Esposizione a luce, clima temperato: la pianta crescerà e la quantità di sostanza aumenterà …

Ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante, dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità e luogo di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 45622, depositata il 13 novembre 2013. Il caso. La Corte d’Appello aveva condannato per il reato ex art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309/90 produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti – fatti di lieve entità un imputato, il quale aveva coltivato all’interno della propria abitazione 17 piante di marjiuana, con un principio attivo pari a mg. 1,25, corrispondenti a circa 0,05 dosi. Contro tale sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo che, contrariamente all’assunto dei giudici di merito, il principio attivo era di soli mg. 0,75 pari a 0,5 dosi di marjiuana. A suo dire, dunque, si tratterebbe di una realtà inidonea a creare e a mettere in pericolo il bene tutelato dalla norma. Per la Suprema Corte il motivo di doglianza è privo di fondamento. Idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. Innanzitutto gli Ermellini hanno premesso che ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante, dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l’offensività della condotta, la quale va ricercata e individuata nella idoneità del bene nella specie vegetale erbaceo tipo cannabis” a produrre la sostanza per il consumo . Pertanto, il Collegio ha ritenuto corretta la valutazione di merito, in base alla quale le 17 piantine, dell’altezza da 8 a 15 cm, integrano e realizzano l’offensività punita dalla norma, laddove si consideri la loro media prevedibile potenzialità di sviluppo, correlata tra l’altro all’ambiente di coltivazione davanzale di una finestra di una abitazione , in una città del sud con clima temperato. Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 ottobre - 13 novembre 2013, n. 45622 Presidente Agrò – Relatore Lanza Ritenuto in fatto 1. D.C.G. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 11 luglio 2012 della Corte di appello di Catanzaro, di condanna per il reato ex art. 73 comma 5 d.p.r. 309/90 per aver coltivato all'interno della propria abitazione 17 piante di marjiuana, con un principio attivo pari a mg.1,25 corrispondenti a circa 0,05 dosi recidiva reiterata infraquinquennale . Considerato in diritto 2. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, sotto il profilo che, contrariamente all'assunto dei giudici di merito,il principio attivo era di soli mg. 0,75 pari a 0,5 dosi di marjiuana, trattasi invero a giudizio del difensore di una realtà inidonea a creare e a mettere in pericolo il bene tutelato dalla norma. 3. Il motivo è privo di fondamento per più profili. Innanzitutto è infondata la questione della diversa entità del principio attivo, comunque non dedotta nell'atto di appello, attesi i risultati dell'analisi Arpa pag.21 , che hanno indicato un principio attivo pari a gr. 1,25 equivalente a 0,05 dosi. Ciò detto, ritiene la Corte che, nella specie, le 17 piantine di canapa indiana, dell'altezza da 8 a 15 cm., integrano e realizzano l'offensività punita dalla norma, laddove si consideri la loro media prevedibile potenzialità di sviluppo, correlata tra l'altro all'ambiente di coltivazione davanzale di una finestra di una abitazione, luogo relativamente riparato e caratterizzato notoriamente da dispersione termica , in Catanzaro località con clima temperato . In proposito, premesso che ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante, dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta, ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile Cass. pen. sez. 6, 22110/2013 Rv. 255733 , va ribadito, in adesione ad una recente decisione di questa sezione, che detta offensività va ricercata ed individuata nella idoneità del bene nella specie vegetale erbaceo tipo cannabis a produrre la sostanza per il consumo, considerata in materia la formulazione delle norme e la ratio della disciplina, anche comunitaria. Pertanto, non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità e luogo di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente cfr. in termini cass. pen. sez. 6, 22459/2013 Rv. 255732 Massime precedenti Conformi N. 44287 del 2008 Rv. 241991 . Diversamente opinando, si farebbe dipendere la sanzionabilità della condotta dai risultati a termine della attività illecita, il che equivarrebbe a sostenere che solo la naturale crescita e maturazione finale delle 17 piante, che ben possono raggiungere l'altezza compresa tra gli 80 cm. e gli oltre due metri, renderebbe operante il divieto di coltivazione domestica, con evidente aprioristica negazione del criterio dell'offensività. Con un secondo motivo si lamenta l'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche fondato sui soli precedenti penali. La doglianza, al limite dell'inammissibilità, è inaccoglibile. La sussistenza di attenuanti generiche è infatti oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal Giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, per cui la motivazione, purché congrua e non contraddittoria - come nella specie in cui si richiamano i molteplici precedenti penali del ricorrente - non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato Cass. Penale sez. IV, 12915/2006 Billeci . Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.