendo la escussione di testimoni le cui dichiarazioni non siano state acquisite già nel corso del procedimento stesso Cass. 19183/2016 . 40. Sono infondate anche le censure formulate nel settimo motivo, che muovono dall’assunto secondo cui il termine di 40 giorni di cui al comma 4 dell’articolo 55-bis del D. Lgs. numero 165 del 2001 avrebbe dovuto farsi decorrere non dalla data di ricezione da parte dell’Ufficio della sentenza del giudice delle indagini preliminari e degli atti del procedimento penale 11.7.2014 ma dalla data in cui la Amministrazione aveva conosciuto dalla stampa della condanna inflitta in sede penale ad essa ricorrente 12.6.2004 . 41. Al riguardo va data continuità ai principi più volte affermati da questa Corte secondo cui in tema di pubblico impiego contrattualizzato il termine perentorio previsto per la contestazione degli addebiti decorre dal momento in cui l’Ufficio per i procedimenti disciplinari acquisisce notizia della infrazione e che questa non può farsi coincidere con una qualsiasi notizia pervenuta a qualunque ufficio dell’amministrazione, magari anche priva di veste formale e di protocollazione Cass. 6869/2018, 28891/2017, 7134/2017, 19183/2016, 17153/2015, 20733/2015 . 42. Nella fattispecie dedotta in giudizio la Amministrazione ha deciso di instaurare il procedimento disciplinare soltanto all’esito della comunicazione della sentenza di condanna del giudice dell’udienza preliminare. 43. Tale scelta, che ha portato all’avvio del procedimento disciplinare con la contestazione del 24.7.2014 è conforme alla richiamata disciplina di cui all’articolo 55-bis del d.lgs. numero 165 del 2001. 44. Si deve, poi, aggiungere che l’accertamento in fatto del momento in cui l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari acquisisce la notizia dell’illecito è riservato al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità nei limiti previsti dall’articolo 360 numero 5 c.p.c., applicabile alla fattispecie la sentenza impugnata è stata pubblicata il 19.6.2017 nel testo riformulato dall’articolo 54 del D.L. 22.6.2012 numero 83, conv. in L. 7.8.2012 numero 134 Cass. 19183/2016 . Censura che non risulta formulata dalla ricorrente,la quale ha contestato la correttezza della sentenza impugnata in punto di tempestività della contestazione con la denunzia del vizio di cui all’articolo 360 comma 1 numero 3 cod.proc.civ 45. Il quinto motivo, che addebita alla sentenza di avere ritenuto legittimo il licenziamento dedotto in giudizio a fronte di un licenziamento precedentemente irrogato ed ancora sub iudice , è infondato. 46. Questa Corte ha più volte affermato che il licenziamento illegittimo intimato ai lavoratori ai quali sia applicabile la tutela reale non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato, determinando solamente una interruzione di fatto del rapporto di lavoro senza incidere sulla sua continuità e permanenza Cass. 3187/2017, 17247/2016, 22357/2015, 17247/15, 27390/13, 106/2013, 1244/2011, 19770/2009 . 47. Nelle sentenze innanzi richiamate è stato, inoltre, precisato che il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo, con la conseguenza che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente . 48. Il Collegio non ritiene che la ricorrente abbia offerto argomenti idonei a superare tale orientamento. 49. Va osservato che questa Corte, nel disattendere il precedente diverso indirizzo invocato dalla ricorrente in base al quale, nell’area della stabilità reale, un secondo licenziamento, ove irrogato prima dell’annullamento del precedente licenziamento, sarebbe privo di effetto, in quanto interverrebbe su un rapporto non più esistente, ha rilevato che tale impostazione non appare condivisibile poiché si limita a considerare solamente l’aspetto degli effetti caducatori della pronunzia di illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa o giustificato motivo, enfatizzando il dato testuale del comma 1 dell’articolo 18 della L. numero 300 del 1970, nel testo introdotto dalla L. numero 108 del 1990 tutt’ora applicabile nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dalla L. numero 92 del 2012 ai rapporti di impiego privatizzato , cfr. Cass. 28891/2017, 23424/2017, 11868/2016 a proposito della qualificazione dell’azione di annullamento dell’impugnazione del recesso per giusta causa o giustificato motivo il giudice, con la sentenza con cui . annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo . , senza tenere conto del significato complessivo della norma. 50. Essa, infatti, prevede che nel caso di annullamento del recesso disposto dal giudice per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, scattino a favore del lavoratore una serie di conseguenze favorevoli reintegrazione nel posto di lavoro, pagamento di un’indennità pari alla retribuzione di fatto che sarebbe maturata tra il licenziamento e la reintegrazione, versamento dei contributi previdenziali per il periodo tra licenziamento e reintegrazione che postulano che il rapporto medio tempore sia continuato, seppure solamente de iure. 51. In altre parole se non può negarsi che l’annullamento abbia natura costitutiva e che gli effetti della pronunzia abbiano effetto ex tunc, nondimeno, esso interviene in una situazione in cui il rapporto non è stato interrotto dal licenziamento. 52. La continuità e la permanenza del rapporto rende in conclusione ammissibile, come correttamente affermato nella sentenza impugnata, l’irrogazione di un secondo licenziamento, pur chiaramente destinato ad operare solo in caso di annullamento di quello precedente. 53. Il secondo il terzo ed il quarto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente, avuto riguardo al tenore delle prospettazioni difensive svolte, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza. 54. Il secondo motivo è inammissibile perché la ricorrente riproduce nel ricorso solo alcuni brani degli atti relativi al procedimento penale, brani inidonei a ricostruirne la portata e la decisività ai fini della ricostruzione della condotta posta a base del licenziamento, non li allega al ricorso e non ne indica la specifica sede di produzione processuale. 55. Tali omissioni si pongono in contrasto con i principi sanciti dall’articolo 366 c.p.c., comma 2, numero 6, e articolo 369 c.p.c., comma 1, numero 4 che onerano la parte ricorrente ove siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex articolo 360 c.p.c., numero 3, di carenze motivazionali, ex articolo 360 c.p.c., numero 5, o di un error in procedendo , ai sensi dei nnumero 1, 2 e 4 della medesima norma, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011 Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010 . 56. Va anche rilevato che, in realtà sotto la vana intitolazione conforme al testo attuale del numero 5 dell’articolo 360 cod. procomma civ., come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, numero 83, convertito in legge 7 agosto 2012, numero 134, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti , la ricorrente mira a provocare, ricostruendo la propria condotta in termini di mera connivenza passiva con la condotta tenuta da un collega, il non consentito riesame del merito della causa e la altrettanto inammissibile rilettura del materiale istruttorio Cass. SSU 24148/ 2013, 8054/2014 Cass. 1541/2016, 15208 /2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005 . 57. Le censure formulate nel terzo e nel quarto motivo, da trattarsi congiuntamente, presentano profili di infondatezza e di inammissibilità. 58. È infondata la denuncia di violazione dell’articolo 67 comma 6 lett. d del CCNL di Comparto del 28.5.2004 terzo motivo . 59. Va rilevato che l’articolo 67 del CCNL del richiamato CCNL del 28.5.2014, affermato il principio di gradualità e di proporzionalità delle sanzioni e individuati i criteri generali lo di applicazione comma 1 , nei commi da 2 a 7 individua le sanzioni disciplinari correlate alle singole fattispecie di illeciti. 60. Diversamente da quanto opina la ricorrente, il riferimento alla condanna passata in giudicato per uno dei delitti previsti dall’articolo 3 della L. numero 97 del 2001 è contenuto soltanto nella lettera e dell’articolo 67 comma 6 del richiamato CCNL. 61. Il comma 6 alla lett. d , oggetto di contestazione disciplinare e posto a base del licenziamento, punisce con la sanzione del licenziamento senza preavviso la commissione in genere - anche nei confronti di terzi - di fatti o atti, anche dolosi, che, pur costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro . 62. La chiarezza del dato testuale e la coerenza di quello sistematico delle clausole di fonte pattizia evidenziano la infondatezza delle prospettazioni difensive della ricorrente che addebitano alla sentenza impugnata di avere interpretato erroneamente la disposizione di cui alla lett. d del citato articolo 67 comma 6. 63. Le censure che addebitano alla sentenza l’erronea sussunzione della condotta contestata in sede disciplinare nell’ambito dell’articolo 2106 c.comma e dell’articolo 67 comma 6 lett. d del CCNL quarto motivo sono inammissibili. 64. Nelle prospettazioni difensive sviluppate a corredo di tale denuncia la ricorrente non addebita alla sentenza impugnata alcuna incoerenza del giudizio valoriale di gravità della condotta e di proporzionalità della sanzione risolutiva contenuto nella sentenza impugnata rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale Cass. 5707/2017, 23862/2016, 7568/2016, 2692/2015, 25608/2014, 6498/2012, 5095/2011, 35/2011, 19270/2006, 9299/2004 . 65. Essa, invece, ribadisce, erroneamente per quanto innanzi osservato, che, non essendo intervenuta nei suoi confronti alcuna sentenza penale definitiva, la sua condotta non avrebbe potuto essere sussunta entro la fattispecie disciplinare di cui al citato articolo 67 comma 6 lett. d del CCNL di comparto, ma avrebbe dovuto essere ricondotta all’archetipo negoziale collettivo di cui al comma 4 del citato articolo 67, che commina la sanzione conservativa in prelazione alla recidiva in qualsiasi comportamento da cui sia derivato danno grave all’Agenzia o a terzi . E ciò fa prospettando, che la scala di classificazione desumibile dal contratto collettivo non giustificherebbe la massima sanzione espulsiva, senza individuare alcun fatto storico autonomamente decisivo per una diversa formulazione del giudizio valoriale di gravità. 66. In definitiva, attraverso la denuncia del vizio di violazione e di erronea applicazione del contratto collettivo, le prospettazioni difensive sviluppate nel motivo in esame sollecitano, senza censurare in maniera idonea cfr. punti da 55 a 57 di questa sentenza la ricostruzione della condotta posta a base del licenziamento, una generica rivisitazione del giudizio di gravità e di proporzionalità, non consentita in sede di legittimità Cass. 5707/2017, 23862/2016, 7568/2016, 2692/2015, 25608/2014, 6498/2012, 5095/2011, 35/2011, 19270/2006, 9299/2004 . 67. Sulla scorta delle conclusioni svolte, il ricorso deve essere rigettato. 68. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. 69. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.