E’ responsabile penalmente il soggetto, non formale proprietario, ma gestore dell’immobile, che continui la locazione dell’appartamento con persone transessuali e che richieda un aumento del canone, consapevole dell’esercizio della prostituzione svolto all’interno dell’appartamento stesso.
E’ stato così statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 27976, depositata il 27 giugno 2014. Il caso. La Corte d’appello, confermando la decisione di primo grado, riteneva responsabile un uomo per aver favorito l’esercizio della prostituzione di transessuali, concedendo in locazione il suo appartamento, consapevole che era destinato a luogo di esercizio della prostituzione. Il soccombente ricorreva per cassazione lamentando vizio di motivazione della sentenza impugnata e il travisamento della prova, sostenendo che l’appartamento in questione risultava acquistato dalla madre quando egli era detenuto, e che all’epoca dell’acquisto era già locato a transessuali che vi svolgevano attività di prostituzione. Ne consegue, secondo la difesa, la manifesta illogicità della motivazione, atteso che era stata individuata la sua responsabilità nell’aver proseguito il rapporto di locazione un volta uscito dal carcere, senza considerare però che non era il proprietario dell’immobile. Ésufficiente il solo dolo generico. Nel decidere la questione, la Cassazione precisa che la responsabilità dell’imputato era stata considerata con prevalente riferimento al reato di cui all’articolo 3, numero 2, l. numero 75/1958, che punisce la condotta di chi «avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa o altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione». In riferimento a tale reato, la giurisprudenza di legittimità richiede il solo dolo generico, non pretendendo che lo scopo rientri nelle finalità dell’agente. Perciò, basta la sola destinazione obiettiva del locale alla prostituzione per integrare la fattispecie, ed è quindi sufficiente che il locatore lo ceda essendo a conoscenza dell’uso cui esso sarà adibito. Cass., numero 12787/1999 . L’imputato era il gestore di fatto dell’appartamento. Non rileva quindi, ai fini del caso in esame, che l’imputato non fosse il proprietario o che l’appartamento risultava già locato in precedenza per consentire attività di meretricio. Giustamente, infatti, i Giudici territoriali avevano ritenuto l’imputato il gestore dell’appartamento, dal momento che lo stesso si occupava di metterlo sul mercato e di fissare il prezzo di locazione. Ruolo che, a fortiori, è stato desunto dal fatto che fu l’imputato a richiedere l’aumento del canone, richiesta motivata in considerazione dell’uso illecito dell’appartamento, e non in relazione a dinamiche di mercato degli affitti. In sintesi, l’imputato è da ritenersi responsabile per il reato ascrittogli, perché l’appartamento era nella sua esclusiva disponibilità ed era consapevole dell’uso fatto. Per tali motivi la Suprema Corte rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 marzo – 27 giugno 2014, numero 27976 Presidente Milo – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. F.F. , per mezzo del suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 5 dicembre 2012 con cui la Corte d'appello di Genova ha confermato la sua responsabilità per il reato di cui agli articolo 3 numero 2 e 8 della legge 20 febbraio 1958, numero 75, per aver favorito l'esercizio della prostituzione di numerosi transessuali, ai quali concedeva in locazione il suo appartamento consapevole che era destinato a luogo di esercizio della prostituzione, con l'aggravante di cui all'articolo 4 numero 7 legge cit., per aver commesso il fatto ai danni di più persone capo M . Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata rilevando anche un travisamento della prova, sostenendo che l'appartamento in questione risulta acquistato dalla madre in data 18.3.1997, quando egli era detenuto, e che all'epoca dell'acquisto era già locato a transessuali che vi svolgevano attività di prostituzione ne consegue la manifesta illogicità della motivazione là dove individua la sua responsabilità nell'aver proseguito il rapporto di locazione una volta uscito dal carcere, senza considerare, appunto, che non era il proprietario dell'immobile. Inoltre, si contesta anche il rilievo dato dai giudici alla richiesta di aumento del canone, circostanza peraltro ritenuta provata in violazione dell'articolo 192 comma 3 c.p.p. in quanto riferita da imputato di reato connesso in assenza di riscontri. Con un secondo motivo denuncia la violazione dell'articolo 133 c.p. e il vizio di motivazione in ordine alla pena, ritenendo che la sentenza non avrebbe considerato che la condotta addebitata non si è protratta per molto tempo. Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato. 2.1. Innanzitutto occorre precisare che la Corte d'appello ha affermato la responsabilità dell'imputato con prevalente riferimento al reato di cui all'articolo 3 numero 2 della legge numero 75 del 1958, che punisce la condotta di chi, avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa o altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione , sebbene l'originaria imputazione riguardasse anche la diversa ipotesi dell'articolo 3 numero 8 legge cit., che si riferisce espressamente a comportamenti di favoreggiamento ovvero di sfruttamento della prostituzione. La giurisprudenza, in relazione al reato previsto dall'articolo 3 numero 2 cit., richiede il solo dolo generico perché non pretende che lo scopo rientri nelle finalità dell'agente, bastando la destinazione obiettiva del locale alla prostituzione, per cui ad integrare il reato è sufficiente che il locatore lo ceda essendo a conoscenza dell'uso cui esso sarà adibito Sez. Ili, 30 settembre 1999, numero 12787, Occhipinti . La difesa dell'imputato insiste sulla circostanza che il F. non fosse il proprietario dell'appartamento e che questo risultava già locato in precedenza per consentire attività di meretricio si tratta di circostanze irrilevanti dal momento che i giudici di merito hanno ritenuto, sulla base di una motivazione del tutto logica e coerente, che il F. fosse colui che gestiva l'appartamento, nel senso che si occupava di metterlo sul mercato e di fissare il prezzo della locazione, ruolo che è stato desunto non solo dal fatto che si sia qualificato egli stesso proprietario, ma soprattutto dalla circostanza che fu lo stesso imputato a richiedere l'aumento del canone, richiesta motivata non in relazione alle dinamiche di mercato degli affitti, ma in considerazione dell'uso illecito dell'appartamento da parte di più persone. Sulla base di tali elementi la Corte d'appello, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che l'appartamento fosse nell'esclusiva disponibilità di fatto dell'imputato, tanto è vero che la madre, formale proprietaria del locale, non risulta sia stata nemmeno indagata. Allo stesso modo appare del tutto irrilevante, ai fini della affermazione della responsabilità del F. , che sia stato detenuto fino al dicembre del 1998 la sentenza impugnata ha precisato che l'accusa ha ad oggetto la prosecuzione della locazione nella consapevolezza della presenza di transessuali che utilizzavano tale appartamento per prostituirsi, contestazione che riguarda il periodo in cui l'imputato è stato rimesso in libertà. 2.2. Inammissibile è infine il motivo con cui il ricorrente lamenta l'eccessività della pena sul punto la sentenza ha giustificato la determinazione della pena base leggermente superiore al minimo edittale con riferimento alla durata della condotta illecita e alla spregiudicatezza dimostrata dall'imputato , giudizio che, in quanto coerentemente motivato, non può essere oggetto d censura in sede di legittimità. 3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.