Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, qualora si riscontri una accentuata flessibilità di confini tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, tenuto altresì conto delle specifiche modalità di esercizio della prestazione e della minima condizione di debolezza economica in cui il lavoratore venga di fatto a trovarsi rispetto alla controparte, diviene rilevante la valutazione del documento negoziale stipulato e la denominazione del rapporto in esso attribuito.
Lo afferma la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza numero 19568, pubblicata il 26 agosto 2013. Il caso. Un medico che aveva svolto per 15 anni le mansioni di responsabile del servizio analisi cliniche di una Casa di cura privata, agiva in giudizio al fine di veder accertata la natura subordinata del rapporto di collaborazione intercorso, con conseguente condanna alle differenze retributive derivanti. Il tribunale del lavoro accoglieva la domanda. Proponeva appello la clinica, e la Corte territoriale, in accoglimento del gravame respingeva la domanda del lavoratore. Ricorreva questi in Cassazione per la riforma della pronuncia d’appello. Le specifiche modalità di svolgimento del rapporto Principio costante sancito dalla giurisprudenza afferma che ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro autonomo o subordinato deve farsi riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto stesso e alle sue specifiche modalità di svolgimento. La formale qualificazione operata dalle parti in ambito di conclusione del contratto di lavoro individuale, seppur rilevante, non può essere considerata determinante e non esime il giudice dal puntuale accertamento del comportamento in concreto tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto. l’elemento della subordinazione potere direttivo, disciplinare e di controllo. Altro principio cardine affermato dalla giurisprudenza si ha nell’individuazione dell’elemento della subordinazione nel rapporto di lavoro in esame. Vincolo di subordinazione che si connota soprattutto per l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo da parte del datore di lavoro. E dunque il giudice, indipendentemente dal nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto, deve con proprio accertamento verificare l’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Apprezzamento di fatto che sarà insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente motivato. Se il lavoratore non è parte debole, rilevante la volontà contrattuale. Le concrete modalità di svolgimento del rapporto divengono rilevanti anche in quei casi in cui il confine tra figure contrattuali diverse appare labile ed incerto. Così come rilevante diviene l’attribuzione formale del rapporto data dalle parti nel contratto concluso. Si tratta di tutti quei casi di rapporto di collaborazione in cui, per le specifiche modalità di espletamento della prestazione, per le condizioni di non debolezza economica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, il primo venga a trovarsi più libero e meno condizionabile nella scelta delle regole cui voglia assoggettarsi nella prestazione della propria attività. Nello specifico caso in esame, la Corte d’Appello, con percorso logico ed immune da vizi, aveva accertato che il lavoratore gestiva in proprio il lavoro senza ricevere direttive programmatiche dal datore di lavoro non era soggetto ad orario di lavoro determinato, né timbrava il cartellino presenza non era tenuto a chiedere il godimento delle ferie e pagava in proprio un sostituto quando si assentava dal lavoro per ferie, assumendosi dunque in proprio il rischio imprenditoriale. Elementi tutti che facevano propendere per la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo. Ciò, unito alla iniziale volontà delle parti di stipulare un contratto di lavoro autonomo, come emergeva dal dato letterale del documento negoziale, deponeva per tale tipologia di rapporto. Con preciso onere probatorio a carico del lavoratore ricorrente di fornire elementi contrari a sostegno dell’invocata natura subordinata del rapporto. Onere probatorio non assolto, con inevitabile rigetto della domanda proposta e così del ricorso per cassazione.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 febbraio - 26 agosto 2013, numero 19568 Presidente Vidiri – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 20 febbraio 2009 la Corte d'appello di Trento, in riforma della sentenza del tribunale di Trento del 13 luglio 2007, ha rigettato la domanda di C.S. intesa, per quanto rileva in questa sede, ad ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la Casa di Cura Villa Bianca s.p.a. per la quale ha svolto le mansioni di medico responsabile del servizio di analisi dal omissis . La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che il C. ha sempre emesso regolare fattura in relazione al compenso ricevuto mensilmente con assegno per 15 anni ha consapevolmente accettato la natura autonoma del rapporto di lavoro senza rivendicare alcunché se non al termine del rapporto stesso il C. non ha dato prova della subordinazione con riferimento all'esistenza di un potere direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro dalla prova testimoniale espletata è emerso che il C. gestiva in proprio il suo lavoro senza ricevere direttive programmatiche da parte del datore di lavoro non era soggetto all'osservanza di un orario di lavoro, non timbrava cartellini né era tenuto a chiedere il godimento di ferie che nemmeno comunicava formalmente, e pagava autonomamente un sostituto quando si assentava per ferie assumendosi quindi in proprio il rischio imprenditoriale. In presenza della iniziale volontà delle parti di stipulare un contratto di lavoro autonomo sarebbe stato onere del lavoratore fornire una prova rigorosa e precisa sull'esistenza degli elementi caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato, mentre sussistono indizi dimostrativi dell'esistenza di un rapporto di lavoro autonomo. Il C. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su cinque motivi. Resiste con controricorso la Casa di Cura Villa Bianca s.p.a Entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 2094 e 2222 cod. civ. con riferimento all'articolo 360, numero 3 cod. proc. civ. e, in alternativa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso relativo alla presunta omessa rivendicazione della subordinazione da parte del ricorrente, con riferimento all'articolo 360, numero 5 cod. proc. civ In particolare si deduce che la corte territoriale avrebbe dato maggiore rilevanza alla qualificazione formale data dalle parti al rapporto di lavoro anziché esaminare il concreto svolgimento del medesimo. Con il secondo motivo si deduce ancora insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo relativo alla presunta omessa e tardiva rivendicazione della subordinazione da parte del ricorrente, con riferimento all'articolo 360, numero 5 cod. proc. civ Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 cod. civ. in relazione all'articolo 2094 cod. civ. con riferimento al concetto di subordinazione in caso di mansioni elevate , ai sensi dell'articolo 360, numero 3 cod. proc. civ In particolare si assume che non sarebbe stato considerato l'ampio margine di autonomia tecnica e professionale insita nell'attività svolta dal C. , e sarebbe stato omessa la considerazione delle conseguenze che derivano dalle mansioni elevate caratterizzate da specifica professionalità che influiscono nella configurabilità del rapporto di lavoro subordinato. Con il quarto motivo si deduce carente e contraddittoria motivazione sul fatto decisivo relativo all'inserimento nella organizzazione aziendale e sul fatto decisivo relativo al compenso mensile ricevuto in misura fissa e continuativa per circa quindici anni, ai sensi dell'articolo 360, numero 5 cod. proc. civ Con il quinto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su ulteriori fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell'articolo 360, numero 5 cod. proc. civ In particolare si lamenta il mancato esame di criteri caratterizzanti la subordinazione quali l'osservanza di un orario di lavoro predeterminato, il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, e l'assenza, in capo al lavoratore, di una sia pur minima struttura imprenditoriale. I motivi precedenti vanno esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione sia sul versante giuridico che su quello fattuale per essere tutti volti a dimostrare, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, la natura subordinata del rapporto instauratesi tra il C. e la Casa di Cura. L'infondatezza di detti motivi determina il rigetto del ricorso in ragione del seguente iter argomentativo. È stato affermato in giurisprudenza che, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro autonomo o subordinato, deve farsi riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto stesso e alle sue specifiche modalità di svolgimento, potendo il richiamo alla iniziale volontà delle parti, cristallizzatasi nella redazione del contratto di lavoro, valere come elemento di valutazione ai fini dell'identificazione della natura del rapporto solo se ed in quanto le concrete modalità di svolgimento dello stesso lascino margini di ambiguità e/o di incertezze cfr., al riguardo in tali termini Cass. 9 giugno 2000 numero 7931 cui adde Cass. 19 maggio 2001 numero 6868 . Sempre in giurisprudenza è stato poi precisato, per quanto attiene alla natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, che la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non può essere in alcun modo determinante e non esime il giudice dal puntuale accertamento del comportamento in concreto tenuto nell'attuazione del rapporto, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di voler un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia, ovvero, pur esprimendo al momento della conclusione del contratto una volontà autentica, potrebbero, nel corso del rapporto, aver manifestato, con comportamenti concludenti, una diversa volontà Cass. 27 agosto 2002 numero 12581 e si è anche evidenziato che l'elemento della subordinazione che si connota, soprattutto, per l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo disciplinare e di controllo del datore di lavoro , che consente di distinguere il rapporto di lavoro di cui all'articolo 2094 cod. civ. dal lavoro autonomo, non costituisce un dato di fatto elementare, quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto, potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze, richiedenti una complessiva valutazione e ciò, in particolare, nei rapporti di lavoro, aventi natura professionale ed intellettuale che è rimessa al giudice del merito, il quale, perciò, a tal fine, non può esimersi, nella qualificazione del rapporto di lavoro, da un concreto riferimento alle sue modalità di espletamento ed ai principi di diritto ispiratori della valutazione compiuta allo scopo della sussunzione della fattispecie nell'ambito di una specifica tipologia contrattuale, sicché se tale apprezzamento di fatto è immune da vizi giuridici ed è supportato da un'adeguata motivazione, si sottrae al sindacato di legittimità cfr. Cass. 16 giugno 2006 numero 13935 e più di recente, sempre per il dictum secondo cui il criterio distintivo della subordinazione, e cioè l'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, debba essere necessariamente verificata sulla base di elementi sussidiali che il giudice di merito deve individuare con accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato Cass. 15 giugno 2009 numero 13858 . Sempre con riferimento al nomen iuris, la giurisprudenza di legittimità ha pure statuito che la valutazione del documento negoziale è tanto più rilevante, quanto più labile appare il confine tra le figure contrattuali astrattamente configurabili, e non può, dunque, non assumere una incidenza decisoria anche allorquando tra dette figure vi sia quella del rapporto di lavoro subordinato Cass. 18 aprile 2007 numero 9264 in una fattispecie avente ad oggetto la valutazione di un documento negoziale in relazione al quale si è riconosciuta una rilevanza decisoria parametrata alla labilità dei confini tra lavoro subordinato ed associazione in partecipazione cui adde, in argomento, anche Cass. 7 ottobre 2004 numero 20002 . Corollario dell'indirizzo giurisprudenziale, di certo estensibile anche ai casi in cui la iniziale pattuizione sulla natura del rapporto avvenga attraverso un accordo verbale e non con una dichiarazione scritta, assume maggiore rilevanza decisoria nelle ipotesi in cui si riscontri una accentuata flessibilità dei confini tra lavoro subordinato ed altre specifiche tipologie di rapporti lavorativi ad esempio lavoro autonomo quale quello dei giornalisti, dei medici convenzionati o degli esercenti professioni intellettuali lavoro in associazione in partecipazione lavoro del socio di cooperativa ed anche nelle ipotesi in cui per le specifiche modalità dell'esercizio delle prestazioni e per la condizione di non debolezza economica anche a seguito del trattamento economico e normativo pattuito in cui il lavoratore di fatto venga a trovarsi a fronte della controparte, finisca il lavoratore stesso per risultare più libero e meno condizionabile nella scelta delle regole cui voglia assoggettarsi nella prestazione della propria attività. Orbene, nel caso di specie il C. non ha saputo dare alcuna prova rispetto al potere direttivo o repressivo del datore di lavoro e, come ha precisato la Corte d'appello, gestiva in proprio il lavoro svolto, non riceveva direttive programmatiche o indicazioni di altro tipo dal direttore sanitario, ed il fatto per cui si rapportasse con altro collaboratore o con colleghi, costituisce al più circostanza neutra, non incompatibile con la natura non subordinata del rapporto di lavoro. Elementi questi che, unitamente alla circostanza per cui correttamente il giudice d'appello ha dato rilievo al nomen iuris dato dalle parti al negozio regolante il loro rapporto, inducono a rigettare il ricorso del C. . Il ricorrente soccombente va condannato al pagamento delle spese di questo giudizio liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.