La CTU accerta l’invalidità: è censurabile solo per devianza dalle comuni nozioni mediche

Nel giudizio in materia d’invalidità, il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del CTU, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica la cui fonte va indicata o nell’omissione degli accertamenti dai quali non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza numero 11987, depositata il 28 maggio 2014. Il datore licenzia la dipendente assunta con il collocamento obbligatorio poteva beneficiare della chiamata diretta? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio con il quale la dipendente di una ASL, assunta in virtù di chiamata diretta ai sensi della legge numero 482/1968 collocamento obbligatorio , ha impugnato il recesso disposto dall’Amministrazione datrice. Nell’ambito del giudizio di merito, è stato accertato che la dipendente presentava un disturbo della personalità con spunti ossessivi e con attuale scompenso cronico. È stato, inoltre, precisato che la paziente, già all’epoca dell’assunzione presso l’azienda sanitaria, presentava disturbi tali da legittimare un livello di invalidità sufficiente per avere accesso ai benefici di legge, secondo la normativa all’epoca vigente 36% , tenuto pure conto delle altre espressioni di patologia organica. Per effetto di tali considerazioni medico legali, doveva, pertanto, ritenersi che le verifiche effettuate dall’apposita commissione non erano corrette sotto il profilo scientifico. Conseguentemente, essendo stato escluso il presupposto sul quale il recesso era stato fondato assenza di invalidità per poter beneficiare dell’assunzione diretta , il giudice di merito ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento espulsivo. Contro la decisione della Corte territoriale, l’ASL ha proposto ricorso per cassazione, assumendo l’erroneità della CTU, in quanto non sarebbe stata documentata l’efficacia invalidante del disturbo della personalità e la rilevanza dello stesso unitamente alle altre espressioni di patologia organica, non sufficientemente specificate quanto all’incidenza invalidante richiesta dalla legge, posto che a tal fine non dovevano essere considerate le minorazioni comprese nella fascia dallo 0 al 10%, a meno che non si determinasse una concorrenza delle stesse con altre minorazioni comprese nelle fasce superiori. Secondo il datore, nella fattispecie, si trattava di patologie coesistenti e non concorrenti, che singolarmente non superavano la valutazione del 10% bronchite cronica, artrosi cervicale, lievi vizi valvolari . La CTU può essere criticata solo se si discosta dalle nozioni mediche o ha omesso gli accertamenti imprescindibili. La pronuncia in commento, tuttavia, ritiene che sia priva di adeguato riscontro la critica mossa alla sentenza di merito, essendo stato compiuto un adeguato esame della documentazione richiamata in ricorso, sulla cui base era stato affermato che la psicopatia era tale da minare in modo rilevante la personalità della periziata, determinando uno scompenso cronico, sussistente alla data presa in considerazione ai fini di causa assunzione ai sensi della legge numero 482/1968 . Il giudizio espresso dalla Corte d’appello è, pertanto, insindacabile sulla base dei rilievi formulati dal datore, posto che, nel giudizio in materia d’invalidità, il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi. Al di fuori di tale ambito, la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice. Chi invoca la mera “coesistenza” delle patologie deve provarne la “non concorrenza”. La non computabilità delle minorazioni comprese tra lo 0 ed il 10%, prevista dall’articolo 5 del d.lgs. numero 509/1988, purché non concorrenti fra loro o con altre minorazioni comprese nelle fasce superiori, costituisce una deroga al principio della computabilità generale e globale di ogni minorazione ai fini della valutazione di invalidità. Ne consegue che chi intenda avvalersi di tale deroga deve indicare le ragioni in base alle quali una patologia minore non sarebbe “concorrente”, bensì meramente “coesistente” con le altre. La deroga è fondata su due presupposti la misura della riduzione dallo 0 al 10% e la non “concorrenza” della minorazione con altre minorazioni . In quanto deroga al predetto principio, colui che lo invoca ha l’onere di provarne i fatti costitutivi cfr. Cass., numero 6652/2004 . E nel caso in esame la ricorrente non ha indicato, né in sede di merito, né in sede di legittimità, le ragioni per le quali la patologia psichica non sarebbe concorrente bensì meramente coesistente con le altre.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 marzo – 28 maggio 2014, numero 11987 Presidente Stile – Relatore Arienzo Motivi della decisione Con sentenza del 30.1.2012, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione impugnata - nel resto confermata - dichiarava illegittimo l'atto di recesso disposto dall'Azienda USL con delibera 471 del 21.5.2003 nei confronti di M.P. ed ordinava alla azienda di reintegrare la predetta nel posto di lavoro precedentemente occupato, condannando la prima al risarcimento del danno in favore della lavoratrice nella misura pari alle retribuzioni maturate dal dì del licenziamento alla reintegra, oltre accessori di legge. Osservava che, in sede di rinnovo delle indagini peritali a cura di un medico specialista anche in Clinica delle Malattie Nervose e Mentali, era stato accertato che la M. presentava tratti abnormi della personalità e del carattere riconducibili nell'ambito di un narcisismo fragile ed insicuro con spiccati tratti di precarietà emotiva - affettiva ed ideativa e che la diagnosi conclusiva era stata quella di psicopatologia riferita a disturbo di personalità con spunti ossessivi, con pregressi scompensi temporanei anche a carattere psicotico disturbi deliranti e con attuale scompenso cronico. Era stato precisato che la paziente, già nel 1987, epoca di assunzione presso l'azienda sanitaria in virtù di chiamata diretta ex L. 482/68, presentava ben più che generici disturbi neurodistonici e che esistevano fondamenti di estrema fragilità e vulnerabilità psichica tali da legittimare un livello di invalidità sufficiente per avere accesso ai benefici di legge, secondo la normativa all'epoca vigente 36% , tenuto pure conto delle altre espressioni di patologia organica. Per effetto di tali considerazioni medico legali, doveva, pertanto, ritenersi che il recesso disposto dall'azienda sanitaria appellata - sulla base di verifiche effettuate dall'apposita commissione risultate non corrette sotto il profilo scientifico - fosse illegittimo, in assenza del presupposto sul quale era stato fondato assenza di invalidità per poter beneficiare dell'assunzione diretta quale iscritta nelle liste del collocamento obbligatorio . Oltre al risarcimento nella misura di legge non era, poi, riconoscibile, in favore della M. , alcun ulteriore danno, essendone indimostrato il nesso eziologico con la vicenda lavorativa. Per la cassazione di tale decisione ricorre l'Azienda Usl , affidando l'impugnazione a due motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Resiste, con controricorso, la M. , la quale propone ricorso incidentale affidato ad unico motivo. Motivi della decisione Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c Con il primo motivo di ricorso principale, l'azienda sanitaria denunzia violazione e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, ai sensi dell'ali. 360, numero 5, c.p.c, osservando che l'elaborato peritale del Dott. R. concludeva in maniera diametralmente opposta alle due precedenti perizie ravvisando la sussistenza, all'epoca dell'immissione in servizio della M. , di uno stato invalidante rilevante ai sensi della L. 482/68. Sostiene che la c.t.u. doveva ritenersi erronea, in quanto non erano state prese in esame le note critiche prodotte ed in quanto la diagnosi era stata desunta pressoché esclusivamente dalla somministrazione di test psicodiagnostici senza che fosse stata effettuata una vera e propria osservazione psichiatrica protratta, ma soprattutto senza il conforto della documentazione sanitaria, in quanto quella risalente all'epoca del riconoscimento dello stato di invalidità faceva riferimento esclusivamente a crisi depressivo ansiosa con spunti deliranti, e non a sindrome, onde il disturbo della personalità doveva essere considerato isolato. Dall'esame di varia documentazione singolarmente menzionata non emergeva, secondo la ricorrente, una diagnosi psichiatrica conforme a quella per la quale aveva concluso il Dott. R. , e quand'anche si ammettesse che la M. fosse affetta da un disturbo della personalità, non era documentata in alcun modo l'efficacia invalidante di tale disturbo e la rilevanza della stessa unitamente alle altre espressioni di patologia organica, non sufficientemente specificate quanto all'incidenza invalidante richiesta dalla legge, posto che a tal fine non dovevano essere considerate le minorazioni comprese nella fascia da 0 a 10%, a meno che non si determinasse una concorrenza delle stesse con altre minorazioni comprese nelle fasce superiori. Si trattava, in definitiva, di patologie coesistenti e non concorrenti, che singolarmente non superavano la valutazione del 10% bronchite cronica, artrosi cervicale, lievi vizi valvolari e la Corte, secondo l'azienda, non aveva neanche illustrato i motivi che l'avevano indotta a discostarsi e, comunque, ad ignorare i rilievi da essa in proposito mossi. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 424 c.p.c., in relazione all'articolo 360, nnumero 3, 4 e 5 c.p.c., evidenziando che l'ultima perizia non poteva ritenersi maggiormente attendibile delle precedenti, entrambe concordi nell'escludere lo stato invalidante, che non poteva ricondursi, nella misura del 36%, alla sola patologia psichiatrica, onde la Corte avrebbe dovuto procedere ad un rinnovo della CTU alla luce delle osservazioni svolte, mediante affidamento dell'incarico ad un Collegio di periti che stabilisse, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza dello stato di invalidità della M. al momento dell'assunzione. Il ricorso è infondato. Il giudice del gravame ha osservato che, all'epoca dell'assunzione presso l'azienda sanitaria in virtù di chiamata diretta ex L. 482/68, la M. presentava una psicopatologia che non era limitata a scompensi temporanei neuro distonici, ma era tale da integrare un vero e proprio disturbo di personalità con spunti ossessivi e scompenso cronico e che, tenuto conto anche delle altre espressioni di patologia organica, il livello di invalidità raggiunto era sufficiente per avere accesso ai benefici di legge secondo la normativa all'epoca vigente 36% . Non trova riscontro, pertanto, la critica mossa alla sentenza, essendo stato compiuto adeguato esame della documentazione richiamata in ricorso, sulla cui base era stato affermato che la psicopatia era tale da minare in modo rilevante la personalità della periziata, caratterizzata da elementi di estrema fragilità e vulnerabilità psichica, essendo presenti disturbi deliranti sfociati in uno scompenso cronico, sussistente alla data presa in considerazione ai fini di causa assunzione ai sensi della legge 482/68 . Peraltro, la Corte del merito aveva precisato sia che le note critiche sviluppate dall'azienda sanitaria erano inidonee a porre in dubbio le risultanze medico-legali evidenziate e fondate su specifici accertamenti diagnostici di natura specialistica, avverso i quali le dette note non apportavano alcuna critica scientifica, sia che la richiesta di un ulteriore rinnovo della consulenza medico legale a mezzo di un Collegio - cui fa riferimento il secondo motivo del presente ricorso in sede di legittimità - appariva meramente esplorativa, essendo già stati eseguiti approfondimenti di natura specialistica pienamente soddisfacenti. Il giudizio espresso dalla Corte d'appello è, pertanto, insindacabile sulla base dei rilievi formulati, posto che, nel giudizio in materia d'invalidità, il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisarle in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione principio, affermato, ai sensi dell'articolo 360 bis c.p.c., da Cass., ord., 6 sez., 3.2.2012 numero 1652 in materia di invalidità civile . Deve aggiungersi che la non computabilità delle minorazioni comprese tra lo 0 e il 10 per cento, prevista dall'articolo 5 del decreto legislativo 23.11.1988, numero 509, purché non concorrenti fra loro o con altre minorazioni comprese nelle fasce superiori, costituisce una deroga al principio della computabilità generale e globale di ogni minorazione ai fini della valutazione di invalidità ne consegue che chi intenda avvalersi di tale deroga deve indicare le ragioni in base alle quali una patologia minore non sarebbe concorrente, bensì meramente coesistente con le altre. La deroga è fondata su due presupposti la misura della riduzione da zero a dieci e la non concorrenza della minorazione con altre minorazioni l'espressione che l'introduce - purché - segnala che la non concorrenza costituisce un requisito aggiuntivo per questa esclusione . In quanto deroga al predetto principio giuridico oltre che limite d'un dato biologico di comune esperienza , colui che l'invoca ha l'onere di provarne i fatti costitutivi cfr. Cass. 5.4.2004 numero 6652 . E nel caso in esame la ricorrente non ha indicato, ne1 in sede di merito, ne1 in sede di legittimità, le ragioni per le quali la patologia psichica non sarebbe concorrente bensì meramente coesistente con le altre. Né v'è comunque prova che nel caso in esame, pur applicando l'assunto parametro - per cui la patologia sarebbe concorrente quando interessa più organi od apparati correlati fra loro con reciproco aggravamento - le infermità non sarebbero concorrenti né la prova si evince dal mero elenco delle infermità contenuto nella diagnosi del consulente tecnico d'ufficio . Il ricorso principale deve essere, pertanto, respinto. Con il ricorso incidentale, la M. rileva la contraddittorietà della decisione ai sensi dell'articolo 360, numero 5, c.p.c., per avere in motivazione statuito che le spese del grado andavano compensate per 1/3 e poste a carico dell'azienda per i residui 2/3 e disposto, invece, in dispositivo, la loro integrale compensazione. Il vizio si traduce in un'evidente difformità tra motivazione e dispositivo, ossia in un contrasto insanabile tra le stesse, che determina la nullità della sentenza, ai sensi degli articolo 156 e 360 numero 4 cod. proc. civ., nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire, come nella specie, l'individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mercé valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo. cfr. Cass. 2.7.2007 numero 14966 Cass. 15.7.2009 numero 16448 . Essendo stata la deduzione del vizio formulata ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c., come vizio della motivazione, la censura deve essere dichiarata inammissibile. La parziale reciproca soccombenza - quella della M. individuabile in minor misura, per avere la impugnazione dalla stessa proposta investito unicamente il capo della decisione sulle spese - rende giustificata la compensazione delle spese del presente giudizio in misura di 1/4 per il resto dovendo le stesse far carico - nella misura liquidata per l'intero in dispositivo - all'ASL. Va applicata, ratione temporis e sussistendone i presupposti, la disposizione di cui all'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115/2002. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, inammissibile l'incidentale. Compensa per 1/4 le spese del presente giudizio e condanna la ricorrente principale al pagamento dei residui 3/4 delle spese, liquidate,per l'intero, in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, come modificato dall’articolo 1 co. 17 L. numero 228/2012, atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.