La banca risponde (a volte) dei danni che una rapina cagiona al proprio dipendente

Il lavoratore che agisca per il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro deve allegare e provare i l’esistenza dell’obbligazione lavorativa ii l’esistenza del danno ed iii il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione. Sarà poi il datore di lavoro, per essere esentato da responsabilità, a dover provare la riconducibilità del danno ad una causa a lui non imputabile e, quindi, di aver adempiuto all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17585 del 18 luglio 2013. Il caso . La Corte di Appello di L’Aquila, confermando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda di una dipendente bancaria diretta al ristoro del danno patito in virtù di numerose rapine, compiute tra il 1976 ed il 2004 nella filiale cui era addetta. A sostegno della propria decisione, la Corte di Appello riteneva che la ricorrente non avesse allegato né provato l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza necessarie ad evitare tali rapine. La responsabilità datoriale è di tipo contrattuale . Contro tale pronuncia la lavoratrice ricorreva alla Corte di Cassazione articolando vari motivi. In particolare, riteneva la ricorrente che fosse il datore di lavoro tenuto a provare l’adozione di tutte le misure necessarie per impedire il verificarsi del danno. Dello stesso avviso è la Cassazione, la quale afferma che l’obbligo di sicurezza previsto dall’art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale . I rispettivi oneri probatori sono quindi quelli stabiliti dalle SS.UU. nel 2001 . In questo contesto, il riparto degli oneri probatori si pone negli stessi termini dell’art. 1218 c.c. circa l’inadempimento delle obbligazioni, come in passato declinati dalle Sezioni Unite Cass. SS.UU. n. 13533/2001 , con l’effetto che le parti risultano rispettivamente gravate degli oneri esposti in massima. Incombe quindi al lavoratore, che lamenti di aver subito un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro nonché il nesso tra l’uno e l’altro, senza che occorra anche la indicazione delle norme antinfortunistiche violate e delle misure non adottate . Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze, grav erà sul datore di lavoro l’onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno . Non si configura una responsabilità oggettiva . Questo principio, conclude la Corte accogliendo il ricorso, non comporta l’affermazione tout court di una responsabilità oggettiva ex art. 2087 c.c., nella stessa misura in cui l’allegazione del mancato pagamento di una somma di denaro non comporta una responsabilità oggettiva del debitore ex art. 1218 c.c. . Può un sistema civile dare due risposte diverse allo stesso quesito? Ci sia consentita una breve divagazione conclusiva. Una fattispecie affatto simile ancorché caratterizzata da allegazioni attoree non all’altezza della complessità del tema è stata recentemente esaminata dalla stessa Cassazione, che giunse tuttavia a conclusioni diametralmente opposte a quelle ora esaminate si veda Cass. n. 8855/2013 , pubblicata su questo Quotidiano il 13 aprile 2013 . Parimenti, poco tempo addietro, altre pronunce sempre della Suprema Corte avevano affermato il principio per cui il lavoratore infortunato ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di sicurezza tra le tante, Cass. n. 16003/2007 e n. 10441/2007, citati nella pronuncia in commento . Questo dato, indipendentemente dall’orientamento cui si ritiene di aderire, rende evidente quello che – a parere di scrive – è probabilmente il più annoso problema del nostro sistema giuridico, ossia l’assoluta incertezza del diritto. La legge, intesa nella sua accezione più elevata, dovrebbe essere una regola cui ispirarsi rectius adeguarsi per determinare la propria condotta e, in definitiva, conoscere cosa sia consentito e cosa no. Non, come da lungo tempo succede, uno strumento per consentire di affermare tutto ed il contrario di tutto. Un tale sistema giuridico – che ha ragioni profonde, non ultima un corpus normativo che ha raggiunto volumi altrove inconcepibili, di norme caratterizzate da una tecnica a dir poco insufficiente – rappresenta a dir poco una barbarie, che pone il cittadino davanti al Giudice nella stessa situazione in cui si trovava il suddito innanzi al feudatario medievale. Con buona pace dei a questo punto vani principi stabiliti dalla nostra Costituzione. Riteniamo dunque di ribadire quanto già affermato in occasione dell’entrata in vigore della Riforma Fornero, ossia che un Paese che ha norme incerte è un Paese che ha norme ingiuste che, oltre a non attrarre alcun investitore straniero, a lungo andare difficilmente riusciranno anche solo a preservare i soggetti che oggi in questo Paese operano.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 aprile - 18 luglio 2013, n. 17585 Presidente De Renzis – Relatore Filabozzi Svolgimento del processo La Corte d'appello di L'Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Teramo nella parte in cui il giudice di primo grado aveva respinto la domanda proposta da G D.P. nei confronti della Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo per ottenere la condanna della società al risarcimento dei danni da essa subiti a seguito di alcune rapine compiute nel periodo dal 1976 al 2004 presso la sede ove essa aveva prestato la propria attività lavorativa. A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta considerando che la ricorrente non aveva allegato né provato l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di misure di sicurezza idonee ad evitare le rapine, limitandosi ad allegare la manifestazione di segni di paura e disagio nell'immediatezza di ciascuna rapina e l'installazione di porte antirapina solo nel 1982, successivamente ai primi due episodi criminosi. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione D.P.G. affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso la Tercas - Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 1218 e 2087 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che fosse la ricorrente a dover dimostrare che la Cassa di Risparmio non aveva adottato sufficienti misure per la tutela della sicurezza dei propri dipendenti, anziché quest'ultima a dover dare la prova di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno. 2.- Con il secondo motivo la ricorrente censura la decisione della Corte territoriale sotto il profilo del vizio di motivazione per aver trascurato, nell'affermare che non era stata provata la negligenza della Cassa di Risparmio circa la mancata adozione di misure di sicurezza idonee ad evitare le rapine, di considerare che l'installazione delle porte antirapina era avvenuta solo dopo che si erano verificati i primi due episodi criminosi e che le successive rapine erano state eseguite servendosi di strumenti, quali taglierini e una finta pistola di metallo, che non avrebbero potuto essere introdotti nei locali della banca se i dispositivi di sicurezza installati dalla Cassa di Risparmio avessero funzionato correttamente. 3.- I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati. Va premesso che questa Corte ha già affermato cfr. Cass. n. 3788/2009, Cass. n. 21590/2008, Cass. n. 9817/2008 che l'obbligo di sicurezza, posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore, è previsto in generale, con carattere atipico e residuale, dall'art. 2087 c.c. e che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell'art. 1374 c.c., dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale, con la conseguenza che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art. 1218 c.c. circa l'inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno. È stato altresì precisato cfr. ex multis Cass. n. 9856/2002 che incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, senza che occorra anche la indicazione delle norme antinfortunistiche violare o delle misure non adottate, mentre, quando il lavoratore abbia provato quelle circostanze, grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno. 4.- In altre parole, come questa Corte ha già efficacemente precisato cfr. Cass. n. 21590/2008 , la regola sovrana in questa materia, desumibile dall'art. 1218 c.c., è che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare tre elementi la fonte negoziale o legale del suo diritto, il danno e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione a tale scopo egli può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile cfr. ex multis Cass. sez. unite n. 13533/2001 . Al riguardo, la formulazione che si rinviene in alcune pronunce della S.C., secondo cui il lavoratore infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza in tal senso, fra le altre, Cass. n. 16003/2007, Cass. n. 10441/2007 , non appare conforme al principio enunciato dalla predetta pronuncia delle Sezioni unite, alla quale va prestata adesione. Il principio sopra esposto non comporta l'affermazione tout court di una responsabilità oggettiva ex art. 2087 c.c., nella stessa misura in cui l'allegazione del mancato pagamento di una somma di denaro non comporta una responsabilità oggettiva del debitore, ex art. 1218 c.c 5.- Nel caso di specie, la Corte territoriale, con l'affermazione che grava sul danneggiato l'onere di allegare e di dimostrare l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di misure minime di sicurezza e di prevenzione atte a scongiurare, nei limiti del possibile, la commissione dei fatti delittuosi sopra indicati , non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra enunciati. Peraltro, la motivazione sul punto presenta una obiettiva incoerenza ed un evidente vizio logico, attesa la contraddizione tra l'affermazione secondo cui sarebbe mancata l'allegazione e la prova di circostanze idonee a provare l'omessa predisposizione di misure di sicurezza e la contemporanea affermazione secondo cui la ricorrente, lungi dall'allegare e poi dimostrare circostanze di fatto relative alla asserita antigiuridicità della condotta posta in essere dall'azienda di credito , si sarebbe limitata a chiedere di provare con testimoni . l'installazione di bussolotti antirapina a seguito della terza rapina , ovvero proprio l'esistenza di una circostanza astrattamente idonea a far presumere la responsabilità del datore di lavoro a norma dell'art. 2087 c.c., quanto meno in relazione alla verificazione dei primi due episodi criminosi e tutto ciò a prescindere dalla considerazione che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, la ricorrente aveva dedotto, con i motivi di appello, anche che le rapine del 1993, del 2002 e del 2004 erano state eseguite servendosi di strumenti metallici, quali taglierini e una finta pistola di metallo, che non avrebbero potuto essere introdotti nei locali dell'istituto di credito se i dispositivi di sicurezza installati dalla Cassa di Risparmio avessero funzionato correttamente . 6.- Il ricorso deve essere pertanto accolto, conseguendone la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa ad altro giudice, che si designa nella Corte d'appello di Ancona, perché provveda al riesame alla stregua dei principi di diritto enunciati ai precedenti punti 3 e 4 . Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Ancona.