Impugnazione tardiva del licenziamento: nessun risarcimento per il lavoratore

La decadenza dall’impugnativa del licenziamento individuale o collettivo preclude l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale, sia sul piano extracontrattuale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione – sez. Lavoro, con la sentenza numero 498, depositata il 14 gennaio 2016. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso da un lavoratore del settore ferroviario per il risarcimento del danno derivante dall’asserita illegittimità del licenziamento collocamento a riposo d’ufficio per raggiunti limiti contributivi . I giudici di merito, rilevando la tardività dell’impugnazione del licenziamento, hanno ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria fondata solo sulla detta legittimità del recesso. Ed infatti, nel caso di tardiva impugnazione del licenziamento – come nella specie – l’azione risarcitoria ordinaria è ammissibile a condizione che siano allegati e dimostrati profili diversi e ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti, mentre l’azione risarcitoria ordinaria è inammissibile se l’inadempimento prospettato quale presupposto del risarcimento è solo il recesso illegittimo. Il lavoratore che impugna tardivamente il licenziamento non ha diritto al risarcimento. Con la pronuncia in commento, la Cassazione ritiene che la soluzione adottata dai giudici di merito sia in linea con la giurisprudenza di legittimità, che ha ripetutamente affermato che al lavoratore che non abbia tempestivamente impugnato il licenziamento è precluso l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso e, conseguentemente, la tutela risarcitoria in base alle leggi speciali né il giudice può conoscere dell’illegittimità del licenziamento per ricollegare al recesso illegittimo le conseguenze risarcitorie di diritto comune, in quanto l’ordinamento prevede, per la risoluzione del rapporto di lavoro, una disciplina speciale, con un termine breve di decadenza sessanta giorni all’evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici cfr. Cass., numero 5107/2010 . Se l’impugnazione del licenziamento è tardiva, il risarcimento spetta solo se deriva da un fatto diverso dal licenziamento. In particolare, come già chiarito in passato dalla Suprema Corte cfr., Cass., numero 10235/2009 , la decadenza dall’impugnativa del licenziamento individuale o collettivo preclude l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale in quanto l’inadempimento del datore di lavoro consista nel recesso illegittimo in base alla disciplina speciale sia sul piano extracontrattuale ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nell’illegittimità del recesso . Principio, questo, che è stato affermato nell’ambito di una controversia in cui il lavoratore, pur non invocando l’applicazione, in suo favore, dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, aveva esperito unicamente un’azione risarcitoria per ritenuta illegittimità del comportamento datoriale, ravvisata nel mancato rispetto dei criteri dettati dalla legge numero 223/1991 per l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, senza tuttavia allegare un diverso fatto ingiusto accompagnatosi al licenziamento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 novembre 2015 – 14 gennaio 2016, numero 498 Presidente Macioce - Relatore Buffa Svolgimento del processo Con sentenza del 22.04.2010, la Corte di Appello di Venezia, in riforma della pronuncia del giudice di prime cure, respingeva le domande proposte dalle eredi del sig. C., dipendente della Rete Ferroviaria italiana S.p.A., aventi ad oggetto d diritto dei loro dante causa al risarcimento del danno per illegittimità del licenziamento collocamento a riposo d'ufficio per raggiunti limiti contributivi . In particolare, la corte territoriale, rilevando la tardività dell'impugnazione del licenziamento, ha ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria fondata solo sulla detta illegittimità del recesso in difetto di allegazione e prova di ulteriori elementi della fattispecie dell'illecito produttivo dei danno. Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione le eredi del lavoratore con un unico motivo. Resiste Rete Ferroviaria italiana S.p.A. con controricorso. Le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo si deduce ai sensi dell'articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c. violazione degli articolo 1218 e 1453 c.c.p relazione all'articolo 18 St. Lav. E all'articolo 5, co. 3 L. numero 223/91 Violazione e/o falsa applicazione degli articolo 112 e 414 c.p.c., nonché omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la sentenza impugnata affermato che, nel caso di tardiva impugnazione dei licenziamento, come nella specie, l'azione risarcitoria ordinaria è ammissibile purché siano allegati e dimostrati profili diversi e ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti , mentre l'azione risarcitoria ordinaria è inammissibile se l'inadempimento prospettato quale presupposto dei risarcimento è solo il recesso illegittimo . II ricorso è infondato. La soluzione fatta propria dalla corte territoriale è dei tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha ripetutamente affermato che al lavoratore che non abbia tempestivamente impugnato il licenziamento come pacificamente avvenuto nella specie è precluso l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del recesso e, conseguentemente, la tutela risarcitoria in base alle leggi speciali, né il giudice può conoscere dell'illegittimità del licenziamento per ricollegare al recesso illegittimo le conseguenze risarcitorie di diritto comune, in quanto l'ordinamento prevede, per la risoluzione dei rapporto di lavoro, una disciplina speciale, con un termine breve di decadenza sessanta giorni all'evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici Sez. L, Sentenza numero 5107 del 03/03/2010 . Nello stesso senso, si è affermato Sez. L, Sentenza numero 10235 del 04/05/2009 Sez. L, Sentenza numero 5545 del 09/03/2007 che la decadenza dall'impugnativa del licenziamento, individuale o collettivo, preclude l'accertamento giudiziale dell'illegittimità dei recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale, in quanto l'inadempimento del datore di lavoro consista nel recesso illegittimo in base alla disciplina speciale, sia sul piano extracontrattuale, ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nell'illegittimità del recesso. Principio affermato in controversia in cui il lavoratore, pur non invocando l'applicazione, in suo favore, dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, numero 300, aveva esperito unicamente azione risarcitoria per ritenuta illegittimità del comportamento datoriale, ravvisata nel mancato rispetto dei criteri dettati dalla legge 23 luglio 1991, numero 223 per l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, senza tuttavia allegare un diverso fatto ingiusto accompagnatosi al licenziamento . Infine, si può richiamare anche altra pronuncia, secondo la quale l'azione volta ad impugnare il licenziamento illegittimo, in quanto diretta a fare valere un vizio di annullabilità, si prescrive in cinque anni, e tale prescrizione determina - al pari della decadenza dall'impugnativa del licenziamento - l'estinzione dei diritto di far accertare l'illegittimità del recesso datoriale e, quindi, di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, residuando, in favore del lavoratore licenziato, la sola tutela di diritto comune per far valere un danno diverso da quello previsto dalla normativa speciale sui licenziamenti, quale ad esempio quello derivante da licenziamento ingiurioso Sez. L, sentenza numero 18732 del 06/08/2013 . Orbene, in ricorso si espongono svariate ragioni di illegittimità del licenziamento, riconducibili a diverse patologie dell'atto ricorso pagg. da 28 a 30 , ragioni che, per quanto la sentenza sia stata sintetica nella esposizione, comunque non potrebbero mai configurare un comune illecito e che, giusta quanto sopra detto, sarebbero state deducibili solo nel rispetto del termine di decadenza. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che si liquidano in € 2.500 per compensi ed € 100 per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.