La prova della distrazione o dell’occultamento dei beni di una società fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’imprenditore, della destinazione dei beni. Questo obbligo deriva dalla sua posizione di garanzia nei confronti dei creditori, che si basano, per l’adempimento delle obbligazioni dell’impresa, sul patrimonio della stessa.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 11095, depositata il 7 marzo 2014. Il caso. La Corte d’appello di Milano confermava la condanna nei confronti dell’amministratore di una società per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in relazione alla distrazione, in proprio favore, di risorse monetarie. Contestualmente, lo assolveva in relazione ad un’analoga contestazione, relativa alla dissipazione di una somma, impiegata nell’acquisto di azioni di una società vendute, successivamente, dallo stesso imputato. Lo scopo delle spese. L’amministratore ricorreva in Cassazione, contestando l’affermazione dei giudici di merito, i quali ritenevano che l’imputato non avrebbe contestato la materialità della condotta addebitatagli, limitandosi, invece, a rivendicare l’irrilevanza penale delle spese ingiustificate, in quanto connesse all’esercizio della carica di amministratore. L’imputato avrebbe, quindi, secondo la Corte territoriale, contestato solo l’estraneità delle spese agli scopi sociali, non la loro esistenza. La Corte di Cassazione ricordava che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società, dichiarata fallita, può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei beni, a seguito del loro mancato rinvenimento. Il ruolo dell’imprenditore. L’imprenditore ha, infatti, una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di essa. Da ciò, deriva la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza alla sua conservazione, in ragione dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggiano le aspettative dei creditori. In più, secondo l’articolo 87, comma 3, l. fall., il fallito ha l’obbligo di verità riguardo alla destinazione dei beni di impresa, al momento dell’interpello formulato dal curatore, con espresso richiamo alla sanzione penale. L’onere della prova. Questo giustificherebbe l’apparente inversione dell’onere della prova, ascritta al fallito, della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, essendo l’unico, in quanto responsabile ed artefice della gestione, a poter rispondere. Ritenendo oggetto di distrazione le spese non documentate dall’amministratore, i giudici di merito applicavano correttamente questi principi, poiché era onere dell’imputato, una volta accertato l’ammanco di denaro, dimostrare l’effettivo impiego dello stesso per scopi aziendali. Quest’onere non veniva assolto dal ricorrente, in quanto faceva generico riferimento a non meglio precisati costi inerenti lo svolgimento della funzione gestoria. È, infatti, compito dell’amministratore documentare, ai fini della completezza e coerenza della contabilità societaria, le spese sostenute anche a tale titolo. La Cassazione riteneva, quindi, infondato questo motivo di ricorso. Il nesso causale. L’imputato lamentava, poi, il difetto di relazione causale tra queste distrazioni ed il fallimento della società. I giudici di legittimità ribattevano, però, che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non richiede l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto dell’impresa, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, questi fatti assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, di conseguenza, anche quando l’impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza. La Corte rigettava, perciò, anche questo motivo di ricorso. Un ragionamento contraddittorio. Infine, l’imputato lamentava che la Corte territoriale avrebbe mal compreso i calcoli effettuati dal giudice di primo grado ed avrebbe confermato la condanna per delle cifre, in relazione alle quali era stato assolto. In questo caso, la Cassazione rilevava che la Corte d’appello aveva proceduto in maniera non lineare alla determinazione delle distrazioni, seguendo un percorso apparentemente diverso da quello tracciato dal giudice di primo grado. I giudici d’appello confermavano, quindi, la sentenza, pur ritenendo accertata una distrazione di entità inferiore. Questo rilevamento non trovava, però, riscontro nel dispositivo della sentenza e, soprattutto, non veniva valutata al momento della determinazione del trattamento sanzionatorio, anche solo per escluderne la concreta incidenza. Perciò, questo motivo di ricorso veniva accolto dalla Corte di Cassazione, che annullava la sentenza con rinvio per un nuovo esame.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 febbraio – 7 marzo 20114, numero 11095 Presidente Ferrua – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 novembre 2012 la Corte d'appello di Milano confermava la condanna, intervenuta a seguito di giudizio abbreviato, di G.V. per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale capo A2 in relazione alla distrazione in proprio favore di risorse monetarie della Millecom Italia s.p.a., dichiarata fallita l'1 aprile 2004 e di cui era amministratore. Contestualmente la Corte distrettuale, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, assolveva l'imputato per insussistenza del fatto in relazione ad una ulteriore analoga contestazione capo Al relativa alla dissipazione della somma di 350.000 euro impiegata nell'acquisto di azioni di una società spagnola vendute dallo stesso G. e conseguentemente rimodulava la pena in suo favore. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato a mezzo dei propri difensori articolando sei motivi. 2.1 Con il primo deduce vizi motivazionali della sentenza - sotto il profilo dei travisamento della prova -, rilevando come la Corte distrettuale abbia fondato la propria decisione in merito alle presunte distrazioni consumate nel 2001 e nel 2002 per complessivi 60.000 euro circa sull'errato ed apodittico assunto che l'imputato non avrebbe contestato la materialità della condotta illecita, ma soltanto la sussistenza del dolo necessario alla configurabilità del reato. In realtà la difesa avrebbe sempre sostenuto l'inconfigurabilità della qualifica distrattiva attribuita alle somme prelevate dalle casse della società dal G. e ciò in quanto le stesse sarebbero state impiegate per spese attinenti all'attività aziendale compatibili con la carica rivestita dall'imputato, la cui documentazione andava ricercata in ambito societario e la cui estraneità agli scopi d'impresa doveva comunque essere dimostrato dall'accusa e non dal G. Non di meno i giudici milanesi avrebbero in tal senso trascurato di prendere in considerazione sul punto i motivi nuovi d'appello, nei quali erano state esplicitamente richiamate le conclusioni del consulente della difesa in merito alla qualificazione delle spese contestate. Infine il giudice d'appello, pur sollecitato in proposito con il gravame di merito, avrebbe omesso di valutare il fatto che le spese contestate vennero comunque compensate con quanto dovuto all'imputato per la cessione delle azioni oggetto dell'imputazione di cui al capo Al, dalla quale peraltro egli è stato poi assolto. 2.2 Ulteriori vizi motivazionali vengono denunciati con il secondo motivo in ordine alla ricostruzione effettuata in sentenza dell'entità della presunta distrazione. Ed infatti la Corte distrettuale avrebbe mal compreso i calcoli effettuati dal giudice di prime cure ed avrebbe sostanzialmente confermato la condanna dell'imputato in relazione a somme per la cui distrazione il G.u.p. lo aveva invece assolto, mentre avrebbe escluso che nei conteggi effettuati da quest'ultimo rientrassero anche gli oltre 90.000 euro invece considerati dallo stesso ai fini della condanna. In conclusione i giudici d'appello avrebbero condannato il G. per un fatto dal quale in primo grado era stato assolto e lo avrebbero implicitamente assolto per quello per cui era stato invece condannato con la pronunzia appellata. Non solo, con motivazione contraddittoria, i giudici d'appello avrebbero riconosciuto non esservi distrazione per l'ulteriore somma di 69.000 euro pure conteggiata dal G.u.p. , senza poi coerentemente pronunziare assoluzione in riferimento alla medesima. 2.3 Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'errata applicazione degli articolo 40 e 41 c.p. e implicitamente correlate carenze nella motivazione della sentenza in merito alla sussistenza di un nesso causale tra le condotte contestate e il dissesto della fallita, pacificamente non determinato dai comportamenti gestionali dell'amministratore, a maggior ragione alla luce della modesta entità delle somme di cui si è affermata la distrazione. 2.4 Con il quarto motivo vengono dedotte analoghe carenze motivazionali in merito alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato addebitato, rilevandosi in proposito come la Corte territoriale avrebbe ignorato i rilievi difensivi sull'assenza del dolo di bancarotta sotto il duplice profilo della consapevolezza di dare al patrimonio della fallita una diversa destinazione da quella propria e di ridurre le garanzie creditorie. Rilievi imperniati soprattutto sul fatto che i prelievi contestati sarebbero stati frazionati nel tempo e, singolarmente considerati, di modestissima entità e comunque effettuati per sostenere spese coerenti con l'attività svolta dall'amministratore. 2.5 Con il quinto motivo, invece, si contesta la qualificazione giuridica attribuita ai fatti dai giudici d'appello, evidenziando come, a tutto concedere, le condotte imputate al G. integrerebbero non già la fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, bensì quella di bancarotta semplice ai sensi degli articolo 224 numero 1 e 217 comma 1 numero 1 legge fall. 2.6 Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente deduce infine la violazione degli articolo 62 bis e 133 c.p. e correlati difetti di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio applicato dai giudici d'appello, che avrebbero ingiustificatamente qualificato come gravi i fatti contestati, nonché impropriamente dedotto dalla carica ricoperta dall'imputato motivo per non contenere nei minimi la pena, ignorando per contro la sua incensuratezza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito verranno esposti. 2. I primi tre motivi possono essere invero trattati congiuntamente, atteso che con essi vengono sollevate questioni tutte attinenti all'elemento oggettivo della bancarotta patrimoniale. 2.1 Come illustrato in precedenza, dopo che attraverso di diversi gradi del giudizio di merito si è assistito ad una progressiva erosione dell'originaria piattaforma imputativa, il G. è stato alfine condannato sostanzialmente per aver impiegato risorse della fallita per scopi estranei alla gestione dell'impresa. 2.2 Con il primo motivo il ricorrente contesta l'affermazione dei giudici milanesi secondo cui l'imputato non avrebbe contestato la materialità della condotta addebitatagli, quantomeno con riguardo al sostenimento di spese ingiustificate per circa 60.000 euro nel corso del 2001 e del 2002, atteso che con il gravame di merito la difesa aveva rivendicato l'irrilevanza penale delle stesse in quanto connesse all'esercizio della carica di amministratore da parte dei G. 2.3 L'obiezione è peraltro infondata al limite dell'inammissibilità. La sentenza infatti si limita a recepire quanto sostenuto nei motivi d'appello e ribadito nel ricorso a p. 18 e cioè che, rispetto ai 150.000 euro che avrebbero costituito l'oggetto della distrazione originariamente imputata, al più risulterebbero, all'esito della prova acquisita, soltanto spese non documentate dall'amministratore per l'ammontare menzionato in precedenza. Ed in tal senso correttamente la Corte distrettuale ha dunque inteso che la difesa non aveva messo in dubbio la materialità della condotta contestata, quantomeno con riguardo a tale ammontare. Ciò che invero la difesa aveva contestato non era infatti l'esistenza di spese finanziate dalla società e non documentate dall'amministratore, quanto la loro estraneità agli scopi sociali. Doglianza questa che solo apparentemente non ha trovato risposta nella sentenza impugnata e in relazione alla quale risultano infondate le ulteriori lamentele circa una presunta inversione dell'onere della prova cui sarebbero ricorsi i giudici di merito. 2.4 In merito va innanzi tutto ricordato il consolidato orientamento di questa Corte per cui la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei beni a seguito del loro mancato rinvenimento ex multis Sez. 5 numero 7048/09 del 27 novembre 2008, Bianchini, rv 243295 . La costante elaborazione giurisprudenziale seguita in proposito dal giudice di legittimità si ancora alla peculiare normativa concorsuale. Innanzi tutto, infatti, l'imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell'adempimento delle obbligazioni dell'impresa sul patrimonio di quest'ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell'integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l'elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l'evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. In secondo luogo, la legge fall., all'articolo 87, comma 3 anche prima della sua riforma , assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell'interpello formulato dai curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale. Immediata è la conclusione che le condotte descritte all'articolo 216. comma 1, numero 1 tra loro sostanzialmente equipollenti hanno anche diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell'interpello. Osservazioni queste che giustificano l' apparente inversione dell'onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione al proposito o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione . Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che presumibilmente soltanto egli, che è, oltre che il responsabile, l'artefice della gestione, può rendere. 2.5 Nel ritenere oggetto di distrazione le spese non documentate dall'amministratore, i giudici dell'appello hanno dunque fatto corretta applicazione di questi principi, atteso che era onere del G., una volta accertato l'ammanco di danaro, dimostrare l'effettivo impiego dello stesso per gli scopi aziendali. Onere che certo non può ritenersi assolto, come contestato dal ricorrente, facendo generico riferimento a non meglio precisati costi inerenti lo svolgimento della funzione gestoria, atteso che è dovere dell'amministratore documentare ai fini della completezza e coerenza della contabilità societaria le spese sostenute anche a tale titolo. Atteso poi che il profilo sollevato con il gravame di merito sul punto atteneva ad una questione di diritto, alcuna lamentela può essere proposta in questa sede sulla completezza della motivazione, dovendosi ribadire in proposito il consolidato principio per cui il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza Sez. 2, numero 19696 del 20 maggio 2010, Maugeri e altri, Rv. 247123 Sez. Unumero , numero 155/12 del 29 settembre 2011, Rossi e altri, in motivazione . 2.6 Parimenti infondata è la censura avanzata con il terzo motivo in merito al difetto di relazione causale tra le presunte distrazioni e il dissesto della fallita, dovendosi in proposito ribadire il consolidato insegnamento di questa Corte - certo non scalfito dall'oramai isolato precedente di segno contrario implicitamente evocato nella discussione orale dalla difesa - per cui il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non richiede l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto dell'impresa, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, detti fatti assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l'impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza ex multis e da ultima Sez. 5, numero 27993 del 12 febbraio 2013, Di Grandi e altri, Rv. 255567 . 3. Colgono invece nel segno le doglianze sollevate con il secondo motivo di ricorso, il cui accoglimento comporta l'assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso non già esaminati. 3.1 In effetti nella motivazione della sentenza impugnata pervero assai sintetica sul punto si procede in maniera non lineare alla determinazione del reale ammontare delle distrazioni, seguendo un percorso apparentemente diverso da quello tracciato dal giudice di prime cure, ma senza spiegare perché le poste considerate dovessero ritenersi ricomprese in quelle calcolate da quest'ultimo, la cui decisione è stata comunque contraddittoriamente confermata sul punto, ancorchè la Corte distrettuale abbia ritenuto in ogni caso accertata una distrazione di entità inferiore. Conclusione che peraltro non ha trovato riscontro nel dispositivo della sentenza, ma che soprattutto non è stata valutata al momento della determinazione del trattamento sanzionatorio, anche solo per escluderne la concreta incidenza, come pure era facoltà dei giudici milanesi fare sostenendo però tale conclusione con adeguata motivazione. 3.2 Non di meno la sentenza impugnata non ha dato conto di aver preso in considerazione tutte le obiezioni sollevate dall'imputato con il gravame di merito e soprattutto con i motivi nuovi d'appello in ordine alla corretta ricostruzione delle somme contestate, che pure, in quanto specifiche, necessitavano di essere confutate per legittimare la conferma della pronunzia di primo grado. 3.3 Conseguentemente la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano per nuovo esame in merito alla esatta determinazione dell'ammontare delle somme distratte. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.