Alt alla videosorveglianza del dipendente anche nei luoghi pubblici di lavoro

Installare videocamere nelle aule e negli spazi universitari per tutelare beni e persone e per sorvegliare l’insegnamento costituisce una grave ingerenza nella vita privata sociale e professionale dei sorvegliati. Nella fattispecie è stata lesa l’identità sociale di due professori che in quelle aule non solo lavoravano, ma instauravano relazioni sociali con gli studenti. La videosorveglianza, occulta o manifesta, è vietata anche se si lavora in un contesto pubblico.

È quanto sancito dalla CEDU sez. II Antovic e Markovic comma Montenegro ricomma 70838/13 del 28 novembre 2017 si registrano pareri dissenzienti in calce alla sentenza nei facsheets surveillance at workplace, work-related rights, protection of personal data e new technologies . Il caso. Due professori della facoltà di matematica dell’università del Montenegro si rivolsero al Garante della privacy contestando l’installazione di telecamere nell’auditorium ed in altre aule dell’università ove tenevano i loro corsi, installazione finalizzata alla videosorveglianza per la sicurezza dei beni e delle persone, nonché per sorvegliare l’insegnamento. I video, che contenevano immagini a bassa risoluzione, erano conservati solo per un mese e poi cancellati, i dati raccolti invece per un anno. Il Garante ravvisò un’illegittima intrusione nella loro riservatezza e la violazione delle norme interne in materia ordinando la rimozione delle telecamere, tanto più che non erano stati provati gli invocati rischi. In sede civile in tutti i gradi furono rigettate le richieste d’indennizzo dei due professori l’università e le sue aule sono luoghi pubblici ove è svolta un’attività di pubblico interesse come l’insegnamento, perciò non può esserci interferenza con la vita privata di chi le frequenta, tanto più che erano registrate solo immagini per l’uso interno e le credenziali per l’accesso ai dati le aveva solo il preside della facoltà. I professori sono ricorsi anche alla Consulta. Nozione di privacy. La CEDU ha contestato la ricostruzione fatta dalle Corti interne rimproverando loro di non aver cercato una giustificazione legale a tale ingerenza nella riservatezza dei ricorrenti, limitandosi a negarla visto che la loro attività professionale si svolgeva in un contesto ed in luoghi pubblici le prove raccolte dimostravano, però, una chiara deroga alle norme interne sulla privacy. La nozione di privacy, come più volte detto, prevista dall’art. 8 è molto ampia in quanto all’interno del genus vita privata è compresa sia la vita privata sociale, ossia tutte le relazioni interpersonali dell’individuo, sia la sua attività professionale. Orbene il l’attività lavorativa comporta l’intrecciare di una pluralità di relazioni interpersonali, sì che il confine tra vita sociale e quella professionale è labile ed è difficile distinguere le due categorie. In breve è irrilevante se queste relazioni s’instaurano in un contesto privato o pubblico, perché sono sempre soggette a tale tutela, anzi, come evidenzia la CEDU, ogni individuo ha una legittima aspettativa che la riservatezza di questi rapporti sia tutelata. La privacy è garantita anche nei luoghi pubblici. In primis è vero che le aule e gli spazi universitari possono essere considerati luoghi pubblici, perché in essi si svolgono attività d’interesse pubblico come l’insegnamento, perciò il lavoro dei ricorrenti avviene in un contesto pubblico, ma contemporaneamente intrecciano relazioni interpersonali con gli studenti, che a loro volta interagiscono con i loro colleghi tutti questi rapporti costituiscono l’identità sociale dell’interessato, perciò soggetta ad una severa tutela della privacy come sopra esplicato. Le leggi interne consentono, in caso di comprovate ragioni, d’installare telecamere solo all’entrata ed all’uscita dell’università o delle aule , ma nella fattispecie erano state palesemente violate, tanto più che detti rischi non sono mai stati provati. La videosorveglianza è sempre vietata. Nella recente GC Barbulescu comma Romania , la CEDU ha chiarito che se da un lato il lavoratore, per contratto, è obbligato a svolgere le sue mansioni nel luogo scelto dal datore e sotto le sue direttive, questi non può attuare alcuna forma di controllo occulto o manifesto, tramite telecamere o spiando la mail, i social etc. il dipendente ha diritto alla sua vita privata sociale ed alla segretezza della sua corrispondenza anche sul luogo di lavoro, privato o pubblico che sia e la sua vita sociale non può essere ridotta a zero, a causa di questa vigilanza, tanto più che i controlli devono limitarsi a quanto strettamente necessario in una società democratica Fernández Martínez v. Spagna [GC]del 2014 e Kope comma Germania del 5/10/10 . Ergo c’è stata un’illecita, arbitraria e sproporzionata ingerenza nella privacy dei due ricorrenti, risarciti per i danni morali con 1000€ ciascuno, oltre spese di lite ed oneri accessori.

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