La società può essere dichiarata fallita anche se pende un giudizio della Cassazione

Una società può essere dichiarata fallita anche se pende nei suoi confronti la decisione della Cassazione sull’esistenza del credito nei confronti della società che fa istanza di fallimento l’accertamento del debito in sede giudiziale non deve essere necessariamente definitivo.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 163, dell’8 gennaio 2016, nel respingere il ricorso di una società ha sentenziato che l’istanza di fallimento è consentita nonostante la decisione sull’esistenza del credito sia ancora pendente, in quanto impugnata in Cassazione. Il fatto. Con sentenza del marzo 2014, una società veniva dichiarata fallita dal Tribunale, che rilevava la legittimazione attiva di una società per azioni a proporre istanza di fallimento nei confronti di una SRL di cui vantava un importante credito. Contro tale sentenza proponeva reclamo la società dichiarata fallita, insistendo sul difetto di legittimazione attiva della società che aveva chiesto il fallimento «perché le somme dalla stessa richieste sono contestate con giudizio ancora in corso e comunque non dovute per una evidente compensazione legale che ha operato ex tunc l’estinzione del suo credito». La Corte d’appello ha rigettato il gravame proposto, sostenendo che in tema di valutazione della legittimazione ad agire è necessario valutare la probabile esistenza del credito vantato dall’istante, rilevando che sul credito di oltre 162mila euro era intervenuta una sentenza di condanna della società dichiarata fallita che era stata impugnata successivamente dalla stessa, con ricorso per cassazione. Avverso tale provvedimento di rigetto del reclamo la società dichiarata fallita ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi. La società, in particolare, nel ricorso lamenta che vi sia stata, nella sentenza dei giudici del merito, la violazione dell’articolo 6, del R.d. 267/1942 e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione del provvedimento. L’istanza di fallimento. Ai sensi dell’articolo 6, del R.d. 267/1942, il fallimento può essere dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero, e non più d'ufficio dal Tribunale. Competente a decidere sul ricorso per la dichiarazione di fallimento è, a norma dell'articolo 9 del R.d. 267/42, il tribunale del luogo dove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa, e lo stesso articolo 9 specifica che «il trasferimento della sede intervenuto nell'anno antecedente all'esercizio dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza». In tal modo il legislatore ha posto una presunzione assoluta di fittizietà di tutti i trasferimenti di sede presumibilmente anche quelli riguardanti un imprenditore non collettivo, altrimenti si verificherebbe una disparità di trattamento attuati in detto periodo, a vantaggio della velocizzazione della procedura, ma a scapito della corrispondenza della situazione legale a quella effettiva. Il procedimento per la dichiarazione di fallimento è camerale ed è stato dall'articolo 15, del R.d. 267/1942, analiticamente regolamentato, nel rispetto dei principi costituzionali del contraddittorio, della paritaria difesa del diritto alla prova. In passato la notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento, con l’ordinario decreto di convocazione del debitore, era «a cura di parte» a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. numero 179 del 2012, convertito nella legge numero 221/2012, a decorrere dall'1.1.2014, «il ricorso e il decreto devono essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. L'esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all'indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona a norma dell'articolo 107, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, numero 1229, presso la sede risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito dell'atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso. L'udienza è fissata non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso e tra la data della comunicazione o notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni». Come si vede, la notifica del decreto è effettuata in prima battuta dalla cancelleria all'indirizzo di posta elettronica del fallendo da reperire dal registro delle imprese o dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta certificata delle imprese e dei professionisti, e, in caso di esito negativo, l'onere della notifica tradizionale viene ritrasferito al ricorrente. Il decreto contiene l’indicazione che il procedimento è all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e fissa un termine non inferiore a sette giorni prima dell’udienza per la presentazione di memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche. In ogni caso, il Tribunale dispone che l’imprenditore depositi i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata può richiedere eventuali informazioni urgenti. I termini possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi. L’analisi della Cassazione. Le motivazioni del ricorso, per la Corte di Cassazione, non sono fondate. L’articolo 6, del R.d. 267/1942, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l'altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l'esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell'istante. In tal senso l’accertamento incidentale fatto dal giudice nella presente controversia non si presta a censure non risultando lo stesso basato su un motivazione illogica. D'altronde, con le censure prospettate la SRL ricorrente chiede alla Cassazione di effettuare in sostanza un accertamento del credito e, dunque, una valutazione di merito inammissibile in sede di legittimità. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 3 dicembre 2015 – 8 gennaio 2016, numero 163 Presidente Dogliotti – Relatore Ragonesi Fatto e diritto La Corte rilevato che sul ricorso numero 1008812014 proposto dalla Neva Srl nei confronti di S.Z. World Wide Italia SpA + altri, il consigliere relatore ha depositato ex art 380 bis cpc la relazione che segue. Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, ai sensi dell'articolo 380-bis c.p. c. osserva quanto segue. Con sentenza del 14.3.2014 , la società Neva veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Ferrara, che rilevava la legittimazione attiva della società S.Z. World Wide Italia SpA a proporre istanza di fallimento. Contro tale sentenza proponeva reclamo Neva, insistendo sul difetto di legittimazione attiva di S.Z. `perché le somme dalla stessa richieste sono contestate con giudizio ancora in corso e comunque non dovute per una evidente compensazione legale che ha operato ex tunc l'estinzione del suo credito . La Corte d'Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto, sostenendo che in tema di valutazione della legittimazione ad agire è necessario valutare la probabile esistenza del credito vantato dall'istante e rilevando che sul credito di Euro 162.708, 48 era intervenuta una sentenza di condanna della Neva, che era stata impugnata successivamente dalla stessa con ricorso per Cassazione. Avverso provvedimento di rigetto del reclamo la Neva ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi. La S.Z. si e difesa con controricorso. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 6 R.D. 267/1942 e l 'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione del provvedimento. Il motivo deve essere considerato inammissibile in quanto, in realtà non contiene alcuna censura sotto il profilo della violazione di legge di prospettando sostanzialmente un vizio di motivazione non più previsto dall'articolo 360, numero 5 c.p. c. applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge in relazione agli istituti della transazione, compensazione, affitto d'azienda e successione nel contratto di affitto. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente data la loro stretta connessione, sono inconferenti perché in primo luogo l'articolo 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento é dichiarato, fra l'altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l'esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all'esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell'istante. In tal senso l'accertamento incidentale datto dal giudice nella presente controversia non si presta a censure non risultando lo stesso basato su un motivazione illogica. D'altronde, con le censure prospettate il ricorrente chiede a questa Corte di effettuare in sostanza un accertamento del credito e, dunque, una valutazione di merito inammissibile in sede di legittimità. Alla luce di quanto detto, il ricorso proposto appare integralmente inammissibile. Ricorrono i requisiti di cui all'art 375 cpc per la trattazione in camera di consiglio. P.q.m. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio Roma 10.7 15 Il Consigliere Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che pertanto il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della contro-ricorrente Segafredo liquidate in euro 6000,00 oltre euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori di legge e spese forfettarie sussistono le condizioni per l'applicazione del doppio del contributo ex art 13 comma 1 quater, del d.lgs 115/02.