È onere di chi pretende il risarcimento del danno derivante dal reato descrivere e spiegare, nell’atto introduttivo del giudizio, in cosa sia concretamente consistito il pregiudizio di cui domanda il risarcimento.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 12614 depositata il 18 giugno 2015. Omesso mantenimento dei figli e danno non patrimoniale. Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione si pronuncia in tema di danno non patrimoniale da reato con riguardo all’omesso versamento del mantenimento in favore dei figli minorenni. La fattispecie oggetto del contendere riguardava la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale proposta dal coniuge assegnatario dei figli minori per omesso pagamento dell’assegno di mantenimento per i figli da parte dell’altro coniuge, fatto quest’ultimo che aveva portato al rinvio a giudizio del genitore inadempiente per il reato di cui all’articolo 570 c.p. cui aveva fatto seguito patteggiamento. Il giudice di pace adito in primo grado accoglieva la domanda mentre in appello il Tribunale - in riforma della sentenza di primo grado - rigettava la richiesta risarcitoria affermando che il mancato versamento dell’assegno in favore dei figli minori costituisce illecito suscettibile di provocare un danno solo al beneficiario dell’assegno, dovendosi quindi ritenere che l’altro coniuge non abbia titolo per agire in nome proprio e chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale. Su tale questione viene, per quanto qui interessa, proposto ricorso per Cassazione, deciso dalla Corte con la pronuncia in commento, la quale, pur rigettando il ricorso, corregge la motivazione del giudice di merito con ciò ribadendo importanti principi con riguardo alla fattispecie in esame. Reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare e bene protetto. In primo luogo la Corte prende in esame la ratio del reato di cui all’articolo 570 c.p., ribadendo, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, che in tale ipotesi di reato il bene protetto non è l’interesse della persona avente diritto al sostentamento, ma il più generale interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia contro le gravi violazioni degli obblighi giuridici posti a salvaguardia di essa Cass. numero 2960/72 . Da tale assunto la Corte afferma quindi che la vittima del delitto in esame può dunque ritenersi qualsiasi membro della famiglia e non solo l’avente diritto al risarcimento, dovendosi peraltro tenere presente che – in linea con la giurisprudenza di legittimità già intervenuta sul punto – la commissione di un reato fa sorgere il diritto al risarcimento del danno provocato non solo in capo alla vittima primaria, ma anche in capo ai suoi familiari Cass. SS.UU. numero 9556/02 . Danno da reato e onere di deduzione. Tuttavia, nonostante la suddetta precisazione in ordine alla legittimazione attiva a richiedere il danno non patrimoniale derivante dal reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la Corte rigetta il ricorso rilevando la mancata deduzione da parte dell’attrice di uno dei fatti costitutivi della pretesa, ovvero l’esistenza e la natura di un danno risarcibile. Rileva sul punto la Corte che l’attrice si era limitata a dedurre la condotta che integrava la fattispecie di reato, senza però descrivere in cosa fosse consistito il danno non patrimoniale di cui domandava il risarcimento. In base a quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il risarcimento del danno non patrimoniale derivante da reato non può ritenersi in re ipsa , essendo invece onere di chi pretende il risarcimento descrivere e spiegare, nell’atto introduttivo del giudizio, in cosa sia concretamente consistito il pregiudizio di cui domanda il ristoro Cass. numero 23778/14 Cass. numero 8421/11 . Su tale presupposto la pronuncia in commento rigetta il ricorso, pur modificando, nei termini di cui sopra, le motivazioni del giudice di appello di cui sopra.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 marzo 2015 – 18 giugno 2015, numero 12614 Presidente Berruti – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Nel 2008 S.C. convenne D.R.S. dinanzi al Giudice di pace di Forlì, chiedendone la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale. A fondamento della pretesa l'attrice allegò di essere stata fino al 1997 unita in matrimonio col convenuto che dopo essersi separata da quest'ultimo il Tribunale di Napoli aveva posto a carico di lui il pagamento di un assegno di mantenimento che a partire dal 2004 il convenuto aveva sospeso il pagamento di quanto dovuto, e per tale ragione era stato rinviato a giudizio ed aveva patteggiato in sede penale una condanna ex articolo 444 c.p.p 2. Il Giudice di pace di Forlì con sentenza numero 987 del 2009 accolse la domanda e condannò il convenuto al pagamento di Euro 2.500. 3. La sentenza venne appellata da D.R.S. dinanzi al Tribunale di Forlì. Il Tribunale di Forlì accolse il gravame e rigettò la domanda risarcitoria come proposta da S.C A fondamento della propria decisione il Tribunale osservò che in sede di separazione D.R.S. era stato onerato del pagamento d'un assegno di mantenimento in favore dei figli minori. L'inadempimento di tale obbligo, pertanto, era ad avviso del Tribunale un illecito suscettibile di provocare un danno solo a questi ultimi e poiché l'attrice aveva dichiarato di agire in nome proprio, non in nome dei figli minori, essa non aveva titolo per domandare alcun risarcimento in conseguenza del mancato pagamento di quell'assegno. 4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da S.C. sulla base di sette motivi. Non si è difeso in questa sede D.R.S. . Motivi della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'articolo 360, numero 3, c.p.c Si assumono violati gli articolo 1223 e 2059 c.c. 185 c.p. Espone, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe violato l'articolo 2059 c.c., nella parte in cui ha escluso che il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento dei figli minori potesse causare un danno non patrimoniale anche all'altro coniuge. Ha dedotto che la commissione d'un reato legittima non solo la vittima a domandare il risarcimento del danno non patrimoniale da esso derivato, ma anche i prossimi congiunti della vittima. Ha soggiunto che far mancare i mezzi di sostentamento ai propri figli minori è condotta che non può non causare un danno anche all'atro genitori, cui i figli siano stati affidati. 1.2. Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta. Il Tribunale di Forlì ha qualificato la domanda attorea come una richiesta di risarcimento formulata dall'attrice per conto proprio, e non per conto dei figli minori ex articolo 320 c.c Così qualificata la domanda, ha concluso che l'attrice non potesse pretendere il risarcimento di alcun danno, perché non lei, ma i suoi figli furono le vittime del reato di cui all'articolo 570 c.p. commesso da D.R.S. . 1.3. Tale motivazione è erronea in diritto, per due ragioni - da un lato, perché il bene protetto dall'articolo 570 c.p. non è l'interesse della persona avente diritto al sostentamento, ma il più generale interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia contro le gravi violazioni degli obblighi giuridici posti a salvaguardia di essa ex multis, Sez. 6, numero 2960 del 26/01/1972 - dep. 03/05/1972, imp. Coniglione, Rv. 120975 . vittima del delitto in esame può dunque ritenersi qualunque membro della famiglia, e non solo l'avente diritto al sostentamento - dall'altro, perché la commissione di un reato fa sorgere il diritto al risarcimento del danno da esso provocato non solo in capo alla vittima primaria, ma anche in capo ai suoi familiari, come già stabilito da questa corte per tutti, Sez. U, Sentenza numero 9556 del 01/07/2002, Rv. 555495 . 1.4. Sebbene la motivazione adottata dal Tribunale di Forlì sia stata erronea, il dispositivo della sentenza impugnata può tuttavia ritenersi conforme a diritto. Il Tribunale, infatti, ha rigettato la domanda dopo avere ritenuto in facto che l'attrice non avesse allegata alcuna circostanza fattuale a sostegno della propria domanda risarcitoria. Ha rilevato come l'attrice nell'atto di citazione si fosse limitata a descrivere la condotta del convenuto, ed ha soggiunto che le prove domandate dall'attrice nel corso del giudizio avevano ad oggetto unicamente quella condotta, ma non l'esistenza e l'entità del danno patito così la sentenza impugnata, p. 8 . Tali rilievi erano di per sé idonei a giudicare inammissibile la domanda attorea, per mancata e compiuta deduzione di uno dei fatti costitutivi della pretesa, ovvero l'esistenza e la natura d'un danno risarcibile. Si rileva infatti dall'atto di citazione del giudizio di primo grado che l'attrice non ha mai concretamente descritto in cosa fosse consistito il danno non patrimoniale di cui domandava il risarcimento. Soltanto nel paragrafo intitolato Le richieste di S.C. si legge che l'attrice rivendica il riconoscimento e la liquidazione dei danni patrimoniali in specie morale subiettivo ed esistenziale . Seguono ulteriori censure alla condotta del convenuto, e quindi a p. 6 della citazione si ribadisce che l'attrice domanda il risarcimento del danno morale subiettivo per reati a suo danno . e per danno esistenziale da lesione di diritti fondamentali . 1.5. Or bene, questa Corte ha più volte affermato che il risarcimento di un danno non patrimoniale derivante da reato non può ritenersi in re ipsa. È, invece, onere di chi ne pretende il risarcimento descrivere e spiegare, nell'atto introduttivo del giudizio, in cosa sia concretamente consistito il pregiudizio di cui domanda ristoro ex permultis, Sez. 3, Sentenza numero 23778 del 07/11/2014, Rv. 633405 Sez. L, Sentenza numero 25691 del 01/12/2011, Rv. 619940 e soprattutto Sez. 3, Ordinanza numero 8421 del 12/04/2011, Rv. 617669 . Nel caso di specie, pertanto, corretto è il decisum del giudice d'appello, posto che al cospetto d'una domanda ultragenerica come quella formulata dall'attrice nell'atto di citazione dinanzi al giudice di pace, altra pronuncia non era possibile che quella di inammissibilità. Né avrebbe dovuto, il giudice d'appello, ordinare alcuna integrazione o sanatoria dell'atto di citazione, in virtù del principio secondo cui se il giudice di primo grado omette di ordinare l'integrazione o la rinnovazione d'una citazione nulla per mancata indicazione del fatto costitutivo della pretesa ex articolo 163, numero 4, cod. proc. civ. , diventa onere dell'attore stesso invocare dal giudice la fissazione del termine per sanare la nullità. Ove ciò non faccia, il giudice del gravame non dovrà fissare alcun termine per la rinnovazione dell'atto nullo, ma dovrà definire il processo con una pronuncia in rito che accerti il vizio della citazione introduttiva così Sez. 3, Sentenza numero 17408 del 12/10/2012, Rv. 624081 . 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'articolo 360, numero 3, c.p.c La ricorrente non indica in modo puntuale quale norma assuma violata nell'illustrazione del motivo spiega tuttavia che la Corte d'appello avrebbe errato nell'escludere la legittimazione rectius , la titolarità attiva dell'attrice, dal momento che il delitto di cui all'articolo 570 c.p. è un reato plurioffensivo, del quale debbono ritenersi vittime sia i figli cui il genitore faccia mancare i mezzi di sostentamento, sia l'altro genitore, affidatario dei figli. 2.2. Il motivo resta assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso. È infatti evidente che, avendo formulato l'attrice in primo grado una domanda inammissibile per totale genericità, diventa irrilevante stabilire se quello previsto dall'articolo 570 c.p. sia o meno un delitto plurioffensivo. 3. Il terzo motivo di ricorso. 3.1. Col terzo motivo - che non viene formalmente inquadrato in alcuno dei vizi di cui all'articolo 360 c.p.c. - la ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che l'attrice non avesse né concretamente allegato, né concretamente provato il pregiudizio non patrimoniale del quale chiese il risarcimento. 3.2. Il motivo è inammissibile. Esso viola in modo patente l'articolo 366 numero 4 c.p.c., il quale prescrive che il ricorso per cassazione debba indicare motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano. Nel caso di specie, invece, alle pp. 30-34 del ricorso si censura la statuizione del giudice di merito senza indicare se si intenda far valere un vizio processuale una pronuncia in assenza di eccezioni un errore revocatorio una incompleta o parziale lettura dell'atto di citazione un error in iudicando ovvero un difetto di motivazione. 4. I motivi di ricorso dal quarto al settimo. 4.1. I motivi di ricorso dal quarto al settimo possono essere esaminati congiuntamente, essendo tutti inammissibili. 4.2. Col quarto motivo la ricorrente lamenta che il Tribunale non avrebbe tenuto conto della mancata risposta di D.R.S. all'interrogatorio formale esso è inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché non è trascritto il capitolo dell'interrogatorio, e comunque perché la domanda è stata rigettata per difetto di titolarità del credito, non per difetto di prova della condotta illecita. 4.3. Col quinto motivo la ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe violato il giudicato penale , perché in sede penale era stata ammessa la costituzione di parte civile di S.C. . Esso è infondato, poiché l'ammissione della costituzione di parte civile non è un provvedimento suscettibile di passare in giudicato. 4.4. Col sesto motivo la ricorrente lamenta che il Tribunale non avrebbe tenuto conto che D.R.S. , oltre il reato di cui all'articolo 570 c.p., aveva commesso anche quello di cui all'articolo 388 c.p. inosservanza di ordini del giudice esso è inammissibile per irrilevanza. Come già detto, infatti, il Tribunale non ha affatto negato la sussistenza della responsabilità, ma solo la titolarità del credito azionato. 4.5. Col settimo motivo la ricorrente lamenta che il Tribunale non avrebbe considerato che vi era la prova della colpa del convenuto esso è manifestamente inammissibile per la stessa ragione indicata al capoverso precedente. 5. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell'intimato. P.Q.M. la Corte di cassazione, visto l'articolo 380 c.p.c. - rigetta il ricorso.