Limiti alla videosorveglianza dei dipendenti, ma le riprese rilevano ai fini del licenziamento

Il datore di lavoro, seppure sospetti furti in azienda, ha il dovere di rispettare le norme sulla tutela dei dati personali e/o per lo meno di avvertire e fornire ai dipendenti le informazioni generiche sulla videosorveglianza per non violarne la privacy art. 8 Cedu . Le registrazioni ottenute da telecamere nascoste sono prove valide in un procedimento per impugnazione del licenziamento disciplinare e nella transazione tra le parti , purché non costituiscano l’unica prova su cui si basa la convalida ed i ricorrenti abbiano potuto contestarle. Non è stato, perciò, violato l’art. 6 Cedu.

È quanto sancito dalla CEDU sez. III nel caso Lopez Ribalda ed altri comma Spagna ricomma 1874/13 del 9 gennaio 2018 nei factsheets Protection of personal data, Surveillance at workplace, Work-related rights e New technologies . Il caso. Il datore di lavoro a capo di una catena di supermercati spagnoli, dopo aver notato ammanchi e sospettando furti, installò delle telecamere di sorveglianza, alcune visibili ed altre occultate. I dipendenti furono avvertiti anticipatamente dell’installazione delle sole telecamere visibili, ma visionando immagini registrate da quelle celate, il datore di lavoro si accorse che alcuni dipendenti – oggi ricorrenti - non solo avevano commesso furti, ma avevano anche aiutato clienti e colleghi nella commissione di altri illeciti. I lavoratori furono convocati individualmente, gli furono mostrate le riprese, ammisero i furti alla presenza del loro rappresentante sindacale e del legale dell’azienda, sì che furono licenziati per motivi disciplinari. Impugnarono il licenziamento, ma tre di loro, a fronte dell’avvenuta transazione col datore, rinunciarono all’impugnazione, pur continuando a contestare la validità dei provvedimenti disciplinari perché fondati su prove illecite. Le Corti interne convalidarono l’uso delle registrazioni come prove ritenendo che fossero state acquisite legalmente. La CEDU ha riconosciuto ai dipendenti licenziati un risarcimento per danni morali pari ad € 4.000 ciascuno. Quadro normativo e prassi. Il COE e l’UE hanno adottato proprie norme sulla tutela della privacy Convenzione del 1985 e Direttiva 95/46/CE e regole specifiche sulla videosorveglianza Dossier del Comitato Venezia del 2007, Raccomandazione 5/15 del Consiglio dei Ministri del COE, pareri 8/01 e 4/04 del Gruppo di lavoro dell’UE sulla tutela dei dati . Da esse emerge che la videosorveglianza dei dipendenti è vietata, salvo in rari e tassativi casi in cui necessita tutelare i beni aziendali, come nella fattispecie, purché sia stata concordata con i sindacati aziendali, i lavoratori siano stati avvertiti circa installazione, modalità di raccolta, trattamento, conservazione ed uso dei dati personali etc. e sia rispettata la loro privacy non possono essere installate telecamere nelle aree di socializzazione dei dipendenti mensa, bagni, spogliatoio, aree di svago etc. . Deve, poi, essere una misura proporzionata a questo scopo tutela dei beni aziendali e degli interessi del datore e temporanea. La prassi della CEDU e della CGUE, in linea con queste disposizioni, vieta la videosorveglianza, anche se in un caso, pur ravvisando una deroga alla privacy, ha consentito l’uso del dossier di un detective dell’assicurazione contro l’assicurato Barbulescu comma Romania [GC], Antovic e Markovic comma Montenegro e Vukota-Bojic c.Svizzera nei quotidiani del 5/09 e 28/11/17 e 18/10/16 EU C 2017 970 e 2014 2428 . La privacy prevale su tutto. Lo Stato non può essere ritenuto responsabile delle liti tra privati, ma ha l’onere di adottare misure atte a proteggere la privacy dei dipendenti e, nel caso di specie, le autorità giudiziarie interne non hanno attuato un equo equilibrio degli interessi in gioco. In Spagna non esistono norme specifiche sulla videosorveglianza, ma quelle sulla tutela delle privacy dettano i suddetti precisi oneri consenso informato etc. . La CEDU rileva come ci fossero altri mezzi per tutelare gli interessi economici del datore di lavoro e che questi avrebbe dovuto, per lo meno, avvertire i dipendenti, anche genericamente, sull’installazione dell’impianto di videosorveglianza ed in ogni caso era tenuto a fornire tutte quelle informazioni previste dalla legge sulla privacy. Si noti che non sono applicabili alla fattispecie i principi sanciti dal caso Kopke C. Germania del 5/10/10, perché la sorveglianza era ivi limitata a due dipendenti ritenuti infedeli e contenuta nel tempo due settimane , oltre al fatto che non c’erano norme interne chiare sulla questione. Nel nostro caso, invece, le riprese riguardavano tutto il personale, non erano temporanee, perché protratte per settimane durante tutto l’orario di lavoro. La scelta del datore si è quindi rilevata anche una misura sproporzionata. Equo processo. I giudizi con cui sono stati convalidati i licenziamenti nel complesso sono stati equi malgrado le registrazioni siano state prodotte in violazione della Direttiva 95/46/CE, le giurisdizioni hanno fondato la conferma della liceità del licenziamento sulle dichiarazioni dei testimoni e le riprese non sono state, perciò, l’unica prova determinante per la convalida. I dipendenti, inoltre, sono stati messi in grado di contestare detti video nel rispetto del contraddittorio e delle loro garanzie processuali. Sono valide anche le transazioni, seppure siglate subito dopo aver visionato i video le autorità hanno vagliato la legittimità di questi documenti ed i ricorrenti hanno avuto ampia possibilità di contestarli.

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