In tema di garanzia per vizi della cosa venduta ove si tratti di prodotti di massa, quali sono gli integratori utilizzati per la produzione di mangimi destinati agli allevamenti zootecnici, l’applicazione dell’articolo 1494 c.c. presuppone la prova della colpevole inerzia del venditore intermedio che non abbia eseguito sul bene indagini a campione finalizzate a scongiurare la presenza di un vizio su di un elevato quantitativo di prodotto. Nel caso di specie la Cassazione ha respinto i gravami proposti dal produttore di mangimi zootecnici poiché la prova del danno era stata fornita in relazione ad un solo episodio, tale da escludere in radice la responsabilità, per omesso controllo, da parte del venditore.
La fattispecie posta al vaglio del giudice di nomofilachia, nella sentenza oggetto della presente annotazione, affronta la questione del risarcimento dei danni patrimoniali provocati dalla vendita di un prodotto difettoso di massa, qual è l’integratore utilizzato nella produzione di alimenti destinati ad allevamenti zootecnici. La Cassazione, nel decidere il caso, ha respinto i motivi di ricorso incidentale formulati dall’azienda che aveva acquistato gli integratori per la trasformazione in mangimi. Nella motivazione i Giudici hanno puntualizzato come, nel caso di specie, alcun rimprovero poteva essere mosso nei confronti della società che aveva commercializzato il prodotto poiché, in tale forma di vendita le indagini sulla qualità sono validamente assolte attraverso una analisi a campione. Come noto, gli articolo 1476 e 1490 c.c. pongono a carico del venditore l’obbligo di garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso ovvero ne diminuiscono in maniera apprezzabile il valore. Parimenti, l’articolo 1494 c.c., nell’ipotesi dell’esistenza di vizi della cosa, concede al compratore una tutela di tipo risarcitorio. Quest’ultima trova applicazione anche nel campo della grande distribuzione, ovvero nella rivendita di prodotti industriali di massa. In tali ipotesi i doveri professionali del soggetto venditore impongono, secondo le regole di normale diligenza, dei controlli periodici o a campione per scongiurare che elevati quantitativi di prodotto siano affetti da gravi vizi di composizione. Il fatto. Un produttore del settore zootecnico citava un’azienda produttrice di integratori alimentari acquistati per la realizzazione di mangimi per uso animale unitamente al concessionario rivenditore esclusivo di zona. L’attore chiedeva l’integrale risarcimento dei danni patrimoniale ed all’immagine patiti a seguito di talune lamentele ricevute da alcuni clienti e vertenti sulle carenze vitaminiche rilevate sugli integratori. In primo grado la domanda attorea veniva respinta in sede di appello, la Corte territoriale confermava nella sostanza la decisone del primo giudice, poiché la pronuncia, quand’anche di condanna, riconosceva il risarcimento del danno limitandolo ad un solo circoscritto episodio. Avverso la sentenza della Corte di appello proponevano ricorso per Cassazione il produttore gli integratori, il commerciante esclusivista ed in via incidentale e con controricorso il produttore di mangimi. In particolare quest’ultimo lamentava l’erroneità della condanna inflitta in grado di appello soltanto nei confronti del produttore d’integratori e non anche nei riguardi del commerciante. Il medesimo ricorrente, con il secondo motivo, sosteneva una erronea applicazione, da parte del giudice territoriale, dei principi inerenti l’accertamento del nesso causale oltre ad una inesatta valutazione dei risultati della consulenza tecnica. Ricorso bocciato la prova del danno era stata fornita in relazione ad un solo episodio, tale da escludere la responsabilità del venditore. Nel decidere il ricorso incidentale, gli ermellini hanno rilevato l’infondatezza di tutti i gravami. In particolare, in relazione alla mancata condanna in appello del commerciante esclusivista, la Cassazione ha evidenziato la corretta ricostruzione motivazionale fatta dai giudici di seconde cure, giacché non sarebbe prospettabile nel caso specifico la fattispecie della colpevole inerzia del dettagliante che ha omesso di eseguire tutti i controlli necessari sul prodotto. Infatti, i giudici di legittimità hanno argomentato come in simili fattispecie, ove si discorre di vendita di prodotti di massa da parte di un venditore intermedio, resti esclusa la necessità di indagini e riscontri assidui, tali da condurre alla scoperta di vizi sulla singola confezione, essendo a tal fine sufficiente un controllo cd. a campione sulla qualità del prodotto venduto in tal senso cfr. Cass. civ. 11845/1997 . Sull’argomento non può sottacersi come in una differente occasione la Cassazione sia giunta, invece, a configurare la responsabilità del venditore intermedio di prodotti minerali necessari per la produzione di mangimi, in quanto era stato dimostrato che gli integratori contenevano sostanze in quantità tali da risultare dannose per la salute del bestiame stesso Cass. civ. numero 6007/2008 . Diversamente, nel caso oggi affrontato, l’ipotesi della condanna e’ stata scongiurata per l’intera richiesta, giacché l’accertamento del danno lamentato del produttore di mangimi ha condotto alla prova positiva della sua esistenza in un singolo episodio. Anche il secondo motivo di ricorso è stato rigettato. La Cassazione ha ritenuto il processo motivazionale elaborato dal giudice di prime cure immune da censure nella misura in cui lo stesso ricostruisce, senza vizi logici, il profilo causale pertanto, i rilievi mossi, lungi dall’individuare vizi della sentenza censurabili in Cassazione, appaiono il tentativo, inammissibile in sede di legittimità, di fornire una differente lettura dei risultati probatori acquisiti nei precedenti gradi di giudizio.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 marzo - 19 luglio 2012, numero 12446 Presidente Uccella – Relatore Travaglino Svolgimento del processo Nel dicembre del 1994 la s.r.l. Umbra Zoo Mangimi evocò in giudizio, dinanzi al tribunale di Perugia, la s.numero c. B.M. Umbra e la s.p.a. SIVAM, esponendo - di aver acquistato dalla B.M., concessionaria in esclusiva della Sivam, per un importo complessivo di oltre 60 milioni, una partita di integratori alimentari prodotti dalla predetta Sivam, da utilizzare per la produzione di mangimi destinati ad allevamenti zootecnici - di aver ricevuto lamentele da parte di alcuni suoi clienti a causa di carenze vitaminiche rilevate nei detti prodotti - di avere conseguentemente subito gravissimi danni, patrimoniali e di immagine. L'attrice ne chiese, pertanto, l'integrale risarcimento. Il giudice di primo grado - previa declaratoria di inammissibilità della richiesta di riduzione del prezzo delle forniture, proposta soltanto in sede di precisazione delle conclusioni - respinse la domanda, condannando la Umbra Zoo al pagamento delle spese processuali. La corte di appello di Perugia, investita del gravame proposto da quest'ultima, nella sostanza lo rigettò, condannando la sola Sivam al pagamento di 516 Euro a titolo di risarcimento in relazione ad una sola, limitata e specifica vicenda di danno. tra le molte lamentate dall'appellante. La sentenza è stata impugnata dalla B.M. Umbria con ricorso per cassazione sorretto da due motivi di doglianza – entrambi inerenti al riparto delle spese processuali statuito in appello - e illustrato da memoria. Resiste con controricorso corredato da memoria illustrativa la Sivam. Resiste poi la Umbra Zoo con controricorso integrato da ricorso incidentale a sua volta illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c. ricorso incidentale cui resistono con controricorso tanto la Bm quanto la Sivam . Motivi della decisione Il ricorso principale merita accoglimento, mentre il ricorso incidentale è infondato. Quest'ultimo deve essere preliminarmente esaminato, per motivi di ordine logico. IL RICORSO INCIDENTALE DELLA UMBRA ZOO MANIGIMI Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 1494, 2728, 2055 cc in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. difetto e/o contraddittorietà della motivazione su un punto determinante della motivazione ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c Il motivo - che lamenta l'erroneità della condanna così come disposta in grado di appello nei confronti della sola Sivam, e non anche della BM Umbra, pur non avendo quest'ultima provato la sua incolpevole ignoranza dei vizi del prodotto - è privo di pregio. Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello nella parte in cui ha ritenuto che la BM Umbra si fosse limitata a commercializzare incolpevolmente gli integratori, conseguentemente circoscrivendo ad una singola e specifica vicenda l'isolato e assai limitato danno del quale ha ritenuto predicabile il diritto al risarcimento nella misura di poco più di 500 Euro , onde in nessun caso potrebbe dirsi realizzata, nella specie, la essenziale condizione di colpevole inerzia evidenziata, quale imprescindibile presupposto in fatto della responsabilità, nelle pronunce di questa corte ritualmente quanto inconferentemente citata dalla ricorrente incidentale in capo al venditore c.d. intermedio che ometta i controlli a fronte di una evidente e costante mancanza di qualità del prodotto al fine di evitare che notevoli quantitativi di mercé presentino gravi vizi di composizione o di conservazione ex multis, Cass. numero 6007 del 2008 , restando in particolare esclusa, nell'ipotesi di vendita di mangimi zootecnici, la necessità di indagini e riscontri assidui, tali da condurre alla eventuale scoperta di vizi della singola confezione Cass. 9277/1991 , ed essendo viceversa imposta all'alienante un controllo periodico ovvero su campione Cass. 11845/1997 12577/1995 . Così dovendosi ritenere integrata la motivazione della sentenza impugnata nel suo decisum conforme a diritto , il motivo deve essere respinto. Con il secondo e terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 40 e 41 c.p. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c I motivi - che lamentano, a vario titolo, una erronea applicazione, da parte del giudice territoriale, dei principi normativi dettati in tema di accertamento del nesso causale e l'altrettanto erronea attribuzione di un decisivo ed esclusivo rilievo alle indicazioni della CTU in tema di fabbisogni vitaminici di suini e di pollame - sono infondati. Il giudice territoriale - dopo aver rammentato f. 14 dell'impugnata sentenza che, all'esito dei rilievi tecnici mossi dall'odierna ricorrente, il CTU era stato richiamato a chiarimenti, e che f. 15 la nuova relazione conteneva ex professo la risposta ai dubbi sollevati dalla appellante con riferimento alla precedente relazione depositata in primo grado - fornisce, difatti, ampia e articolata motivazione che viene svolta dal folio 15 al folio 20 della pronuncia oggi impugnata che, scevra del tutto da vizi logico-giuridici, ovvero da insanabili contraddizioni argomentative, risulta del tutto idonea, sul piano critico, a fondare un definitivo convincimento di piena adesione alle conclusioni della perizia anche sotto il profilo causale, vero il rilievo secondo il quale i sintomi mostrati dagli animali potevano essere causati da molte altre patologie, mentre mancava la prova negativa di tali diverse cause alternative. L’incensurabile accertamento e il conseguente convincimento del giudice di merito, motivato secondo diritto, si sottrae, pertanto, alle censure mosse con i due motivi in esame, che, nel loro complesso, pur lamentando formalmente una violazione di legge peraltro del tutto generica, atteso l'altrettanto generico richiamo alle norme del codice penale, gli articolo 40 e 41, che, in realtà, non dettano alcuna regola normativamente pregnante in tema di causalità materiale, limitandosi, del tutto anodinamente, a discorrere di conseguenza dell'azione o dell'omissione, senza peraltro spiegare - ciò che si chiede ad una regola - né il quando, né il come, né il perché e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una ormai del tutto inammissibile richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all'impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie quale, come nella specie, una CTU , al pari della scelta di quelle -fra esse - ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili , non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. È poi principio di diritto ormai consolidato quello secondo il quale l'articolo 360 numero 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendole, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove e la relativa significazione , controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile . Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge e un deficit di motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto ormai cristallizzate quoad effectum emerse nel corso del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità. Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 346 c.p.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c La doglianza è inammissibile dacché volta a censurare l'esercizio discrezionale di un potere del giudice di merito quello di valutare la rilevanza e concludenza delle prove di cui si chiede l'ammissione sul quale la corte di legittimità non ha alcuna facoltà di sindacato se non per censurare una nella specie del tutto impredicabile violazione di legge ovvero una omessa o contraddittoria motivazione. Il ricorso principale della bm umbria. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c. in relazione all'articolo 360 nnumero 3 e 4 c.p.c. Con il secondo motivo, si denuncia incongruità e insufficienza della, motivazione su un fatto decisivo ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati attesane la intrinseca connessione, sono fondati. Il giudice territoriale, con motivazione meramente apparente, ha, difatti, posto i costi del processo a carico di una parte integralmente vittoriosa in entrambi i gradi di giudizio, così violando le norme che correttamente il ricorrente principale evoca e richiama come falsamente applicate. Non essendo necessari ulteriori accertamenti, alla liquidazione delle spese del grado di appello può provvedere direttamente questa corte, liquidandole in complessivi Euro 18.750, di cui 150 per spese. La disciplina delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. La corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale e, decidendo nel merito, condanna la ricorrente incidentale al pagamento delle spese del procedimento di appello in favore della ricorrente principale - spese che si liquidano in complessivi Euro 18750, di cui 150 per spese -, confermando la condanna alle spese così come pronunciata in primo grado. Condanna altresì la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della ricorrente principale BM e della resistente Sivam, che si liquidano in complessivi Euro 3200 ciascuna, di cui Euro 200 per spese generali.