L’uomo, originario dell’Albania, è stato beccato col permesso scaduto da oltre tre mesi. Per i giudici, però, l’allontanamento è eccessivo, alla luce del radicamento suo e della famiglia nel contesto locale.
Revocabile l’espulsione dello straniero irregolarmente soggiornante in Italia, a patto però che la sua permanenza sul suolo nazionale si accompagna anche una adeguata “integrazione sociale”. Esemplare la decisione con cui è stato azzerato il decreto prefettizio nei confronti di un uomo, di origini albanesi, che, presente in Italia dal 2003, vive con la propria famiglia in un immobile regolarmente affittato e ha svolto varie attività lavorative Cassazione, ordinanza numero 9794/18, sez. VI Civile, depositata il 19 aprile . Scadenza. Tutto comincia col decreto di espulsione, firmato dal Prefetto di Taranto nell’agosto del 2014, nei confronti di un uomo, originario dell’Albania, presente in Italia dal 2003 e beccato con il permesso di soggiorno scaduto da oltre tre mesi. Per completare il quadro viene richiamata anche una condanna a suo carico – per il reato di ricettazione –, e viene sottolineato che egli non ha mai presentato domanda di rinnovo del ‘permesso’. Nonostante questi elementi, però, il Giudice di Pace di Taranto ritiene eccessiva l’espulsione dello straniero, soprattutto perché «egli ha dato ampia prova di essersi integrato nel contesto locale». A questo proposito, vengono posti in evidenza due elementi primo, «l’uomo ha frequentato corsi di studio e svolto varie attività lavorative» secondo, egli «vive con la propria compagna, anch’essa cittadina albanese, e le due figlie minori in un immobile con regolare contratto di locazione». Allo stesso tempo, viene richiamato il fatto che «una delle figlie è affetta da gravi problemi di salute che la costringono a continui ricoveri e cure specialistiche». Per il Giudice di Pace «le necessità di tutela pubblicistiche» a fronte del flusso migratorio passano in secondo piano al «diritto dello straniero» di «non essere allontanato dallo Stato che lo ospita». Integrazione. Pronta la replica del Ministero dell’Interno, che presenta ricorso in Cassazione, sostenendo, ovviamente, la tesi della legittimità dell’espulsione decisa nei confronti del cittadino albanese. Ma ogni obiezione si rivela inutile. Anche i Giudici del ‘Palazzaccio’ ritengono eccessivo il decreto firmato dal Prefetto. Ciò perché «la norma tende a salvaguardare il diritto alla vita familiare» e, quindi, come in questa vicenda, «l’espulsione deve essere evitata», pur se consentita, normativa alla mano, sul «mero presupposto della posizione irregolare dello straniero». Condivisa, quindi, la valutazione compiuta dal Giudice di pace e centrata su tre elementi «la lunga durata del soggiorno nel territorio nazionale il livello di integrazione sociale dello straniero i suoi legami familiari».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 30 gennaio – 19 aprile 2018, numero 9794 Presidente Campanile – Relatore Acierno Ragioni della decisione Con decreto del 23/12/2015 il Giudice di Pace di Taranto ha accolto l'opposizione proposta da Mu. El., cittadino albanese, avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto della medesima città il 26/08/2015 ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lett. b , D.Lgs. 286/1998. A sostegno della decisione il Giudice di Pace ha rilevato che il ricorrente, presente in Italia dal 2003, ha dato ampia prova di essersi integrato nel contesto locale attraverso la frequenza a corsi di studio e lo svolgimento di varie attività lavorative vive con la propria compagna, anch'essa cittadina albanese, e le due figlie minori in un immobile con regolare contratto di locazione. Una delle figlie, nel cui interesse è stata presentata da Mu. El. istanza ex articolo 31, terzo comma, D.Lgs. 286 cit., è affetta da gravi problemi di salute che la costringono a continui ricoveri e cure specialistiche. Alla luce di tali elementi di fatto, il Giudice di Pace ha ritenuto che le necessità pubblicistiche di tutela del flusso migratorio dovessero cedere di fronte al diritto del singolo di non essere allontanato dallo Stato ospitante. Avverso suddetta pronuncia propone ricorso per cassazione il Ministero dell'Interno sulla base di tre motivi. Non svolge difese l'intimato. Con il primo motivo viene contestata la violazione, ex articolo 360, numero 3, c.p.c, dell'articolo 13, comma 2, lett. b , D.Lgs. 286/98 perché lo straniero è stato rintracciato sul territorio nazionale con permesso di soggiorno scaduto da oltre 90 giorni senza averne richiesto il rinnovo, e non è stata valorizzata dal giudicante la circostanza che egli è stato condannato per il delitto di cui all'articolo 648 c.p. Con il secondo motivo viene contestata la violazione, ex articolo 360, numero 3, c.p.c., dell'articolo 5, comma 4, D.Lgs. 286/98, perché il rinnovo del permesso di soggiorno non è stato richiesto entro il termine ivi previsto ed è stata disattesa la giurisprudenza di legittimità secondo cui le valutazioni relative all'ordine pubblico, all'integrazione sociale e alle possibilità di lavoro dello straniero attengono esclusivamente al procedimento di concessione o rinnovo del titolo, e non al procedimento all'espulsione. Con il terzo motivo viene lamentata la violazione, ex articolo 360, numero 3, c.p.c. dell'articolo 31, terzo comma, D.Lgs. 286/98, perché la pendenza del ricorso dinanzi al Tribunale per i minorenni è del tutto ininfluente ai fini della fattispecie in esame, in quanto al momento dell'adozione del decreto espulsivo nessun provvedimento ex articolo 31, terzo comma, cit, risultava essere stato adottato né risulta tuttora emesso. Il ricorso, i cui motivi possono trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, è manifestamente infondato. Deve in primo luogo rilevarsi che ai sensi dell'articolo 13, comma 2-bis, D.Lgs. 286/1998, nell'adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a e b , nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine . Tale norma è applicabile - in base a un'interpretazione conforme all'articolo 8 della CEDU e alla nozione di diritto all'unità familiare delineato dalla giurisprudenza della Corte EDU - anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorché non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare Cass. numero 15362 del 22/07/2015, Rv. 637091 - 01 . La norma tende pertanto a salvaguardare il diritto alla vita familiare tutte le volte che esso non contrasti con prioritari interessi pubblici, e in funzione di tale diritto l'espulsione dev'essere evitata ancorché sarebbe consentita sul mero presupposto della posizione irregolare dello straniero Cass. numero 18608 del 03/09/2014 . Nella specie risulta che l'espulsione è stata disposta ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lett. b , D.Lgs. 286 cit, che è l'ipotesi meno grave tra quelle previste. Il Giudice ha valutato la lunga durata del soggiorno di Mu. El. nel territorio nazionale, il suo livello di integrazione sociale e i suoi legami familiari, concludendo, all'esito di un giudizio di bilanciamento con le contrapposte esigenze derivanti dalla disciplina legislativa sui titoli di soggiorno, che tali elementi dovessero essere tutelati in misura prevalente, fornendo motivazione ampia e immune da vizi giuridici. Non conferente, oltre che del tutto generica, è la deduzione dell'Amministrazione ricorrente circa la condanna penale subita dallo straniero per il reato di cui all'articolo 648 c.p., giacché, a quanto consta dal ricorso e dal decreto impugnato, l'unica ragione posta a fondamento del provvedimento di espulsione è la mancata richiesta di rinnovo del titolo di soggiorno. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto. Non occorre provvedere in ordine alle spese processuali in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.