Il lavoratore non può contestare l’esito negativo della prova per genericità delle mansioni

Il patto di prova che faccia semplicemente riferimento alla categoria prevista nel contratto collettivo è sufficientemente specifico e, quindi, valido. Il datore di lavoro in questo modo ha la possibilità di assegnare il lavoratore ad uno degli eventuali plurimi profili rientranti nella categoria richiamata, con maggiori opportunità di un suo inserimento nelle attività aziendali.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 665/15, depositata il 16 gennaio. Il caso. La Corte d’appello di Ancona confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Macerata con la quale veniva rigettata la domanda presentata da un lavoratore per la dichiarazione di nullità del patto di prova a causa dell’indeterminazione delle mansioni affidategli, con conseguente inefficacia dell’atto di recesso del datore di lavoro per omissione della prova lavorativa. Il patto di prova era determinato con semplice riferimento al contratto collettivo, attraverso il rinvio alla prima categoria di operaio generico. Nonostante l’operaio fosse stato inizialmente assegnato alla superiore mansione di verniciatore, la successiva assegnazione alle mansioni di caricamento e trasporto di pezzi destinati alla verniciatura non consisteva, secondo i giudici di merito, in un’alterazione sostanziale dell’oggetto pattuito, rientrando comunque nella definizione di operaio generico alla quale rinviava il patto di prova. Inoltre il ridimensionamento dell’attività a cui era addetto il lavoratore non era stato determinante nella valutazione negativa della prova da parte del datore di lavoro, circostanza che aveva giustificato il recesso dal rapporto da parte del datore di lavoro. Il patto di prova che rinvia al contratto collettivo è valido. Il lavoratore impugna la sentenza innanzi alla Corte di Cassazione, assumendo quale motivo del ricorso la nullità del patto di prova per la genericità nell’individuazione delle mansioni a cui sarebbe stato assegnato, soprattutto in riferimento all’iniziale attribuzione di mansioni di verniciatore, sostituite poi con un’attività di livello inferiore. Le doglianze del ricorrente contestano poi la mancata pronuncia di illegittimità del recesso da parte del datore di lavoro, basata sulla supposta omissione della prova. La Corte di Cassazione ritiene infondato il motivo del ricorso e conferma la pronuncia di secondo grado. Si afferma infatti che il patto di prova è valido anche ove faccia semplicemente rinvio alla categoria prevista dal contratto collettivo, circostanza che consente di ritenere sufficientemente specificate le mansioni a cui il lavoratore può essere assegnato. In tal modo il datore di lavoro ha la possibilità concreta di collocare il lavoratore in posizioni alternative all’interno della struttura aziendale, offrendo al contempo maggiori chance di inserimento. Nel caso di specie il patto di prova risulta dunque pienamente valido, come anche il recesso del datore di lavoro, basato sulla mancanza di diligenza minima nel lavoratore riscontrata durante lo svolgimento del periodo di prova. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 novembre 2014 – 16 gennaio 2015, numero 665 Presidente/Relatore Roselli Svolgimento del processo Con sentenza del 21 settembre 2012 la Corte d'appello di Ancona confermava la decisione, emessa dal Tribunale di Macerata, di rigetto della domanda, proposta da D.C. contro la datrice di lavoro s.r.l. Eban ed intesa alla dichiarazione di nullità del patto di prova per indeterminazione delle mansioni affidate, nonché di inefficacia dell'atto di recesso, emesso senza la previa esecuzione della prova lavorativa e per motivo illecito. La Corte d'appello osservava che il patto di prova era sufficientemente determinato attraverso il rinvio al contratto collettivo, con l'indicazione della prima categoria di operaio generico. Non rilevava che l'avviamento fosse stato richiesto dalla società al competente ufficio amministrativo per un operaio verniciatore, giacché questa richiesta non incideva sulla validità del contratto individuale di lavoro successivamente concluso. Inoltre, seppure il C. fosse stato all'inizio assegnato alla superiore mansione di verniciatore, questa assegnazione non aveva alterato sostanzialmente l'oggetto complessivo della prestazione pattuita e comunque non aveva influito sul giudizio negativo, espresso dalla datrice di lavoro soltanto con riferimento alle mansioni di caricamento di pezzi su un carrello e di trasporto degli stessi presso le postazioni dei verniciatori, ossia con riferimento ai compiti originariamente pattuiti di operaio generico. Che poi il reale motivo del recesso fosse illecito non era stato né specificato né provato dal lavoratore, avendo la datrice fatto riferimento a grossolani errori di disattenzione ossia ad un difetto di diligenza minima, esigibile anche dal lavoratore fisicamente svantaggiato, quale il C Quest'ultimo ricorre per cassazione mentre la s.r.l. Eban resiste con controricorso, illustrato da memoria. Motivi della decisione Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articolo 2096 cod. civ. e 10 cpv. l. 12 marzo 1999 numero 68, per non avere la Corte d'appello ritenuto la nullità per genericità del patto di prova, che si riferiva a mansioni previste dal contratto collettivo aziende del legno e arredamento per gli operai di generica capacità e generica preparazione pratica della prima categoria, ma non specificava il profilo di assegnazione, fra i sei compresi in quella categoria. Tanto più che all'inizio del rapporto l'attuale ricorrente era stato assegnato alla mansione di verniciatore, propria della terza categoria. Col terzo motivo il ricorrente svolge analoga censura, richiamando gli articolo 11, 15, 16, 55, 64 c.c.numero l. delle aziende del legno e arredamento, nonché gli articolo 1362, 1363, 1364, 1366 cod. civ I due motivi, da esaminare insieme perché connessi, non hanno fondamento. Il patto di prova è valido, perché a sufficienza specifico, grazie al semplice riferimento alla categoria prevista nel contratto collettivo, che permette al datore di lavoro di assegnare il lavoratore ad uno degli, eventualmente plurimi, profili rientranti in essa. La possibilità di assegnazione a profili diversi tutela meglio il lavoratore, che trova maggiori opportunità di utilizzazione in azienda, specie se affetto da una minorazione di salute. Nella sentenza impugnata è altresì precisato che le mansioni di verniciatore, proprie della superiore categoria e temporaneamente affidate, non ebbero alcuna influenza sul giudizio sfavorevole, emesso dalla società per giustificare il recesso. Quest'ultima osservazione vale anche a dimostrare la non fondatezza del secondo motivo di ricorso violazione degli articolo 2967, 2935 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. , inteso a dimostrare l'illegittimità dell'assegnazione alla verniciatura, la sua incompatibilità con lo stato di salute del lavoratore e l'esistenza di una pretesa dichiarazione confessoria in materia, resa dalla datrice di lavoro. Rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in Euro 100,00, oltre ad Euro 2.500,00 per compensi professionali, più accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.