Il coniuge porta via da casa i mobili: se non c’è separazione legale non è punibile

Non sussiste reato di appropriazione indebita se il marito, prima della separazione, fa sparire i mobili da casa.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 46153 del 18 novembre 2013. Il fatto. L’imputato ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo che lo aveva dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 392 c.p. per essersi fatto arbitrariamente ragione da sé, al fine di esercitare un preteso diritto, svuotando la casa coniugale di gran parte dei mobili e suppellettili e sostituendo la serratura, lasciandola inabitabile per moglie e figlia. Il ricorrente, in particolare, deduce vizio di motivazione della sentenza, in quanto, pur essendoci stata sottrazione dei beni, non si è verificato alcun tipo di violenza sugli stessi. Conseguentemente, non è configurabile furto ex art. 624 c.p., essendoci i presupposti per la non punibilità del fatto ai sensi dell’art. 649 c.p. Non c’è nè danneggiamento né furto. L’asportazione dei mobili dall’abitazione non ne ha danneggiato o trasformato la destinazione economica in quanto ha conservato intatte tutte le proprie connotazioni funzionali. Inoltre, poiché a lasciare l’appartamento è stata la moglie, il ricorrente, che ha continuato ad abitarvi, ha il possesso degli arredi. Non sussiste nemmeno appropriazione indebita senza separazione legale . Al più, si può contestare il reato di appropriazione indebita che sussiste quando l’agente ponga in essere atti di qualsiasi genere che eccedano le facoltà inerenti il possesso. Ed è proprio ciò che si è verificato nel caso di specie, avendo il coniuge trasportato il mobilio in una località ignota alla moglie. Tuttavia, poiché il fatto è stato commesso in danno della moglie non legalmente separata è applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 649, co. 1, n. 1 c.p., secondo il quale non è punibile chi ha commesso reato a danno del coniuge non legalmente separato.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 29 agosto 18 novembre 2013, n. 46153 Presidente Marasca Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. M.D. ricorre per cassazione, tramite il difensore, avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo, in data 22-1-13, con la quale, in riforma della sentenza assolutoria emessa in primo grado, l'imputato è stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 392 cp per essersi fatto arbitrariamente ragione da sé medesimo, al fine di esercitare un preteso diritto e potendo ricorrere al giudice, svuotando la casa coniugale di gran parte dei mobili e suppellettili e lasciandola, inabitabile alla moglie C.A.M. e alla figlia minore V. , dopo aver sostituito la serratura della porta d'ingresso. In omissis . 2. Il ricorrente deduce, con unico articolato motivo, violazione degli artt. 392 e 649 cp e vizio di motivazione della sentenza impugnata, poiché la Corte d'appello ha escluso la responsabilità dell'imputato in relazione alla sostituzione della serratura, avendo il M. consegnato le chiavi alla moglie, mentre ha ritenuto la sussistenza del reato di ragion fattasi limitatamente alla sottrazione di mobili in comunione dei beni, antecedentemente alla richiesta di separazione giudiziale ed al relativo provvedimento del giudice civile. Dunque non vi è mai stata alcuna violenza sulle cose, nell'accezione di cui al co 2 dell'art. 392 cp e oggetto della querela è soltanto l'appropriazione di beni coniugali prima del provvedimento di separazione dei coniugi. Il nomen iuris da ascriversi alla fattispecie concreta in disamina è pertanto quello ex art. 624 cp. Ne deriva che il fatto è non punibile ex art. 649 cp. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. Occorre infatti richiamare l'attenzione sulla norma d'interpretazione autentica di cui all'art. 392 co 2 cp, secondo la quale si ha violenza sulle cose allorché la cosa venga danneggiata o trasformata o ne sia mutata la destinazione economica. La nozione di danneggiamento è stata delineata con precisione dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha ripetutamente affermato che essa ricorre allorquando la cosa abbia subito un deterioramento di una certa consistenza Sez. V, 5-4-2000, Ferreri, Cass. pen. 2001, 1203 Sez. II 31-1-2005 n. 4229, rv. 230700 , in modo tale da rendere necessaria una non agevole attività di ripristino Sez. II 23-9-2009, n. 41284, rv. n. 245245 . Ma, anche laddove non siano stati arrecati danni materiali, può ricorrere il requisito della violenza sulle cose, qualora la condotta dell'agente si manifesti come esercizio di un preteso diritto sulla cosa trasformandola o modificandone arbitrariamente la destinazione Sez. VI, 29-11-99, Cerzosimo, in Cass. pen. 2001, 2088 , come nel caso in cui vengano rimossi i paletti che recingano un posto auto Sez. VI, 1-7-02, Fusari, rv. n. 30021 . Orbene, nel caso in disamina, non può dirsi che l'asportazione dei mobili dall'appartamento abbia danneggiato o trasformato o mutato la destinazione economica dei beni. Nulla risulta infatti dalla motivazione della sentenza impugnata circa la causazione di danni materiali agli arredi o all'immobile. Non può, d'altronde, certamente ritenersi che quest'ultimo sia stato trasformato, essendo incontroverso che la struttura e le caratteristiche dell'immobile siano rimaste inalterate. Non può nemmeno sostenersi che ne sia stata mutata la destinazione economica poiché l'appartamento ha conservato intatte le proprie connotazioni funzionali nonché la destinazione ad uso di civile abitazione, che aveva in precedenza. Né possono rilevare, nell'ottica della disposizione in disamina, difficoltà estrinseche rispetto alla configurazione materiale e giuridica dell'immobile, come la scarsità del mobilio rimasto, risultando dalla sentenza d'appello che comunque nell'alloggio erano rimasti i divani, la camera da letto e qualche altra cosa. Trattasi infatti di difficoltà di mero fatto, che rimangono estranee alla nozione di destinazione economica di un bene, che è connessa alla struttura e alle caratteristiche intrinseche di esso nonché al regime giuridico che lo connota. 4. Non può neanche però attribuirsi alla fattispecie concreta sub iudice il nomen iuris ex art. 624 cp. È infatti incontroverso, in linea di fatto, che sia stata la moglie a lasciare l'appartamento onde il M. , che era rimasto ad abitarvi, aveva il possesso degli arredi. Il possesso è, come è noto, elemento costitutivo del reato di appropriazione indebita. Quest'ultimo delitto sussiste ogniqualvolta l'agente ponga in essere atti di qualsiasi genere che eccedano comunque le facoltà inerenti al possesso Cass. 29-3-1966, Malis, rv. n. 101455 . E non può esservi dubbio che il trasporto dei mobili in località nota soltanto al M. ma non alla moglie esulasse dall'ambito delle facoltà inerenti al titolo del possesso, essendosi l'imputato comportato uti dominus nei confronti dei beni. L'asportazione del mobilio integra pertanto gli estremi del reato di cui all'art. 646 cp. Ne consegue l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 649 co. 1 n. 1 cp, poiché il fatto è stato commesso in danno della moglie non legalmente separata, essendo pacifico che fra i coniugi non fosse ancora intervenuta la separazione legale. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio poiché il fatto, qualificato come violazione dell'art. 646 cp, è non punibile ex art. 649 cp. P.Q.M. Qualificato il fatto come violazione dell'art. 646 c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il fatto non punibile ex art. 649 cod. pen