I figli devono poter assumere il cognome materno, anziché quello paterno: fine di un anacronistico patriarcato?

Ennesima pronuncia della CEDU sul nostro diritto di famiglia. È un tema dibattuto da anni ed una facoltà riconosciuta in altri paesi UE Spagna, Portogallo etc. , ma non nel nostro ove persiste una lacuna normativa che consente la sopravvivenza di una prassi anacronistica e contraria a quella internazionale, ma che ora dovrà essere colmata.

Con la sentenza Cusan e Fazzo v. Italia ricomma 77/07 la CEDU, sez. II, depositata il 7 gennaio 2014 è intervenuta su questo delicato tema, confermando il carattere discriminatorio di questo divieto. Il caso. I ricorrenti sono una coppia sposata. Nel 1999 nasce Maddalena, cui, concordemente, volevano dare il cognome materno, anziché quello paterno. L’ufficiale giudiziario rifiutò questa scelta applicando la legge. La gravarono presso il Tribunale di Milano, che la confermò, così come in appello, stante il fatto che, malgrado numerose riforme del diritto familiare, su questo punto permane una concezione patriarcale della famiglia. La Cassazione, poi, sollevò una questione di legittimità costituzionale per la discriminazione della madre e la disparità dei diritti dei coniugi, ma la C. Cost. 61/06, ritenendo irricevibile il ricorso, ha confermato questo orientamento patriarcale, disattendendo tutte le censure sulla mancata uguaglianza tra i coniugi e sulla lotta alla discriminazione femminile parità di genere . Nel 2001 e nel 2003 hanno avuto altri due figli ed optato per la stessa scelta con un identico risultato. Solo il 31/3/11 hanno presentato un’istanza al Ministero dell’Interno per adottare il doppio cognome, facoltà concessa dal Prefetto di Milano il 14/12/12. Hanno deciso, ciò nonostante, di proseguire l’azione promossa nel 2006 ricorso depositato il 13/12/06 innanzi alla CEDU ritenendo violati l’art. 8 diritto al rispetto della vita privata e familiare ed il combinato disposto dell’art. 14 divieto di discriminazione ed art. 5 del Protocollo addizionale alla Cedu numero 7 uguaglianza tra i coniugi . La Corte ha accolto le loro tesi ritenendo che questa grave ed anacronistica lacuna violasse detti diritti e fosse contraria all’uguaglianza dei coniugi. Un giudice, però, dissentendo, ha sollevato il dubbio che il ricorso più che una tutela di un diritto volesse essere un’ actio popularis per ottenere una facoltà che il legislatore, malgrado i numerosi appelli della giustizia e della politica, non ha ritenuto opportuno concedere. Patriarcato od uguaglianza tra i coniugi? Malgrado il nostro ordinamento, recependo anche norme internazionali, abbia superato questa antiquata concezione, ne permangono residui come la fattispecie l’ art. 143 bis c.comma v. artt. 237, 262 e 299 cc sancisce che la moglie assuma, al momento del matrimonio, il cognome del marito e che questo sia trasmesso ai figli, riprendendo il precedente testo dell’art. 144 cc attualmente sancisce l’onere di entrambi gli sposi e/o genitori di concorrere a stabilire l’indirizzo comune della loro vita familiare e la loro residenza . È infatti una prassi sociale radicata nella nostra storia frutto di una realtà non più attuale, ma non ancora superata dalle recenti riforme il codice civile è del 1942! , tanto che da anni sono presentati disegni di legge per consentire di tramettere ai figli il solo cognome materno 1454, 1739 e 3133/S presentati durante la XIV legislatura. Il concetto di patria potestà è sopravvissuto sino alla riforma di famiglia del 1975 sostituito dalla podestà genitoriale. Infine il RD 1238/39, il DPR 396/00 ed il DPR 54/12 individuano i soggetti cui inviare l’istanza, basata su motivi giustificati e comprovati analiticamente, per il cambio del cognome in alcuni casi anche del nome Tar Lombardia numero 2899/13 ora spetta al Prefetto, ma prima spettava al Presidente della Repubblica e poi al Ministero dell’interno. Si noti che la giurisprudenza su queste leggi riguarda per lo più cittadini con doppia nazionalità figli di coppie miste o stranieri sposati con cittadini italiani. Per il resto il nostro ordinamento è restio a queste variazioni per la falsa convinzione che il riconoscimento della fattispecie minerebbe lo status di figlio legittimo ed i valori della famiglia fondati sul matrimonio, che è stata, però, smentita dal CDS. L’opinione della Consulta Con le ordinanze 176 e 586/88 ha confermato che questa prassi, non viola gli artt. 3 e 29 Cost., pur sollevando dubbi ed invocando un intervento legislativo tuttora assente. Infatti ha richiamato l’art. 16 § .1 punto G della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione verso le donne, ratificata dal nostro ordinamento con la L.132/85, nonché, da ultimo, le Raccomandazioni 1271/95 e 1362/98 in cui si invitavano gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure necessarie per eliminare la discriminazione contro le donne in qualsiasi questione relativa al matrimonio, relazioni familiari e, in particolare, a garantire gli stessi diritti al marito e moglie, tra cui la scelta del nome CEDU Losonci Rose e Rose v. Svizzera del 9/11/10 Ünal Tekeli v. Turchia del 16/11/04 Stjerna v. Finlandia del 25/11/9e Burghartz v. Svizzera del 22/2/94 . L’Italia non vi ha ottemperato, sì che è stata condannata. La Consulta, poi, ha rilevato che l’auspicato intervento esulava dalla sue competenze, nonchè l’impossibilità di dichiarare incostituzionali queste norme, perché ciò avrebbe creato un vuoto normativo C.Cost. 61/06, 284, 348 e 349/07 tanto più che alcuni dubbi sul punto restavano irrisolti era il padre a dover chiedere che il figlio portasse il cognome materno, se era loro consentito di derogare una sola volta questa scelta e se la stessa si estendesse anche ai figli nati successivamente o dovevano comunicarla di volta in volta . Infatti può intervenire solo su norme che violano direttamente la Costituzione e non su quelle interposte internazionali od interne che le richiamano ciò avrebbe comportato un’operazione manipolativa esorbitante dai propri poteri . In breve la giurisprudenza di legittimità usa un’eloquente espressione per definire la soluzione a questo caso a rima obbligata perché non sono possibili alternative a quella di trasmettere il cognome paterno. e quella della Cassazione. Tutto ciò è stato condiviso dalla S.C. che ha evidenziato come quella in esame sia una norma di sistema, un automatismo giuridico. La Cass. civ. 16093/06 ord. 13298/04 , richiamando queste tesi della Consulta e le menzionate leggi, rileva l’assoluta impossibilità di deroghe anche in presenza di una concorde volontà dei coniugi e che le disposizioni in materia non presentano lacune tali da potere essere colmate da interpretazioni giurisprudenziali. L’ordinanza interlocutoria numero 23984/08, cui si rinvia in toto , poi, ha ribadito, con un approfondito excursus che ricostruisce la materia e con ragionamenti sovrapponibili all’annotata CEDU, la necessità di detto intervento legislativo è una prassi arcaica in netto contrasto con l’evoluzione sociale e normativa internazionale, la tutela dell’uguaglianza coniugale e della parità di genere sancite dal Trattato di Lisbona, dalla Cedu, dalle convenzioni dell’ONU una è stata recepita dalla L. 881/77 , anche relative alle adozioni, di New York del 1979 contro le discriminazioni nei confronti delle donne e da quelle di Lanzarote ed Istanbul § § . 3.2 ss Cass. cit . Il Consiglio di Stato va in controtendenza anticipando la CEDU? L’unica pronuncia favorevole, dettata da ragioni di riconoscenza verso il nonno materno è data dal CDS parere numero 515/04, relativo ad un ricorso straordinario al Capo di Stato si tiene conto di detto progresso. Sino ad allora ma anche oggi, Cass. civ. sez. I 17462/13, Tar Lombardia 676/13 era stato possibile optare per la soluzione adottata dai ricorrenti il doppio cognome CDS 63/99 . La CEDU affronta questi argomenti senza però approfondirli o chiarire i riferimenti. La giurisprudenza di merito. Si segnalino anche le sentenze dei Tribunali di Lucca del 1/10/84 e di Bologna del 9/904 che hanno evidenziato l’incostituzionalità di questo automatismo. Discriminazioni nella scelta del cognome e tutela del nome. In primis il diritto al nome inteso come prenome e cognome è un diritto fondamentale, perché coincide con l’identità personale dell’individuo diritti della personalità che si fonda su ragioni sociali e familiari è una caratteristica unica ed identificativa dell’individuo sia nei rapporti interni alla famiglia che in quelli esterni sociali, lavorativi etc. . È, perciò, degno della massima tutela e rientra tra i diritti della personalità. Spetta ai genitori, nell’esercizio del diritto alla riservatezza, regolato dall’art. 8 Cedu, sceglierlo e quindi optare per l’attribuzione del solo cognome materno Johansson v. Finlandia del 6/9/07, Von Hannover Carolina di Monaco numero 2 del 7/2/12, Takur ed altri comma Italia, Ganaca v. Ucraina del 8/1 e del 16/5/13 . La discriminazione è ravvisabile anche se la norma censurata non è incompatibile con quella comunitaria od internazionale, come nella fattispecie ciò accade se una politica, una misura etcomma prevedono, per un gruppo di persone che si trovino in situazioni analoghe od assimilabili, un diverso trattamento, in assenza di ragioni obiettive o giustificate, pur se il loro fine è legittimo . Sarà la CEDU con un’approfondita comparazione analitica dell’evoluzione normativa e sociale a rilevarla. È palese la disparità, basata sul sesso, di questo divieto anche se era sorto, come nota la Corte, per parificare lo status di figli legittimi e legittimati. Esso, infatti, stante la concorde volontà dei genitori/coniugi, è troppo rigido e dunque discriminatorio. La violazione del sopra ricordato onere di ottemperanza, anche in assenza di richiesta di un risarcimento danni, legittima la ricezione del ricorso e la condanna ex artt. 41 e 46 Cedu Scordino v. Italia del 2006, Scozzari e Giunta v. Italia del 2000, Bottazzi v. Italia e Di Mauro v. Italia del 1999 . Ora l’Italia non ha più scuse per effettuare quell’intervento legislativo richiesto da decenni anche dalla nostra giurisprudenza.

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