Blitz della polizia, la madre butta la droga in bagno: complicità col figlio o, forse, istinto materno

Messa seriamente in discussione l’ipotesi del coinvolgimento fattivo della donna rispetto all’attività criminosa realizzata dal figlio. Perché la reazione di lei, all’arrivo della polizia, può essere stata dettata dall’intenzione di evitare l’arresto del figlio.

Recita un detto popolare che “I figli so’ piezze e’ core”, e ciò vale soprattutto per le madri, disposte a tutto pur di difendere i propri ‘cuccioli’, grandi o piccoli che siano. Questa visione, portata all’estremo, è applicabile anche in situazioni penalmente rilevanti, quando, ad esempio, come in questa vicenda, il figlio è accusato di spaccio di sostanze stupefacenti. E la madre, di rimbalzo, rimane coinvolta, perché ritenuta complice attiva nella operazione criminosa. Decisivo il comportamento della donna, che, all’arrivo della polizia in casa, butta la droga nel gabinetto. Ma questa reazione può essere solo l’espressione dell’istinto materno, per l’appunto Cass., sent. numero 12997/2014, Quarta Sezione Penale, depositata oggi Istinto. Accusa chiarissima «detenzione» a fini di «spaccio» di sostanza stupefacente, marijuana, per la precisione. Sul banco degli imputati figlio e madre, quest’ultima responsabile del disperato tentativo di occultare la droga, gettandola nel bagno, in occasione del blitz compiuto dagli uomini della polizia. Per i giudici, sia di primo che di secondo grado, non vi sono dubbi sulla responsabilità della ‘strana coppia’ conseguenziale è la condanna. Ma, secondo il legale della donna, è eccessivamente rigida la valutazione del comportamento tenuto dalla donna, responsabile, come detto, della «dispersione della droga nel bagno» questo gesto, difatti, sempre secondo il legale, non è significativo del «concorso» della donna rispetto al «reato» attribuito al figlio. Ebbene, questa osservazione viene ritenuta plausibile dai giudici del ‘Palazzaccio’. Questi ultimi ricordano, in premessa, che «il convivente del soggetto autore di attività di spaccio di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, consentendone l’occultamento», ma, nonostante ciò, il comportamento tenuto dalla donna non è così valutabile Perché, spiegano i giudici, la condotta della donna può anche non «essere stata preventivamente stabilita» bensì «dettata dalla immediatezza degli eventi» – ossia dall’«intervento» della polizia – e dall’obiettivo – espressione dell’innato istinto materno – di «evitare l’arresto del figlio». E, ora, a cancellare ogni dubbio sulle azioni della donna, ora, dovranno essere i giudici della Corte d’Appello, a cui viene nuovamente affidata la vicenda.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 settembre 2013 – 19 marzo 2014, numero 12997 Presidente Blaiotta – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 24 settembre 2012 la Corte d'appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma in data 25 novembre 2011 appellata da S.R. e da M.G., madre del coimputato. Gli stessi erano stati tratti a giudizio e condannati alla pena di giustizia per concorso in detenzione al fine di spaccio di un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente del tipo marijuana che veniva gettata nel water dalla M. e di cui veniva recuperato solo un limitato quantitativo del peso lordo di grammi 1,1 , nonché di ulteriori grammi 3,5 della medesima sostanza e di grammi 0,5 di hashish. 2. Avverso tale decisione ricorre a mezzo del difensore la M. lamentando la erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del concorso nella detenzione di sostanza stupefacente anziché del reato di favoreggiamento personale. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato nei termini di cui appresso. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe fondato il suo convincimento in ordine alla colpevolezza di essa M. su di un'unica circostanza costituente un comportamento non meramente passivo, ovvero nella dispersione della droga nel bagno, che di per sé non sarebbe significativa del concorso nel reato. Questa Corte ha a riguardo precisato che in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso di persone nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone è richiesto un contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino la detenzione, l'occultamento e il controllo della droga, assicurando all'altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare cfr. Sez. 4, numero 21441 del 10/04/2006 , Rv. 234569 . In particolare è stato affermato che il convivente del soggetto autore di attività di spaccio di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, consentendone l'occultamento, mentre non ne risponde se si sia limitato a conoscere di tale attività. In buona sostanza è necessario accertare, per ritenere il concorso che il convivente con il detentore della droga abbia positivamente contribuito alla custodia della sostanza e alla gestione del traffico illecito di spaccio posto in essere dal correo. Nella specie tale accertamento è mancato in concreto, potendo peraltro il comportamento della M. non essere stato preventivamente stabilito, ma dettato dalla immediatezza degli eventi intervento di PG e dall'intento di evitare l'arresto del figlio. 4. La gravata sentenza va pertanto annullata con rinvio alla Corte d'appello di Roma per nuovo esame. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Roma.