Gli insidiosi legami politici di patron e manager da soli giustificano le esigenze cautelari

La Cassazione offre una lettura personalistica” delle esigenze cautelari, prevale sulla concretezza e sulla attualità del rischio di inquinamento probatorio e di recidiva.

Il tribunale del riesame conferma le misure cautelari mosse nei confronti del pàtron, Emilio Riva, e del direttore generale della nota acciaieria. Plurime e gravi le contestazioni, dai delitti contro l’ambiente e la pubblica incolumità all’abuso d’ufficio, fino al falso ideologico e alla corruzione in atti giudiziari ex art. 319 ter c.p., per la dazione di denaro ad un consulente tecnico del pubblico ministero al fine di dissimulare la salubrità – e le emissioni di diossina - nell’area circostante allo stabilimento, in occasione delle indagini relative ad una innaturale morìa di bestiame di alcuni anni prima. Entrambi gli indagati ricorrono presso il giudice di legittimità, le esigenze cautelari sarebbero state solo apoditticamente ipotizzate in ragione di pure prognosi personalistiche, inconsistenti nei fatti, insostenibili processualmente. La Cassazione, Prima sezione Penale, n. 45373 depositata l’11 novembre 2013, rigetta le impugnazioni. Il rischio dell’inquinamento probatorio permane nonostante l’istruzione sia già completa. Per la Cassazione il rischio non va misurato sul grado di approfondimento o di avanzamento delle indagini. In specie la complessità della raccolta probatoria aveva implementato risultanze di varia genìa istruttoria incidenti probatori, perizie, acquisizioni documentali, statistiche e scientifiche – sulla salubrità della zona e sull’anomalo grado di diffusione di alcune patologie -. Ad un corredo istruttorio quasi completo, atteso da un vaglio dibattimentale più certificatorio che costituente, all’esito del già scaduto termine di legge per la conclusione delle indagini preliminari, gli elementi testimoniali ancora acquisibili apparivano recessivi e non di manifesta incidenza. La Cassazione specifica a nulla rileva la già sostanziale avvenuta conclusione delle indagini utili ai fini delle individuazioni delle responsabilità – e di seguito l’assenza di permanenti interessi di tutela probatoria nella richiesta della misura da parte del pubblico ministero -, per poter ancora ravvisare rischi di inquinamento probatorio. segue dalla concretezza” del pericolo per la prova alla personalità” degli indagati. Infatti, le esigenze di tutela del materiale probatorio raccolto permangono per il solo stato personale degli indagati, in grado, per l’indole delinquenziale mostrata e per il curriculum giudiziario pregresso già consistente – fra giudicati e procedimenti pendenti -, di poter sviare i significati probatori già maturati. In tal modo la Cassazione declina l’asse portante della norma ex art. 274 lett. a c.p.p. il rischio dell’inquinamento probatorio può trovare ragione nella sola conclamata capacità degli indagati di poter intercedere sulle risultanze istruttorie, per le forti relazioni politiche ed industriali dei vertici del gruppo industriale proprietario e per le già rivelate attitudini dissimulatorie della verità dei fatti. Il pericolo della recidiva prevale ancora la personalità dell’indagato. Per la Cassazione, il pericolo della reiterazione del reato non può che riguardare condotte lesive dello stesso bene giuridico, e non fattispecie semplicemente omologhe sotto il profilo strutturale e dei contenuti. In ogni caso, i giudici di legittimità paiono ancora valorizzare il dato personalistico degli indagati. Fra i requisiti indicati dall’art. 274 lett. c c.p.p. ben può l’esigenza cautelare essere riconosciuta per la sola personalità dell’indagato e non per tutti i criteri prefissi dalla norma – modalità e circostanze del fatto -. Anche in questa occasione la Cassazione attrae la valutazione delle esigenze cautelari sulla caratura personalistica dell’indagato, anziché sulla concretezza dei fatti accertati. Lo conferma l’ulteriore assunto giudiziale le dimissioni da ogni carica formale interna al gruppo industriale non fanno cadere le esigenze cautelari, il grado di pericolosità individuale sopravvive ad ogni dismissione da incarichi operativi o gestionali, per la fitta rete di relazioni politiche che i vertici dell’Ilva hanno intessuto in decenni di incontrollata attività industriale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 giugno - 11 novembre 2013, n. 45373 Presidente Siotto – Relatore La Posta Ritenuto in fatto 1. Il 14.12.2012 il Tribunale di Taranto, decidendo sull'istanza di riesame di R.E. e C.L. , avverso l'ordinanza del Gip della stessa sede, in data 22.11.2012, confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata al R. e sostituiva con quella degli arresti domiciliari la misura applicata al C. . Il C. , direttore generale dello stabilimento Ilva di , ed il R. , presidente del consiglio di amministrazione della Ilva S.p.A. fino al 19/5/2010 e presidente del consiglio di amministrazione della Riva Fire S.p.A. proprietario degli impianti Ilva di , sono stati ritenuti indiziati del reato di cui all'art. 416 cod. pen. perché, in concorso anche con R.A.F. , R.N. e A.G. facevano parte, con il ruolo di organizzatori, di una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti contro la pubblica incolumità artt. 434, 437 e 439 cod. pen. nonché, delitti contro la pubblica amministrazione e la fede pubblica quali corruzione, falsi ed abuso di ufficio. In particolare il C. nella qualità di direttore generale dello stabilimento Ilva sino al 3/7/2012 e dipendente della Ilva sino al 28/9/2012, provvedeva insieme ai predetti R. ad intrattenere contatti costanti tra loro e con l'A. , al fine di individuare le problematiche che non avrebbero consentito l'emissione dei provvedimenti autorizzativi nei confronti dello stabilimento Ilva, concordando possibili soluzioni, individuando soggetti da contattare, disposizioni da impartire a funzionari incaricati di vari uffici, nonché, provvedendo a concordare in anticipo il contenuto di documenti ufficiali che dovevano essere emanati, al fine di ridimensionare problematiche anche gravi in materia ambientale, ovvero al fine di consentire la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento in totale violazione della normativa vigente, fatti commessi dal 1995 all'attualità. Sono stati, inoltre, ritenuti indiziati del reato di cui agli artt. 110, 321 cod. pen. in relazione all'art. 319 - ter cod. pen. perché, in concorso anche con R.F. ed A.G. , nelle rispettive qualità pagavano, previa promessa, a L.L. , consulente tecnico del pubblico ministero nominato nell'ambito delle indagini relative al procedimento penale a carico di ignoti per fatti di inquinamento ambientale da diossina verificatesi nel territorio di Taranto in prossimità dello stabilimento siderurgico Ilva, la somma di Euro 10.000 materialmente consegnata dall'A. dopo che era stata prelevata dalla cassa dell'Ilva S.p.A. ed altresì, del reato di cui agli artt. 110, 112, 479 cod. pen., in concorso con A.G. e L.L. , avuto riguardo alla falsificazione del contenuto della consulenza tecnica avente ad oggetto le emissioni di diossina e PCB del suddetto stabilimento, in particolare, avendo il L. asserito falsamente che la diossina rinvenuta nelle matrici alimentari analizzate che aveva anche portato all'abbattimento di circa 2.170 capi di bestiame contaminati non era compatibile con l'attività dello stabilimento siderurgico, fatti commessi nel XXXX. 2.1. Con il ricorso proposto a mezzo dei difensori di fiducia il C. denuncia, con i primi tre motivi di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati contestati. Afferma, in primo luogo, la insussistenza di elementi idonei a ritenere configurabile un'associazione per delinquere identificabile in una struttura con finalità illecite all'interno della organizzazione aziendale. Gli elementi indiziari tratti dai contatti telefonici intrattenuti dal solo A. con più soggetti e riferiti ai fatti più diversi risultano idonei esclusivamente ad evidenziare le modalità operative del predetto nello svolgimento del proprio incarico, senza fornire alcun elemento utile in ordine ai reati cui il sodalizio sarebbe finalizzato, tanto che gli unici addebiti mossi agli indagati sono i fatti di corruzione e falso contestati ai capi G , H ed I . In ordine al concorso nella corruzione del consulente del pubblico ministero L. , premesso che il contenuto della busta consegnata allo stesso non è mai stato direttamente accertato, contesta il carattere di gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dalla fattispecie. Rileva che il tribunale non ha valutato adeguatamente gli elementi che suffragano la tesi difensiva della liberalità fatta alla Curia di Taranto a mezzo del versamento dei 10.000 Euro al Monsignor P. , arcivescovo di Taranto, desumibili dalla conversazione captata tra l'A. ed il segretario particolare del monsignore, nonché, da quanto riferito agli investigatori dal predetto che il tribunale ha sostanzialmente travisato. La palese contraddittorietà del quadro indiziario non può che inficiare la valutazione di elevata probabilità della sussistenza del reato contestato. Il ricorrente ritiene destituite di fondamento le conclusioni del tribunale del riesame avuto riguardo alla configurabilità del reato di cui all'art. 479 cod. pen. alla luce della comparazione tra le affermazioni contenute nella consulenza del pubblico ministero - redatta non solo dall'indagato prof. L. , ma anche da altri due consulenti contestualmente nominati - ed il contenuto dell'elaborato peritale che è seguito all'incidente probatorio disposto dal Gip, in particolare, in ordine alla riconducibilità alle emissioni dell'Ilva della presenza di diossine e PCB nelle matrici alimentari esaminate. Invero, lo stesso tribunale considera la difformità tra le due conclusioni in termini di divergenza di opinioni su una questione tecnicamente complessa, ma attribuisce inopinatamente prevalenza alle conclusioni dei periti. Tanto non può non incidere sulla configurabilità del reato di cui all'art. 479 cod. pen., atteso che per integrare il predetto reato con riferimento ad una attività valutativa del pubblico ufficiale il presupposto della fondatezza dell'addebito deve necessariamente risiedere nell'assunzione a fondamento della valutazione non veritiera di dati diversi da quelli acquisiti e nell'utilizzazione di elementi inesistenti. Nel caso di specie si assume la falsità dell'attività meramente valutativa riferibile al consulente tecnico a prescindere dalla contestazione di una difformità rispetto alla realtà di dati assunti a fondamento della valutazione. Né possono ritenersi rilevanti a tal fine gli elementi tratti dal contenuto di alcune conversazioni intercettate tra il L. ed altro componente del collegio dei consulenti nominati dal pubblico ministero, ingegnere P. , in data 3.5.2010 e 29.6.2010 la cui interpretazione è frutto di palese travisamento. Con il quarto, quinto e sesto motivo il C. deduce la violazione di legge ed il vizio della motivazione avuto riguardo alla valutazione delle esigenze cautelari, sia con riferimento al pericolo di inquinamento probatorio che al rischio di recidiva. Afferma che il tribunale, con motivazione apparente e comunque non plausibile sul piano logico e fattuale, ha ritenuto irrilevante ai fini cautelari la circostanza che il ricorrente dopo avere rassegnato le dimissioni, il 3.7.2012, dalla carica di direttore dello stabilimento Ilva, in data 28.9.2012 ha interrotto il rapporto di lavoro con la società Ilva S.p.A Invero, il tribunale ha rilevato che l'indagato attualmente sottoposto a procedimento penale per gravissimi reati, avrebbe interesse ad alterare il normale andamento del procedimento influenzando anche mediante accordi corruttivi le determinazione della pubblica amministrazione ovvero acquisendo testimonianze compiacenti. Non ha, quindi, indicato con motivazione adeguata e logica le ragioni per le quali, pur nella diversa posizione soggettiva, il ricorrente possa continuare a porre in essere condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni valori del reato commesso, sottovalutando l'innegabile incidenza della sopravvenuta cessazione del rapporto di lavoro con l'Ilva che rappresenta un elemento di assoluta discontinuità che esclude la possibilità per il ricorrente sia di intervenire nella gestione dello stabilimento di XXXXXXX, sia di interferire nella stessa. Quanto specificamente al pericolo di inquinamento probatorio, il ricorrente ritiene a immotivato il rischio che da parte della società Ilva possano essere poste in essere iniziative volte a subornare le persone a vario titolo informate sui fatti, attesa la indubbia estrema complessità del materiale probatorio acquisito di cui la stessa ordinanza da atto b la assoluta mancanza di attualità del pericolo, attesa la posizione dell'indagato di cui si è detto c la mancanza della necessaria concretezza del pericolo di inquinamento probatorio, laddove i giudici della cautela sono venuti meno all'onere di indicare quali siano gli elementi specifici da acquisire e, in relazione a questi, quali siano i pericoli per la genuinità di tali acquisizioni del resto, è evidente la rilevanza marginale che le dichiarazioni testimoniali sono destinate ad assumere nel procedimento in oggetto in cui l'accusa è fondata su prove di altra natura. Inconferente deve ritenersi, ai fini dell'affermazione del pericolo di inquinamento probatorio, il riferimento ad episodi che emergerebbero da alcune conversazioni relative all'A. che non vedono il diretto coinvolgimento del ricorrente. Anche il pericolo di reiterazione dei reati contestati, ad avviso del ricorrente, è fondato su argomenti privi del carattere della concretezza. Ribadisce l'attuale mancanza di qualsivoglia collegamento del ricorrente con l'attività della società e con gli impianti in conseguenza delle dimissioni, dovendosi ritenere irrilevante sotto tale profilo il richiamo alle circostanze che emergerebbero dalla relazione di sintesi dell'incontro tecnico tra i custodi dello stabilimento ed i responsabili della società Danieli S.p.A. relativa al sopralluogo effettuato il 20/11/2012 presso lo stabilimento nella quale si affermerebbe che il responsabile della ditta Danieli aveva sentito il ricorrente, circostanza successivamente sconfessata dalle dichiarazioni del predetto. Di pura astrazione è l'ipotesi che il ricorrente potrebbe svolgere attività illecite presso altri contesti industriali ai quali potrebbe avere accesso attraverso altre società controllate dal gruppo Riva Fire. 2.2. R.E. , a mezzo dei difensori di fiducia, ha limitato il ricorso alla valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari. In primo luogo deduce l'insussistenza di esigenze cautelari nuove rispetto a quelle già ritenute e poste a fondamento della precedente misura cautelare applicata, con riferimento a diverse fattispecie delittuose, con l'ordinanza in data 25 luglio 2012, atteso che l'ordinanza impugnata non introduce alcun elemento che non sia già stato ritenuto e valutato nella precedente misura cautelare. Lamenta, in specie, che la vicenda che nel primo provvedimento cautelare era stata valutata al fine di ritenere la sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio e di recidiva, nel provvedimento impugnato è diventata presupposto di contestazione di nuove fattispecie di reato ed, altresì, della valutazione delle esigenze cautelari con indebita duplicazione ciò sia con riferimento al pericolo di inquinamento probatorio che al pericolo di reiterazione dei reati contestati. Rileva, quindi, che al netto del divieto di duplicazione delle pretese valenze sintomatiche in punto di periculum, nessuna reiterazione dei reati contestati nell'ordinanza in esame potrebbe astrattamente concepirsi. Evidenzia come il pericolo di reiterazione deve essere riferito alle fattispecie contestate con la nuova misura cautelare e lamenta la valutazione in ordine alla rilevanza del vincolo reale costituito dal sequestro dello stabilimento che è stato considerato di fatto svuotato per effetto della legge n. 231 del 2012. I giudici si sono limitati a ritenere irrilevante, ai fini dell'attualità concretezza delle esigenze cautelari, lo stato di detenzione del ricorrente tenuto conto dell'astratta possibilità che lo stesso possa riacquistare la libertà, mentre nulla è stato indicato in ordine a nuovi elementi fattuali dai quali trarre nuove esigenze cautelari. Con riferimento al ritenuto pericolo di inquinamento probatorio, rileva, quindi, che il tribunale ha operato una inammissibile traslazione sulla persona degli indagati di fatti genericamente attribuiti all'Ilva. Invero, così come per la prima misura cautelare, soltanto una conversazione - quella del 28.6.2010 con il figlio Fabio che comunica al padre di avere visionato in anteprima la bozza della perizia del prof. L. - è riferibile all'indagato ed il tribunale non ha fornito risposta alle deduzioni difensive, che vengono ribadite, in ordine alla rilevanza della stessa ai fini della ritenuto pericolo di inquinamento probatorio ed in particolare alla mancanza di alcun riferimento nella motivazione del provvedimento impugnato al coevo rapporto tra l'Ilva ed i propri consulenti tecnici ai cui accertamenti si allude nella conversazione citata. La carenza ed illogicità della motivazione viene riferita, altresì, all'argomento della missiva inoltrata all'on. B. , indicato quale attività di pressione sui pubblici poteri. Si tratta, infatti, di una normale informazione tesa a rappresentare il punto di vista dell'impresa. Con riferimento al ritenuto pericolo di reiterazione dei reati R.E. ribadisce che non sono stati introdotti elementi nuovi rispetto alla precedente misura e che il tribunale ha omesso di operare la valutazione del pericolo di reiterazione con riferimento ai reati contestati nella nuova ordinanza, associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso in atto pubblico. Rileva, altresì, che la legge n. 231 del 2012 sancisce la liceità dell'esercizio dello stabilimento. Infine, la prospettazione del pericolo di reiterazione con riferimento ad altre realtà industriali è meramente assertiva tenuto conto dell'età ottantaseienne del ricorrente e del fatto che nessuno stabilimento del gruppo presenta le caratteristiche funzionali e strutturale dello stabilimento di XXXXXXX. Considerato in diritto 1. L'esame dei motivi di ricorso proposti dal C. in ordine alla valutazione degli indizi di colpevolezza relativamente ai reati in contestazione impone di ribadire che il vaglio di legittimità demandato a questa Corte non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall'art. 273 cod. proc. pen. per l'emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l'intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito che vertono sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull'attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza, anche se non di certezza, dell'indagato. Orbene, quanto ai rilievi mossi dal C. relativamente alla valutazione del compendio indiziario in ordine alla fattispecie associativa contestata - precisato che, diversamente da quanto indicato del ricorrente, agli indagati del reato di cui all'art. 416 cod. pen., tra i quali l'A. e R.E. , sono stati contestati nel medesimo procedimento anche i reati di cui agli artt. 434, 437, e 439 cod. pen. - deve rilevarsi come lo sviluppo argomentativo della motivazione dell'ordinanza impugnata circa la sussistenza del quadro di gravità indiziaria in ordine al reato associativo è fondato su una coerente analisi critica degli elementi acquisiti. In specie, il tribunale ha dato atto che sulla base del comportamento tenuto dai massimi dirigenti e dal soggetto incaricato di mantenere i rapporti istituzionali sono emersi elementi idonei ad individuare un pactum sceleris per portare avanti attività illegali attraverso una struttura organizzativa dell'impresa stessa i cui scopi e risorse sono stati in parte finalizzati a commettere una pluralità di reati contro la pubblica incolumità, la pubblica amministrazione e la fede pubblica. A fronte di ciò il ricorrente si limita a muovere sul punto censure, come sintetizzate in premessa, palesemente generiche. Alla luce dei principi innanzi richiamati, ad avviso del Collegio, le doglianze del C. avuto riguardo alla valutazione del compendio indiziario relativo ai reati di cui all'art. 321 e 479 cod. pen., si sostanziano in censure di merito volte alla rilettura, non consentita al giudice di legittimità, della ricostruzione della dazione di danaro al L. , materialmente effettuata dall'A. , operata dai giudici di merito sulla base della valutazione dettagliata di una pluralità di circostanze concordanti, reputate conducenti in termini elevata probabilità della responsabilità degli indagati. Hanno, in specie, desunto un compendio indiziario connotato della necessaria gravità dalle circostanze emerse dalla visione del filmato delle riprese effettuate nell'area di servizio dell'autostrada dove avvenne l'incontro tra l'A. ed il L. , dal contenuto delle conversazioni intercettate sull'utenza dell'A. , dalle dichiarazioni rese da Monsignor P. e dal suo segretario particolare, dall'esito degli accertamenti bancari. In particolare, poi, in ordine alle deduzioni del ricorrente il tribunale ha sottolineato come la documentazione prodotta, relativa alla contabilizzazione dell'azienda di somme di danaro pari a 5.000 o 10.000 Euro per versamenti in favore dell'arcivescovo di Taranto in occasione del Natale e della Pasqua, non dimostrano affatto che quelle somme siano state effettivamente consegnate all'arcivescovo e, quindi, non può smentire tutti gli indizi acquisiti. Il ricorrente, invero, sul punto si limita a ribadire che la somma era stata destinata all'arcivescovo, assumendo, peraltro, un indimostrato travisamento delle dichiarazioni rese da questi. Deve essere, altresì, evidenziato che la falsità della consulenza, che viene posta in dubbio dal ricorrente, è configurabile in via astratta e che gli arresti giurisprudenziali richiamati nel ricorso non vanno nella direzione che il ricorrente vorrebbe affermare, laddove non si sia in presenza di un mero atto valutativo caratterizzato da discrezionalità, bensì di valutazione che presuppone attività di constatazione di dati indiscussi. Come è stato, infatti, affermato, nell'ambito di contesti che implichino l'accettazione di parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, le valutazioni formulate da soggetti cui la legge riconosce una determinata perizia possono non solo configurarsi come errate, ma possono rientrare altresì nella categoria della falsità ideologica allorché il giudizio faccia riferimento a criteri predeterminati in modo da rappresentare la realtà al pari di una descrizione o di una constatazione. Ne consegue che è ideologicamente falsa la valutazione che contraddica criteri indiscussi o indiscutibili e sia fondata su premesse contenenti false attestazioni Sez. 5, n. 15773 del 24/01/2007, Marigliano, rv. 236550 . Se ciò è vero in astratto, nella specie il tribunale ha posto a base della propria valutazione il raffronto tra i risultati dell'accertamento tecnico effettuato dal L. e quelli della perizia svolta in sede di incidente probatorio, ma anche una pluralità di elementi significativi tratti dalle conversazioni captate, quali quella tra l'A. e R.F. del 31.3.2010 e quella tra R.E. e R.F. del 28.6.2010 p. 109-111 e, soprattutto, ha evidenziato che i consulenti del pubblico ministero, oltre a pervenire a conclusioni diverse da quelle dei periti, hanno escluso una circostanza che non poteva essere esclusa, ossia la compatibilità delle polveri dell'impianto con i campioni d'aria e le matrici alimentari. 2. Non sono fondate, ad avviso del Collegio, le doglianze dei ricorrenti relative alla valutazione delle esigenze cautelari. La sussistenza delle esigenze cautelari è censurabile in sede di legittimità soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme o nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, rilevabili dal testo del provvedimento impugnato Sez. 1, n. 795, 06/02/1996, Di Donato rv. 204014 . Rigorosamente entro tale perimetro, pertanto, possono essere esaminate le doglianze dei ricorrenti, come innanzi indicate, alla luce del contenuto dell'ordinanza impugnata con la quale il tribunale del riesame ha ritenuto attuali le esigenze cautelari di cui alle lett. a e c dell'art. 274 cod. proc. pen Deve essere, altresì, precisato - avuto riguardo ai rilievi mossi dal R. - che la misura oggetto dell'ordinanza impugnata e quella applicata ai ricorrenti nel luglio 2012 con riferimento a fattispecie diverse, sia pure comunque riferibili alle vicende del funzionamento dello stabilimento Ilva di XXXXXXX, sono fondate su presupposti diversi e sono suscettibili di vicende autonome, pertanto, l'una non esclude l'altra. Invero, stante la configurabilità di reati diversi da quelli precedentemente contestati, questi ben possono formare oggetto di ulteriore contestazione ai fini dell'applicazione di nuova misura cautelare, in questa fase caratterizzata, come è noto, dalla provvisorietà, c.d. fluidità, dell'imputazione suscettibile di modifiche. Non ricorre, quindi, alcuna preclusione, né è necessario, come assume il ricorrente, alcun elemento di novità rispetto a quelli posti a fondamento della precedente misura, ben potendo le esigenze cautelari essere le stesse già ritenute sussistenti nella precedente valutazione. Senza considerare che nel provvedimento impugnato si da atto che dalle indagini successive alla prima misura cautelare sono stati acquisiti elementi ulteriori. La valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari operata dai giudici di merito e contestata dai ricorrenti, all'evidenza, non può prescindere dalle indicazioni contenute nel provvedimento impugnato in ordine al ruolo rivestito dagli indagati all'interno dell'azienda all'epoca dei fatti e dalla gravità dei fatti in contestazione. Il tribunale, in specie, ha sottolineato come R.E. abbia formalmente diretto l'intera attività aziendale dell'ILVA fino al 19.5.2010 e, sostanzialmente, sino all'attualità e come sia il dominus del gruppo Riva e mantenga la proprietà dello stabilimento di XXXXXXX. Analogamente C.L. , direttore generale dello stabilimento, da molti anni presente nella gestione tecnica dell'ILVA, è stato individuato dal tribunale come colui che ha condiviso totalmente le scelte gestionali. Con specifico riferimento alla sussistenza del pericolo per l'acquisizione e la genuinità della prova la valutazione operata dal giudice del riesame risulta conforme ai principi affermati da questa Corte ed immune dai vizi denunciati avuto riguardo alla logicità ed interna coerenza della motivazione. Il tribunale, ribadito che il pericolo di inquinamento probatorio non si esaurisce con la chiusura delle indagini, né per il solo fatto che sono state disposte le perizie con l'incidente probatorio in considerazione della pluralità delle fonti delle prove, ha dato atto che, a fronte della imponente dimensione degli interessi implicati e delle gravissime conseguenze che deriverebbero agli indagati dall'affermazione di responsabilità, il pericolo che il R. ed il C. , facendo affidamento su una complessa rete di conoscenze a tutti i livelli, possano porre in essere iniziative tese ad avvicinare con finalità di subornare soggetti coinvolti è tutt'altro che astratto. A conferma di tale valutazione il tribunale ha indicato non soltanto la vicenda in contestazione relativa al consulente del pubblico ministero L. , di cui ha sottolineato la oggettiva gravità, ma anche il contenuto di alcune conversazioni intercettate, specificamente esaminate nel testo dell'ordinanza, che hanno visto coinvolta la proprietà dello stabilimento ed anche il C. e l'A. . I giudici del riesame hanno, quindi, fatto corretta applicazione del principio richiamato per il quale la valutazione del pericolo di inquinamento probatorio va effettuata con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già individuate, a nulla rilevando il fatto che le indagini siano in stato avanzato ovvero risultino già concluse, atteso che l'esigenza di salvaguardare la genuinità della prova non si esaurisce all'atto della chiusura delle indagini preliminari. Sez. 6, n. 13896 del 11/02/2010 - dep. 12/04/2010, Cipriani, rv. 246684 . Pertanto, ai fini della necessità di prevenire, con la misura della custodia in carcere, il persistente e concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva la circostanza che le indagini preliminari si siano concluse Sez. U, n. 19 del 25/10/1994 - dep. 12/12/1994, De Lorenzo, rv. 199396 . E d'altro canto, il pericolo per la genuinità della prova non può dirsi scongiurato per il solo fatto che è stato effettuato l'incidente probatorio, tenuto conto che non si può dubitare nella specie della estrema complessità del materiale probatorio acquisito di cui l'ordinanza impugnata da atto e che, certamente, non si esaurisce nelle prove raccolte con l'incidente probatorio. Né, all'evidenza, l'attualità di tale pericolo può essere contraddetta dalla dismissione delle cariche degli indagati, circostanza che sotto tale profilo si palesa indifferente. Inoltre, contrariamente a ciò che è stato contestato dal C. , in punto di specificità dei pericoli per l'acquisizione delle prove, il pericolo di cui all'art. 274, comma 1, lett. a , cod. proc. pen., postula soltanto che vi siano specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini, laddove il requisito della specificità è riferito alle esigenze e non alle indagini, dal che consegue che non è indispensabile che il giudice indichi con precisione gli atti da compiere. Ciò anche per evitare che il pubblico ministero debba rivelare alla parte gli accertamenti che si appresti ad espletare e, del resto, lo stesso giudice non deve necessariamente essere posto a conoscenza delle future investigazioni Sez. 6, n. 3424 del 11/09/1997 - dep. 14/10/1997, Carella, rv. 210298 . Le restanti doglianze formulate dai ricorrenti sul punto si sostanziano in censure di fatto con pretesa di una diversa valutazione del significato delle conversazioni captate che in questa sede resta preclusa, operando, peraltro, una lettura parcellizzata delle circostanze sulle quali il tribunale ha fondato il proprio convincimento in maniera logica e non contraddittoria affermando che si risolvono, comunque, in un concreto pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, essendo manifesta la volontà degli indagati di intervenire per aggirare le gravi accuse mosse nei loro confronti. Anche i rilievi mossi dai ricorrenti in relazione al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie non sono fondati. Come è noto, il giudizio prognostico relativo al pericolo di recidiva deve avere riguardo alle specifiche modalità e circostanze del fatto, indicative dell'inclinazione del soggetto a commettere reati della stessa specie, alla personalità dell'indagato, da valutare alla stregua dei suoi precedenti penali e giudiziari, all'ambiente in cui il delitto è maturato, nonché alla vita anteatta dell'indagato, come pure di ogni altro elemento compreso fra quelli enunciati nell'art. 133 cod. pen. A detti elementi, all'evidenza, il giudice può fare riferimento congiuntamente o alternativamente, potendo, quindi, inferire il concreto pericolo di recidivanza anche soltanto dalle specifiche modalità e circostanze del fatto-reato. Così che, la negativa valutazione della personalità dell'indagato ben può fondarsi sugli specifici criteri oggettivi indicati dall'art. 133 cod. pen. tra i quali rientrano, appunto, la gravità del reato e le modalità della sua commissione, senza che il giudice sia tenuto a motivare singolarmente sulla ricorrenza di tutti gli elementi valutativi previsti dal predetto articolo Sez. 5, n. 2416 del 19/05/1999 - dep. 04/08/1999, Marchegiani, rv. 214230 . D'altra parte, il parametro della concretezza, cui si richiama l'art. 274 lett. c cod. proc. pen., non si identifica con quello di attualità” del pericolo derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, il predetto requisito essere riconosciuto alla sola condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi concreti” cioè non meramente congetturali sulla base dei quali possa affermarsi che l'indagato possa, verificandosene l'occasione, commettere reati della stessa specie di quello per cui si procede, ossia che offendono lo stesso bene giuridico Sez. 1, n. 25214, 03/06/2009, Pallucchini, rv. 244829 Sez. 1, n. 10347, 20/01/2004, Catanzaro, rv. 227227 . Esaminata alla luce di tali criteri, pur tenendo conto della peculiarità delle fattispecie contestate ai ricorrenti, la valutazione operata dal giudice del riesame risulta conforme ai principi richiamati ed immune dai vizi denunciati avuto riguardo alla logicità ed interna coerenza della motivazione. In punto di gravità dei fatti oggetto di contestazione, nell'ordinanza impugnata ha sottolineato gli artifici adottati per dissimulare le condotte, strumentalizzando a tale fine anche le istituzioni religiose. Quanto alla concretezza del pericolo di recidiva i giudici di merito hanno, invero, messo in luce i comportamenti posti in essere dai ricorrenti che palesano la reiterazione delle condotte tese ad incidere sui procedimenti amministrativi ed alle indagini in corso che interessavano lo stabilimento Ilva elementi che fondano la possibilità che gli indagati esercitino indebite influenze in pregiudizio delle fonti di prova nel procedimento in corso. Tale pericolo correttamente è stato ritenuto ulteriormente confermato, per quel che riguarda gli indagati R.E. e C.L. , dai precedenti penali e dalle pendenze giudiziarie. Invero, a carico del C. risultano sette condanne definitive per violazione delle direttive CEE in materia di tutela della salute dei lavoratori ed in materia di inquinamento dell'aria, danneggiamento aggravato, violenza privata tentata e continuata, frode processuale in concorso, omissione colposa delle difese contro gli infortuni sul lavoro, omicidio colposo ed altrettante pendenze giudiziarie per analoghe imputazioni. A carico di R.E. , oltre la pendenza di sei procedimenti per i reati di omicidio colposo, estorsione, turbata libertà dell'industria, deturpamento e imbrattamento, getto pericoloso di cose, risultano due condanne irrevocabili per i reati di cui agli artt. 674 e 610 cod. pen Si tratta, all'evidenza, diversamente da quanto dedotto dai ricorrenti, di elementi tutt'altro che neutri ai fini della complessiva valutazione in esame. Risulta, poi, coerente con i principi richiamati in premessa l'affermazione del tribunale che ha ritenuto il pericolo di reiterazione non contraddetto né dalla circostanza che gli impianti sono stati sottoposti a sequestro preventivo, né dal venir meno delle cariche degli indagati nella azienda. La dismissione delle cariche - circostanza sulla quale fondano per molta parte il ricorso del C. - non è, infatti, in se stessa dirimente ai fini della esclusione delle esigenze cautelari ed, in specie, del pericolo di recidiva. Tanto, come è noto, è stato affermato da questa Corte in più occasioni, laddove si è esplicitato che il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale dell'incolpato non è di per sé impedito dalla circostanza che l'indagato abbia dismesso la carica o esaurito l'ufficio nell'esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata, purché il giudice fornisca adeguata e logica motivazione sulle circostanze di fatto che rendono probabile che l'agente, pur in una diversa posizione soggettiva, possa continuare a porre in essere condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso Sez. 6, n. 9117 del 16/12/2011 - dep. 07/03/2012, Tedesco, rv. 252389 Sez. 6, n. 6566 del 13/12/2011 - dep. 17/02/2012, Gambarino, rv. 252037 . Risulta evidente, altresì, come tale affermazione vada messa in stretta relazione con l'interpretazione del significato e della ratto della norma, art. 274 lett. c cod. proc. pen., laddove richiede il pericolo della commissione di delitti della stessa specie di quello per il quale si procede che - come la stessa decisione appena richiamata indica - non può essere inteso nel senso di pericolo di commissione di delitti della stessa natura, bensì, di delitti che offendono la stessa categoria di beni giuridici. Le esigenze di tutela della collettività, di cui all'art. 274, lett. c cod. proc. pen., devono concretarsi nel pericolo specifico di commissione di delitti collegati sul piano dell'interesse protetto, intendendosi per delitti della stessa specie” i delitti che offendono lo stesso bene giuridico. Giova anche ricordare, ed anche in questo caso il principio ha valore generale, che la prognosi sfavorevole circa la commissione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede non è impedita dalla circostanza che l'incolpato abbia dismesso l'ufficio o la carica nell'esercizio dei quali, abusando della sua qualità o dei suoi poteri o altrimenti illecitamente determinandosi, realizzò la condotta criminosa. L'art. 274 lett. c cod. proc. pen., infatti, fa riferimento alla probabile commissione di reati della stessa specie, cioè di reati che offendono lo stesso bene giuridico e non già di fattispecie omologhe a quella per cui si procede. Occorre, poi, ribadire che la valutazione da compiere è pur sempre prognostica e di carattere presuntivo, e rispetto ad essa il giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei criteri logici adottati, esprimendo, sulla base delle specifiche modalità e circostanze del fatto e della personalità dell'indagato menzionate dalla norma, un giudizio di pericolosità dell'indagato in funzione di salvaguardia della collettività tale giudizio si traduce nella dichiarazione di una concreta probabilità che egli commetta alcuno dei delitti indicati nel suddetto art. 274, comma 1, lett. c cod. proc. pen.” Sez. 4, n. 18851 del 10/04/2012 - dep. 16/05/2012, Schettino, rv. 253865 . Nella specie, con argomenti logici ed immuni da interne contraddizioni il tribunale ha affermato plausibilmente la sussistenza dell'elevato pericolo concreto dell'intervento di fatto a tutela degli interessi della proprietà inoltre, ha rilevato la possibilità della reiterazione per il C. anche prescindendo dall'episodio dei contatti che questi avrebbe avuto, successivamente alla applicazione della precedente misura cautelare, con i rappresentanti della ditta Danieli interpellata dai custodi ed amministratori degli impianti in sequestro. Per quanto si è sin qui detto in ordine ai criteri di valutazione del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, risulta palese come ben limitato rilievo possa assumere la circostanza che gli impianti siano sottoposti a sequestro preventivo, misura che segue, come è evidente, vicende diverse ed autonome -potendo essere revocato in ogni momento - che certamente non possono soffrire condizionamenti in ragione della valutata pericolosità dei soggetti titolari della proprietà degli impianti. Del resto, nel sistema processuale le misure cautelari personali e quelle reali rispondono a requisiti di diritto e di fatto diversi tra loro, così che la sottoposizione al vincolo cautelare delle aree dello stabilimento non vale in sé a scongiurare il rischio di recidiva individuato in capo agli indagati. Risulta evidente come l'argomento secondo il quale la legge n. 231 del 2012 sancisce la liceità dell'esercizio dello stabilimento, prospettato in modo assolutamente generico dal R. , non attenga alla valutazione del pericolo di reiterazione dei reati cui si riferisce la misura cautelare applicata al predetto con l'ordinanza in esame. Peraltro, il rilievo presuppone una valutazione nel merito della regolarità dell'impianto che il ricorrente ha escluso espressamente dalle deduzioni oggetto del ricorso. Va, altresì, evidenziato che la legge del 24 dicembre 2012 è intervenuta successivamente al provvedimento impugnato in data 14.12.2012 e ciò ne escluderebbe comunque la rilevanza nel presente giudizio che non può che attenersi a quanto ha formato oggetto di valutazione nel provvedimento impugnato. Devono, quindi, ritenersi infondati i rilievi formulati dai ricorrenti che risultano volti ad una non consentita rivalutazione da parte del giudice di legittimità degli elementi compiutamente esaminati e complessivamente valutati dal tribunale. In conclusione i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.