Alla mancata osservanza delle prescrizioni riguardanti il lavoro di pubblica utilità il giudice può fare seguire la revoca della sanzione sostitutiva, con conseguente ragguaglio della restante pena da eseguire, tenendo fermo il precedente periodo di espiazione a seguito del positivo svolgimento del lavoro sostitutivo.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione con la sentenza numero 42505, depositata il 10 ottobre 2014. Il fatto. Con ordinanza, il tribunale di Teramo revocava la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica necessità concessa al condannato e ripristinava l’originaria pena inflitta per il reato di guida in stato di ebrezza, in quanto risultava che il medesimo aveva più volte interrotto, senza giustificazione alcuna, lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. La condotta viene apprezzata come reato, ma non pone nel nulla il periodo di pena già espiato. La questione di diritto posta all’attenzione del Collegio con il ricorso del prevenuto verte sulle conseguenze a seguito della intervenuta interruzione del lavoro di pubblica utilità, ed in particolare se la revoca della misura sostitutiva abbia effetti ex tunc, nel senso di fare venire meno anche il periodo di utile svolgimento della prestazione. La soluzione al quesito deve essere trovata attraverso un’interpretazione di sistema che parte da due capisaldi normativi che sono da un lato la previsione dell’articolo 56 d.lgs. 274/2000, che individua una fattispecie delittuosa in caso di trasgressione alle prescrizioni, e dall’altro l’articolo 58 dello stesso decreto, che prescrive i criteri di ragguaglio. Le direttrici così delineate impongono di concludere nel senso che in caso di violazione delle prescrizioni in materia di lavoro di pubblica utilità il trasgressore debba esser chiamato a rispondere del reato previsto dall’articolo 56 del decreto suindicato, ma l’attività di lavoro compiuta in precedenza, con esito positivo, dovrà essere apprezzata in termine di espiazione della pena in quel particolare intervallo temporale e il periodo di lavoro residuo dovrà essere tradotto in pena detentiva. Ecco spiegato perché la violazione delle prescrizioni concernenti le pene sostitutive, configura gli estremi di un delitto, al pari dell’evasione. Sulla base di questi principi la Corte di Cassazione ha pertanto deciso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 settembre – 10 ottobre 2014, numero 42505 Presidente Zampetti – Relatore Caprioglio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 1°.7.2013 il Tribunale di Teramo revocava la sanzione sostitutiva dei lavoro di pubblica necessità concessa a D.G.F., con sentenza 12.10.2011 del medesimo tribunale e ripristinava l'originaria pena inflitta per il reato di guida in stato di ebbrezza, di giorni venti di arresto convertita in quella di 5000 euro di ammenda, oltre ad euro 500 di ammenda, in quanto risultava che il medesimo aveva più volte interrotto -senza giustificazione alcuna lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, cosicchè veniva ritenuta non computabile la parte di pena già espiata quale lavoro di pubblica utilità, non risultando che il medesimo abbia avuto consapevolezza dell'opportunità offertagli. 2. Avverso tale decisione, ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto personalmente per dedurre 2.1 violazione dell'articolo 186 comma 9 bis d.lgs. 285/1992, per la mancata applicazione dei presupposti previsti per la revoca del beneficio, nonché vizio motivazionale viene lamentato che sia mancata una verifica sui motivi, sull'entità della violazione e sulle circostanze da cui essa è scaturita il fatto che il medesimo abbia interrotto il lavoro di pubblica utilità non era di per sé sufficiente per procedere alla revoca, tanto più che era stato regolarmente svolto per 36 ore e mezza, rispetto al totale di 44 ore. 2.2 violazione dell'articolo 186 comma 9 bis d.lgs. 689/1981 e del principio secondo cui nessuno può essere chiamato ad espiare due volte la stessa pena vien fatto di rilevare che buona parte del lavoro di pubblica utilità era stato svolto, residuando solo 7,30 ore di lavoro ancora da svolgere, cosicchè la pena andava ripristinata solo per la parte non espletata, atteso che il lavoro di pubblica utilità è una sanzione sostitutiva, da intendere come una vera e propria pena che deve essere considerata nella parte presofferta e scomputata dal residuo. Viene sottolineato che il paradigma della misura alternativa alla detenzione non può essere applicato al lavoro di pubblica utilità, che è sanzione penale. Viene richiamato l'articolo 66 I. 689/1981, secondo cui in caso di violazione delle prescrizioni inerenti la libertà controllata o la semidetenzione, la restante parte della sanzione si converte nella pena detentiva sostituita. 3. II Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso. Considerato in diritto. Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Viene sottoposto all'attenzione di questo Collegio la questione di diritto sulle conseguenze a seguito della intervenuta interruzione del lavoro di pubblica utilità, quale pena sostituiva ai sensi dell'articolo 189 bis cod. strada, ed in particolate sulla portata degli effetti del provvedimento di revoca della misura sostitutiva eventualmente adottato ci si chiede in sostanza se la revoca abbia effetti ex tunc, nel senso dì fare venire meno anche il periodo di utile svolgimento della prestazione, ovvero se debba essere operato un ragguaglio e quindi se debba essere scomputato il periodo di positivo svolgimento dell'attività con ripristino della sola pena residua, una volta operata la conversione. In proposito va premesso che nel caso oggi a giudizio, il giudice a quo ha revocato la sanzione sostitutiva, ripristinando l'intera pena a cui il D.G. era stato condannato, sul presupposto che l'entità della violazione era tale da portare a constatare come l'interessato non abbia avuto consapevolezza dell'importanza della possibilità offertagli dall'ordinamento ed abbia così dimostrato di non meritare misure sostitutive. Tale provvedimento è stato contestato, ritenendo la difesa che il giudice non disponga di potere di tale ampiezza. Deve essere sottolineato che la normativa contenuta nel decreto legislativo 28.8.2000, numero 274 prevede, all'articolo 58, che per ogni effetto giuridico la pena dell'obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità si considerano come pene detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria. Si ha dunque riguardo a pene detentive e non a misure alternative alla detenzione, quali quelle previste dall'Ordinamento penitenziario. Va aggiunto che il decreto suindicato, all'articolo 56 dispone che il condannato che senza giusto motivo si allontana dai luoghi in cui è obbligato a rimanere o che non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità, o che lo abbandona, è punito con la reclusione fino ad un anno'. Da tale previsione è immediato evincere che la violazione delle prescrizioni concernenti le pene sostitutive, configura addirittura gli estremi di un delitto, al pari dell'evasione, cui è fatta seguire una pena detentiva. Ed infatti, non a caso, è stato insegnato che l'imputato è l'unico titolare della facoltà di richiedere l'applicazione delle pene sostitutive, poiché il suo consenso è il segno della consapevole accettazione delle modalità di emenda e delle conseguenze derivanti dalla violazione delle modalità di esecuzione della sanzione del lavoro di pubblica utilità, sicchè non è possibile supporre alcun accordo implicito o concerto preventivo con il difensore che non può rappresentare l'interessato in detto particolare snodo processuale Sez. IV, 29.11.2004 . Tale realtà normativa porta a ritenere che la non lieve sanzione, in caso di violazione, esaurisca le conseguenze a seguito dell'inadempienza, cosicchè non possa essere l'interessato gravato di ulteriore conseguenza negativa, quale la revoca ex tunc del beneficio, che porrebbe nel nulla l'esito positivo del lavoro sostitutivo svolto in un primo periodo di tempo. A tale considerazione sembra doversi addivenire, mancando un'esplicita previsione su come il giudice debba operare a fronte dell'inadempimento, non potendosi mutuare la disciplina prevista negli articolo 47 comma 11 , 47 ter comma 6, 47 quinquies comma 6, 51, 54 dell'Ordinamento Penitenziario L. 354/1975 , relativamente a misure alternative alla detenzione, da tenere distinte dalla pene sostitutive come si è sopra osservato. Ciò detto, viene fatto di sottolineare che la soluzione al quesito va trovata attraverso un'interpretazione di sistema, che parte dai due capisaldi normativi, che sono da un lato appunto la previsione dell'articolo 56 d.lgs. 274/2000, che individua una fattispecie delittuosa in caso di trasgressione alle prescrizione e dall'altra l'articolo 58 stesso decreto, che prescrive i criteri di ragguaglio. Le direttrici delineate dalle due previsioni suindicate impongono di concludere nel senso che in caso di violazione delle prescrizioni in materia di lavoro di pubblica utilità, il trasgressore debba essere chiamato a rispondere del reato previsto dall'articolo 56 decreto suindicato, ma l'attività di lavoro compiuta in precedenza, con esito favorevole, dovrà essere apprezzata in termine di espiazione della pena in quel particolare intervallo temporale il periodo di lavoro residuo dovrà essere tradotto in pena detentiva alla luce dei criteri di ragguaglio di cui all'articolo 58 succitato la pena detentiva residua dovrà essere espiata dall'interessato, una volta riconosciuta come non più eseguibile la misura sostitutiva. In sostanza la violazione delle prescrizioni relative al lavoro di pubblica utilità fa scattare nell'ordinamento una reazione in parallelo a quella che segue all'evasione, nel senso che la condotta viene apprezzata come reato, ma non pone nel nulla il periodo di pena già espiato. Se si dovesse opinare diversamente, si giungerebbe alla inammissibile conclusione che al comportamento del condannato inadempiente seguirebbero due livelli di risposta dell'ordinamento, da un lato la sanzione penale per il reato commesso e dall'altro ricadute in termini di prolungamento della' durata della pena in espiazione. Si deve quindi rispondere al quesito suindicato nel senso che alla mancata osservanza delle prescrizioni riguardanti il lavoro di pubblica utilità il giudice può fare seguire la revoca della sanzione sostitutiva, con conseguente ragguaglio della restante pena da eseguire secondo i criteri di cui all'articolo 58 d.lgs. 274/2000, tenendo fermo il precedente periodo di espiazione a seguito del positivo svolgimento del lavoro sostitutivo, ma con l'applicazione dell'articolo 56 d.lgs. 274/2000. L'ordinanza impugnata deve essere annullata per nuovo esame alla luce dei principi enunciati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Teramo.