C’è un Giudice … a Modena

Un giovane Collega ha convenuto in giudizio avanti il Tribunale ordinario di Modena, Sezione lavoro, la Cassa di Previdenza e Assistenza Forense.

Un giovane Collega ha convenuto in giudizio avanti il Tribunale ordinario di Modena, Sezione lavoro, la Cassa di Previdenza e Assistenza Forense deducendo - l’illegittimità costituzionale dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 per violazione dell'articolo 23 della Costituzione - l’illegittimità costituzionale dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 per violazione dell'articolo 53 della Costituzione - l’illegittimità costituzionale dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 per violazione dell'articolo 3 della Costituzione - l’illegittimità costituzionale dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 per violazione dell'articolo 25 della Costituzione - l’illegittimità costituzionale dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 per violazione degli articolo 33 e 4 ultimo comma della Costituzione - l’illegittimità dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 per violazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza - l’illegittimità dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 attesa la non sostenibilità finanziaria della Cassa Forense - la violazione della legge, eccesso di delega e tardività nell'approvazione del regolamento attuativo della l. 247/2012 - la violazione della costituzione e della normativa comunitaria del regolamento attuativo dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 - l’illegittimità del regolamento attuativo dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 per violazione dell'articolo 3, comma 5, l. 148/2011 come integrato dalla l. di stabilità numero 183/2011 - l’illegittimità del regolamento attuativo dell'articolo 21, commi 8 e 9 l. 247/2012 per violazione dell'articolo 1, comma 2, lettera d e dell'articolo 21, comma 9, della l. numero 247/2012. La difesa di Cassa Forense. Cassa Forense si è costituita in giudizio premettendo che il ricorrente non contesta il quantum dovuto alla Cassa Forense, ma si limita a sollevare questione di legittimità del regolamento attuativo dell’articolo 21, commi 8 e 9 della legge 247/2012. Cassa Forense per vero si domanda quale sarebbe l’interesse del ricorrente a rimanere iscritto all’Albo professionale dati gli esigui redditi prodotti che fanno presupporre che non ci sia mai stato un esercizio effettivo e continuativo della professione perché “un avvocato che eserciti la professione forense dovrebbe conseguire redditi comunque tali da garantirsi un futuro previdenziale”. Mi pare di capire che la difesa di Cassa Forense insegue “la cultura dello scarto” agganciando l’esercizio effettivo e continuativo della professione, criterio peraltro superato dalla stessa legge 247/2012, alla produzione di un buon reddito dimenticando, o facendo finta di dimenticare, che la competenza e la professionalità non dipendono certo né dal volume d’affari né tantomeno dal reddito! Sulle eccezioni di illegittimità costituzionale la difesa di Cassa Forense così deduce e lo riporto integralmente per non incorrere in errori o omissioni A Sulla presunta illegittimità costituzionale dell’articolo 21 comma 8 e 9 L. 247/2012 per violazione dell’articolo 23 della Costituzione. Le doglianze mosse da controparte sono prive di pregio. Non si tratta, infatti, del pagamento di un tributo, ma della corresponsione di contributi previdenziali, dovuti proprio in virtù dell’articolo 38 della Costituzione la contribuzione previdenziale non è assimilabile all’imposizione tributaria vera e propria. Va rilevato che la Cassa Forense è Ente pienamente autonomo nelle determinazioni di competenza e, dunque, il legislatore ha lasciato alla Cassa la discrezionalità non arbitrio che caratterizza la materia, in ragione anche della natura giuridica e all’autonomia dell’ente previdenziale. Le misure contestate sono il frutto di una complessa interlocuzione tra gli Uffici ministeriali e quelli della Cassa, che ha condotto ad un progressivo perfezionamento delle misure adottate, nella logica della massima garanzia della stabilità finanziaria dell’Ente e della massima tutela dei diritti degli iscritti presenti e futuri. Gli enti privatizzati hanno poteri di autonomia non soltanto in relazione agli investimenti e alla gestione ed organizzazione complessiva dell’ente, ma anche in ordine alle contribuzioni pretese ed alle prestazioni erogate. Quanto detto trova conferma nell’articolo 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995 numero 335, ove si stabilisce che, per “assicurare l’equilibrio di bilancio”, gli Enti previdenziali privati possono adottare tutti i necessari “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”. E’ proprio la legge, quindi, che attribuisce all’Ente ogni potere di provvedere in merito alle aliquote contributive. E non deve dimenticarsi che la Cassa forense, pur avendo natura privatistica, si contraddistingue dal carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta, che conserva una funzione strettamente correlata all’interesso pubblico perseguito. La fattispecie riportata da controparte ONAOSI non è calzante poiché in tale circostanza la Corte Costituzionale non si è pronunciata sui contributi previdenziali, ma sul contributo annuo obbligatorio dovuto dagli iscritti alla Fondazione Opera Nazionale Assistenza Orfani Sanitari Italiani. La doglianza, pertanto, è priva di pregio. B Sulla presunta illegittimità costituzionale dell’articolo 21 comma 8 e 9 L. 247/2012 per violazione dell’articolo 53 della Costituzione. Più volte la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla connotazione di tributo o meno delle contribuzioni previdenziali e sulla conformità al principio di progressività ex articolo 53 Cost. ed in più occasioni, ha ribadito il concetto per cui la contribuzione previdenziale non è assimilabile all’imposizione tributaria vera e propria, di carattere generale, ma è da considerare quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori ex plurimus sentenza 173 del 1986 . Ad esempio, il Giudice delle Leggi ha ritenuto che una contribuzione previdenziale gravante su retribuzioni non effettivamente percepite dai lavoratori non violerebbe il principio di capacità contributiva che concerne solo i tributi in senso proprio e non qualsiasi prestazione dovuta da privati ad enti pubblici, come i contributi previdenziali Corte Cost. 16 aprile 1987 numero 135 . La Suprema Corte, in materia di contribuzione previdenziale forense, con la sentenza 4146 del 1990 ha escluso, in modo esplicito, che i contributi previdenziali siano assoggettati al criterio del progressività. Come statuito dal Giudice di Castrovillari “tale pronuncia pone le basi di legittimità per una normativa che fissi minimi contributivi slegati dalla progressività e proporzionalità con il reddito dell’avvocato, imponendo di far riferimento, per statuire sulla validità della legge, al mero criterio della ragionevolezza della previsione” Ordinanza 4994/2015 Tribunale di Castrovillari . Sul punto si veda anche quanto scritto oltre lettera D . C Sulla presunta illegittimità costituzionale dell’articolo 21 comma 8 e 9 L. 247/2012 per violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Manifestamente infondato è pure l’altro rilievo di illegittimità costituzionale della norma per la violazione dell’articolo 3 Cost., laddove si sostiene l’ingiustizia della disposizione in esame rispetto agli iscritti alla gestione che vengono assoggettati tutti al medesimo onere contributivo indipendentemente dal reddito. Non sussiste l’ingiustizia lamentata, essendo la previsione di una contribuzione determinata diretta ad assicurare un livello di pensione corrispondente. La previsione di un obbligo di contribuzione uguale a carico di tutti gli esercenti la professione forense è esplicazione del principio di solidarietà cui è ispirato il sistema previdenziale. Il principio di solidarietà è caratterizzato dalla “riferibilità dell’assunzione dei fini e degli oneri previdenziali, anziché alla divisione del rischio tra gli esposti, a principi di solidarietà operanti all’interno di una categoria, con conseguente non corrispondenza tra rischio e contribuzione, e per altro verso, dalla irrilevanza della proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali Corte Cost. 132/1984 e 173/1986 . Il sistema previdenziale prevede il pagamento di un contributo minimo in quanto viene assicurata a tutti gli iscritti una pensione minima. Non si vede come questo possa violare il principio di uguaglianza. D Sulla presunta illegittimità costituzionale dell’articolo 21 comma 8 e 9 L. 247/2012 per violazione degli articolo 33 e 4 ultimo comma della Costituzione. Per quanto riguarda l’asserita violazione dei principi fondamentali per l’esercizio della professione, che sarebbe soggetta solamente all’abilitazione professionale e non ad altro, va da sé che l’obbligo della contribuzione previdenziale è connaturato all’esercizio stesso di ogni attività lavorativa, che si tratti di lavoro dipendente o di lavoro autonomo o libera professione. L’articolo 38 della Costituzione tutela la previdenza e l’assistenza dei lavoratori in ogni sua forma, prevedendo adeguati diritti ai quali non possono non corrispondere altrettanti obblighi per creare le provvidenze necessarie. A tale riguardo, si evidenzia che l’articolo 1 della L. 335/95, al comma 2, precisa che le disposizioni della legge medesima “costituiscono principi fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica. Le successive leggi non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni” e, al precedente comma 1, afferma espressamente la necessità di garantire “l’armonizzazione degli ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi”. Inoltre, l’articolo 2 comma 25 della stessa L. 335/95 prevede che la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione si deve realizzare in conformità ad una serie di principi e criteri direttivi, in linea con la ratio principale della riforma introdotta dalla L. 335/95, che è quella di far si che ogni tipo di attività, anche se residuale, abbia una copertura assicurativa, nel rispetto, peraltro, delle peculiarità delle tipologie di attività e dei vari organismi assicurativi. In sostanza la L. 335/95 prevede coperture assicurative diverse a fronte di attività professionali diverse, ma, soprattutto, l’obbligo della copertura previdenziale per ogni attività lavorativa. Ciò posto, con riferimento a quanto asserito in ordine al fatto che l’imposizione dell’obbligo di iscrizione alla Cassa, con conseguente imposizione dell’obbligo contributivo, introdurrebbe un ulteriore requisito, oltre a quello dell’iscrizione all’albo professionale, per l’esercizio della professione, ossia quello della capacità contributiva, si fa presente che l’obbligo di contribuzione alla Cassa – come ha avuto modo di osservare da tempo la Corte Costituzionale sentenza 132 del 4 maggio 1984 ancor prima dell’entrata in vigore della L. 247/2012 – “ non introduce un’ulteriore condizione, rispetto a quella dell’esame di abilitazione prevista dall’articolo 33 Cost., per l’esercizio dell’attività professionale, con conseguente violazione di tale precetto, nonché di quelli racchiusi negli articolo 35 e 38 Cost. Tali censure urtano contro l’ovvia constatazione che gli obblighi professionali sono considerati dalla legge non già come presupposto condizionante la legittimità dell’esercizio professionale, bensì come conseguenza del presupposto dell’imposizione contributiva, che è costituito da tale esercizio”. Si fa presente, altresì, che l’articolo 21 della L. 247/2012 al comma 1 prevede espressamente che “la permanenza dell’iscrizione all’albo è subordinata all’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, salve le eccezioni previste anche in riferimento ai primi anni di esercizio professionale” il fatto che la norma seguiti escludendo espressamente il criterio reddituale con esclusione di ogni riferimento al reddito professionale per l’accertamento delle condizioni di esercizio della professione che consentono l’iscrizione e la permanenza stessa nell’albo professionale, non implica, peraltro, che l’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente non comporti di per se l’inevitabile presenza di un rientro economico e, pertanto, di una capacità contributiva che giustifica in pieno il versamento alla Cassa quanto meno della contribuzione minima dovuta in virtù dell’iscrizione. Non si può, del resto, concordare con l’asserzione del ricorrente secondo il quale l’unico requisito per l’accesso alle professioni regolamentate deve essere quello dell’abilitazione, costituendo ogni altra prestazione richiesta un’indebita violazione della concorrenza e una discriminazione in base al reddito. In proposito va osservato che - con riferimento al ricorso di alcuni avvocati avverso l’adozione da parte del Consiglio dell’Ordine del Regolamento per la formazione continua, in quanto quest’ultimo costituirebbe un indebito ed ulteriore requisito per la permanenza dell’iscrizione nell’Albo degli avvocati ed in quanto, inoltre, la previsione che la partecipazione agli eventi formativi sia posta a carico degli avvocati rappresenterebbe una prestazione patrimoniale imposta – è stato affermato che, “quanto alla previsione che la partecipazione agli eventi formativi sia posta a carico degli iscritti all’Ordine e, se possibile, sia posta a carico delle risorse dell’Ordine, innanzitutto non può configurarsi come prestazione patrimoniale imposta, ai sensi dell'articolo 23 della Costituzione, il contributo, determinato con riferimento alla misura dei costi sostenuti dall'ente, stabilito quale corrispettivo dell'erogazione di un servizio o dell'offerta di un bene, atteso che ricadono nell'ambito applicativo della norma costituzionale citata le sole prestazioni pretese dall'amministrazione in mancanza di un collegamento con un'utilità offerta dall'ente Consiglio Stato, sez. V, 10 giugno 2002, numero 3202 , anche perché il principio costituzionale non può ritenersi violato in relazione alla modesta entità del sacrificio imposto a fronte del beneficio che indirettamente l'utente ne riceve Cassazione civile, sez. II, 10 ottobre 2008, numero 24942 . Aggiungasi che, comunque, è stata dedotta la violazione dell’articolo 23 della Costituzione Italiana sulla base di un presupposto – quello che, in base all'evocato parametro costituzionale, ogni prestazione personale o patrimoniale deve essere determinata integralmente dalla legge – erroneo, in quanto il principio della riserva di legge di cui all'articolo 23 della Costituzione va inteso in senso relativo, limitandosi esso a porre al legislatore l'obbligo di determinare preventivamente sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa Corte costituzionale, 26 ottobre 2007, numero 350 ” Tar Lazio, numero 7081/09 . Del resto, anche l’iscrizione e la permanenza nell’Albo degli avvocati comporta il pagamento di un contributo obbligatorio, ex articolo 14 del D. Lgs. Lgt. numero 382/44. In proposito, la Suprema Corte ha affermato che “il sistema normativo riconosce, in questa prospettiva, all'ente Consiglio, una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che l'iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità di scegliere se versare o meno la tassa annuale e/o di iscrizione nell'albo , al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all'ordine. Siffatta tassa si configura come una quota associativa rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto l'iscrizione all'albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della professione. Chi intenda esercitare una delle professioni per le quali è prevista l'iscrizione ad uno specifico albo, deve provvedere ad iscriversi sopportandone il relativo costo la tassa di iscrizione e la tassa annuale , il cui importo non è commisurato al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata, bensì alle spese necessarie al funzionamento dell'ente, al di fuori di un rapporto sinallagmatico con l'iscritto” Cass., Sez. Unumero , ord. numero 1782/11 . E Sulla presunta illegittimità dell’articolo 21 comma 8 e 9 L. 247/2012 per violazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza. Un avvocato che esercita la professione dovrebbe conseguire redditi comunque tali da garantirsi un futuro previdenziale con il proprio ente di previdenza. Se alcuni avvocati non dovessero essere sottoposti gli obblighi previdenziali, si avrebbe una forma di violazione della concorrenza perché potrebbero praticare migliori condizioni economiche al cliente rispetto alla generalità degli iscritti agli albi, tenuti invece al rispetto di tutti i diritti-doveri nei confronti dell’ente previdenziale di categoria. Occorre evidenziare, tra l’altro, che l’obbligo della contribuzione minima sussiste anche in altri ordinamenti previdenziali, non solo dei liberi professionisti, ma anche degli artigiani e degli esercenti attività commerciali. La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla normativa relativa agli obblighi previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, giudicando manifestamente infondate le censure di illegittimità costituzionale mosse avverso tale normativa Cass. 23.12.1999 numero 14498 , sul presupposto che “il rapporto tra prelievo fiscale e prelievi contributivo può avere rilievo con riferimento ai contributi dovuti per le prestazioni sanitarie, le quali non sono rapportate individualmente alla contribuzione ma sono eguali per tutti, anche per coloro che non hanno alcuna occupazione e considerato altresì che per il raggiungimento della tutela della salute, che è il fine pubblico cui è predisposto il Servizio sanitario nazionale, deve provvedere tutta la collettività e quindi il suo finanziamento avviene attraverso il sistema fiscale, per cui ogni cittadino è tenuto a concorrere alla relativa spesa in ragione della sua capacità contributiva. Il medesimo rapporto non può avere rilievo invece per la contribuzione dovuta per l’assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti dagli iscritti alle gestioni degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, nella quale, disciplinata anche su base assicurativa oltre che su quella solidaristica come in genere qualsiasi forma di tutela previdenziale, deve ammettersi la presenza di una relazione sinallagmatica tra obbligazione contributiva e prestazione previdenziale. Non va inoltre tralasciata la relazione fra reddito minimo imponibile di cui al citato articolo 1, terzo comma, e calcolo del trattamento pensionistico, dovendosi prendere in considerazione ai sensi dell’articolo 5, comma ottavo, della medesima legge numero 233 del 1990, anche in assenza di reddito di impresa, per ciascun anno un reddito di ammontare pari al predetto livello minimo, per cui sarebbe irragionevole non tenere conto del livello minimo di reddito ai fini della contribuzione dovuta dall’iscritto alla gestione e poi invece considerarlo ai fini del calcolo della pensione. D’altra parte non sembra potersi escludere l’esigenza, ravvisabile nella imposizione di un limite minimo di reddito al fine della determinazione della prestazione contributiva, di mantenere una certa proporzionalità tra prestazione contributiva e prestazione previdenziale, avuto riguardo anche alle necessità di contenimento della spesa pubblica previdenziale, che certamente ispirano la tendenza della legislazione pensionistica più recente, diretta alla progressiva sostituzione del sistema di calcolo del trattamento pensionistico, da retributivo a contributivo. F Sulla illegittimità dell’articolo 21 comma 8 e 9 L. 247/2012 attesa la non sostenibilità finanziaria della Cassa Forense. Il ricorrente lamenta che nel lungo periodo non vi sarebbe sostenibilità finanziaria della Cassa forense, tanto che i valori previsti nel c.d. bilancio tecnico di cui alla L.214/2011, dovendosi proiettare su un periodo di cinquant’anni, non sarebbero attendibili di qui l’illegittimità dell’obbligo di iscrizione. Tale censura rimane del tutto apodittica, non affidata ad alcuna prova. A sostegno della genericità della censura sta poi il rilievo che il legislatore, fin dalla privatizzazione della Cassa Forense si è preoccupato di assicurare l’equilibrio economico-finanziario e di garantire l’erogazione delle prestazioni prevedendo la vigilanza del Ministero. Alla prospettata autonomia degli enti previdenziali privatizzati fanno riscontro un articolato sistema di poteri ministeriali di controllo sui bilanci e d’intervento sugli organi di amministrazione ed una generale funzione di controllo sulla gestione da parte della Corte dei Conti, nonché il controllo politico della commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale. La stabilità delle gestioni degli enti previdenziali privatizzati è essenziale per la garanzia dell’erogazione delle prestazioni in favore degli iscritti, anche in un futuro ragionevolmente prevedibile. La scelta delle soluzioni tecniche per assicurare la stabilità della gestione è affidata alla discrezionalità tecnica degli enti, ovviamente sotto il controllo dei Ministeri vigilanti, discrezionalità che si esercita in base a precisi ed oggettivi dati di fatto e calcoli attuariali. G Sulla violazione della legge, eccesso di delega e tardività nell’approvazione del regolamento attuativo della L. 247/2012 La Cassa Forense ha dato attuazione al comma 9 della legge di riforma professionale con il proprio regolamento, che è stato approvato dal Comitato dei Delegati organo collegiale della Cassa Forense rappresentativo dell’avvocatura su base elettorale, deputato, tra l’altro, all’adozione di norme regolamentari, in base all’articolo 11, comma 2, dello statuto dell’Ente in data 31 gennaio 2014 e, dunque, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge numero 247/12, termine peraltro evidentemente ordinatorio, al contrario di quanto asserito dal ricorrente, anche in ragione della mancanza di un’espressa previsione di tipo sanzionatorio o alternativo in caso di mancato rispetto di tale termine, trattandosi di questione la cui potestà regolamentare rimane sempre in capo alla Cassa per espressa previsione normativa D.Lgs. 509/94 in materia di privatizzazione degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria , di cui si dirà meglio più innanzi. Il Ministero competente, con comunicazione in data 5 giugno 2014, ha formulato osservazioni al regolamento approvato dalla Cassa, richiedendo alcune integrazioni e modifiche, che lo stesso Comitato dei Delegati ha apportato nella seduta del 20 giugno 2014, dandone comunicazione al Ministero in data 26 giugno 2014, cui ha fatto seguito l’approvazione ministeriale in data 7 agosto 2014 e la successiva pubblicazione nella G.U. del 20 agosto 2014, con entrata in vigore del regolamento il giorno successivo, 21 agosto 2014 docomma 2 , in ragione di quanto previsto all’articolo 14 del regolamento medesimo. Il regolamento approvato è conforme alla prescrizione normativa di cui all’articolo 21, comma 9, della legge numero 247/12, in quanto individua espressamente i “minimi contributivi” dovuti dai soggetti che non raggiungono determinati parametri reddituali. In particolare, si fa presente che legge numero 576/80, di riforma del sistema previdenziale forense, aveva introdotto l’obbligo del pagamento dei minimi contributivi annuali per tutti gli iscritti che esercitassero l’attività professionale forense con continuità articolo 10, comma 2, della legge numero 576/80 , previsione poi riportata in tutti le successive modifiche normative e/o regolamentari. In particolare, l’articolo 7 del regolamento in questione prevede per il 2014, al comma 1, un contributo soggettivo minimo il contributo soggettivo è calcolato in proporzione al reddito Irpef dichiarato ed è finalizzato alla costituzione del trattamento pensionistico di € 2.780,00 annui, un contributo minimo integrativo il contributo integrativo è calcolato in percentuale sul volume d’affari dichiarato, ha natura solidaristica, è percepito dal cliente dell’avvocato e riversato alla Cassa di € 700,00 annui e un contributo di maternità ex D.Lgs. numero 151/01, finalizzato al riconoscimento dell’indennità di maternità di € 151,00 annui. Il contributo minimo soggettivo, peraltro, viene ridotto alla metà per i primi sei anni di iscrizione alla Cassa comma 2 dell’articolo 7 , per coloro che erano già iscritti agli albi, ma non alla Cassa, alla data di entrata in vigore del regolamento e a prescindere dall’età articolo 12, comma 3, del regolamento , ferme restando le percentuali per i contributi in autoliquidazione in base al reddito percepito. Tale contributo viene ulteriormente ridotto della metà per i percettori di reddito inferiore a € 10.300,00, con la conseguenza che l’importo da corrispondere, per i neoiscritti con reddito inferiore a € 10.300,00, è pari a € 695,00 annui, avendo peraltro gli stessi assicurata una copertura previdenziale e, nell’immediato, tutela assistenziale piena. Il sistema previdenziale forense, infatti, prevede il pagamento di un contributo minimo in quanto viene assicurata a tutti gli iscritti una pensione minima. Per quanto riguarda il contributo integrativo, il minimo non è dovuto per i primi cinque anni di iscrizione alla Cassa e, per i successivi quattro anni, è ridotto alla metà, fermo restando il 4% dovuto sull’effettivo volume d’affari percepito. Peraltro, il regolamento prevede tutta una serie di agevolazioni, benefici e esoneri per situazioni particolari, in conformità alla legge-delega articolo 3, 4, 5, 9, 10, 11, 12 e 13 del regolamento . H Sulla violazione della Costituzione e della normativa comunitaria del regolamento attuativo dell’articolo 21 commi 8 e 9 l. 247/2012 Sul punto si richiama tutto quanto già scritto e si fa presente che il riconoscimento previdenziale limitato a sei mesi è dovuto in ragione della riduzione ai minimi termini del contributo richiesto in via obbligatoria. Per avere la tutela previdenziale piena tutti gli iscritto possono versare l’integrazione al minimo. I Sulla presunta illegittimità del regolamento attuativo dell’articolo 21 commi 8 e 9 L. 247/2012 per violazione dell’articolo 3 comma 5 L. 148/2011 come integrato dalla legge di stabilità numero 183/2011 Per questa censura, che comunque si contesta, si veda quanto già scritto ai punti D ed E. Priva di pregio è anche la presunta illegittimità del regolamento attuativo dell’articolo 21 commi 8 e 9 L. 247/2012 per violazione dell’articolo 1 comma 2 lettera D e dell’articolo 21 comma 9 della L. numero 247/2012 trattasi di un’inutile tentativo di sviare il giudicante rispetto alla piena legittimità del regolamento attuativo di cui trattasi. Sulla natura giuridica del contributo previdenziale. Proprio recentemente mi sono occupato della natura giuridica del contributo previdenziale che oggi dottrina e giurisprudenza propendono per la natura tributaria. La difesa di Cassa Forense richiama due sentenze della Corte Costituzionale ormai datate, la 173 del 1986 e la 135 del 1987. Molta acqua è passata sotto i ponti e oggi la miglior dottrina, così come la Cassazione penale, propende per la natura tributaria della contribuzione previdenziale. La difesa di Cassa Forense cita una recentissima pronuncia in materia del Tribunale di Castrovillari il quale, richiamando la sentenza della Suprema Corte numero 4146 del 1990, ha ritenuto la legittimità di una normativa che fissi minimi contributivi slegati dalla progressività e proporzionalità con il reddito dell’avvocato. Il regolamento di cui all’articolo 21 della l. numero 247/2012. Non vi è chi non veda che il regolamento di cui all’articolo 21 della legge 247/2012 applica ai titolari di redditi inferiori ad € 10.000,00 una contribuzione pari al 36% del reddito prodotto mentre, al titolare di reddito superiore a € 10.000,00 sino al tetto pensionabile, una contribuzione del 14% per coprire l’entità della contribuzione minima obbligatoria ci vorrebbe un reddito di circa € 28.000,00 e, l’unica ragione di questa differenziazione, sta nel reddito prodotto con la conseguenza, assolutamente arbitraria ed inaccettabile, che meno reddito hai più contributi previdenziali paghi! Il tutto a tacere del fatto che lo stesso articolo 21 della legge 247/2012 esclude espressamente il criterio reddituale con esclusione di ogni riferimento al reddito professionale per l’accertamento delle condizioni di esercizio della professione che consentono l’iscrizione e la permanenza stessa nell’Albo professionale. Sulla sostenibilità economico – finanziaria di Cassa Forense, la difesa della Fondazione non ha prodotto l’ultimo bilancio tecnico redatto al 31.12.2015 ed anche questa mancata produzione è molto significativa dato che la stabilità della gestione di Cassa Forense è essenziale per la garanzia dell’erogazione delle prestazioni in favore degli iscritti, anche in un futuro ragionevolmente prevedibile che negli USA riconducono ad un arco temporale di 80 anni mentre da noi l’arco temporale è di 30 anni più 20. Dal tenore dell’ordinanza è presumibile che la causa sarà rimessa alla Corte Costituzionale Con ordinanza del 26.01.2016 il Tribunale ordinario di Modena, Sezione lavoro, ha ritenuto di concedere la sospensiva del provvedimento opposto, alla luce dei tempi presumibilmente lunghi di decisione, e comunque ravvisando il fumus ed il periculum in mora rinviando la causa, ritenendola già documentalmente istruita, all’udienza del 24 novembre 2016, ore 10,00 per discussione, con termine per note sino a dieci giorni prima dell’udienza. All’interprete il tenore dell’ordinanza lascia intendere, alla luce dei tempi presumibilmente lunghi di decisione, che la causa sarà rimessa alla Corte Costituzionale per il vaglio di legittimità dell’articolo 21, commi 8 e 9 della legge 247/2012 e del regolamento di attuazione.