Si finge maresciallo della GdF per spillare denaro: minaccia è uguale a estorsione che è diversa da truffa

Integra il reato di estorsione, e non quello di truffa, la prospettazione di un male futuro per la vittima in termini di evento certo e realizzabile ad opera del soggetto agente o di altri, poiché in tal caso la vittima è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato.

Lo ha statuito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 20656 del 20 maggio 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Torino condannava due uomini per i reati di concorso in estorsione, consumata e tentata, ai danni di una donna e per millantato credito tentato ed emissione di fatture false. I due uomini ricorrono per cassazione, censurando la sentenza in relazione all’elemento oggettivo della minaccia e alla qualificazione giuridica del fatto commesso. Truffa prospettazione di un male possibile ed eventuale. Merita di essere richiamato l’orientamento della Corte in base al quale integra il reato di truffa la condotta di colui che prospetti un male possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non sia coartata, ma si determini alla prestazione costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dall’esposizione di un pericolo inesistente. Estorsione prospettazione di un male certo e realizzabile. L’estorsione, invece, si configura se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché, in tal caso, la persona offesa è posta nell’ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. Estorsione, non truffa. La prospettazione di un male futuro per la vittima, quindi, in termini di evento certo e realizzabile ad opera del soggetto agente o di altri, integra estorsione e non truffa, poiché in tal caso la vittima è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. Palese la natura intimidatoria delle pretese. Nel caso di specie, ai fini della qualificazione del fatto come estorsione, è decisivo il fatto che l’imputato si sia spacciato al telefono per un maresciallo avanzando pretese di natura intimidatoria. Il ricorso, quindi, è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 – 20 maggio 2014, numero 20656 Presidente Gentile – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 20/12/2012, la Corte di appello di Torino, confermava la sentenza del Tribunale di Saluzzo, in data 14/3/2012, che aveva condannato G.G. alla pena di anni sette di reclusione ed €. 2.000,00 di multa e G.M. alla pena di anni 3, mesi 5 di reclusione ed €. 500,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile, per i reati di concorso in estorsione, consumata e tentata, ai danni di S.A., nonché il solo G. per altri episodi di estorsione, per millantato credito tentato e per emissione di fatture false. 2. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l'atto d'appello, in punto di sussistenza degli estremi della minaccia e di qualificazione giuridica dei fatti. Nel merito confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità di entrambi gli imputati in ordine ai reati loro concorsualmente ed individualmente ascrittii, ed equa la pena inflitta 3. Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati, G.G. personalmente e G.M. per mezzo del suo difensore di fiducia. 4. G.G. solleva tre motivi di ricorso con i quali deduce 4.1. mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza della minaccia, elemento costitutivo del reato di estorsione. Al riguardo si duole che le espressioni utilizzate dall'imputato non avevano contenuto minaccioso e la stessa parte offesa non le aveva percepite come minacce. 4.2. mancanza di motivazione in ordine alla mancata derubricazione del reato di estorsione in quello di truffa commessa ingenerando nella persona offesa il pericolo di un danno immaginario 4.3. violazione di legge per omessa dichiarazione di prescrizione per i reati di cui all'articolo 8 D.L.vo 274/2000. 5. G.M. solleva tre motivi di ricorso con i quali deduce 5.1. mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla identificazione del sedicente maresciallo M. nella persona dei G. 5.2. mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza della minaccia, elemento costitutivo del reato di estorsione 5.3. mancanza di motivazione in ordine alla mancata derubricazione del reato di estorsione in quello di truffa commessa ingenerando nella persona offesa il pericolo di un danno immaginario. Considerato in diritto 1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati. 2. Per quanto riguarda il primo motivo del ricorso di G.M., le doglianze del prevenuto in riferimento alla identificazione del sedicente maresciallo M. nella persona del G. sono inammissibili in quanto tendono a provocare un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni legittimamente assunte dai giudici del merito e basate su un percorso argomentativo privo di vizi logico-giuridici. 3. Entrambi i ricorsi presentano due motivi analoghi, relativi alla sussistenza dell'elemento oggettivo della minaccia ed alla qualificazione giuridica del fatto commesso in danno della S., che pertanto possono essere trattati congiuntamente. 4. Al riguardo in punto di diritto deve essere richiamato l'orientamento di questa Corte, secondo cui integra il delitto di truffa la condotta di colui che prospetti un male possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non sia coartata, ma si determini alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dall'esposizione di un pericolo inesistente mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nell'ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato Sez. 2, 6/5/2008, numero 21537 - Rv. 240108 Sez. 2, 30/6/2010, numero 35346 - Rv. 248402, Sez. 2 numero 27363, 4/04/2012 Rv. 253313 . In sostanza, la minaccia - che caratterizza, in alternativa alla violenza, la condotta estorsiva e la distingue dal comportamento truffaldino - deve contenere il riferimento ad un evento ingiusto, paventato quale ritorsione dell'agente nei confronti del soggetto passivo che non accondiscenda alle sue richieste oppure come un atteggiamento prevaricatorio, anche di terzi, per sottrarsi al quale la vittima è coartata nella libera determinazione di accondiscendere o meno alle pretese che le sono state rivolte. cfr da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza numero 28390 del 20/03/2013 Ud. dep. 01/07/2013 Rv. 256459 . 5. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l'elemento decisivo, ai fini della qualificazione giuridica del fatto come estorsione il comportamento del G. che aveva telefonato alla S., qualificandosi come maresciallo della Guardia di Finanza. Nella seconda telefonata il 4/1/2008 il sedicente M.llo M. aveva rappresentato alla persona offesa, per vincere le sue perplessità che altrimenti i suoi colleghi sarebbero venuti in visita in azienda . Al riguardo la Corte territoriale ha osservato che «è palese la natura implicitamente intimidatoria delle pretese del maresciallo M. , il quale, in buona sostanza, faceva balenare, qualora non fosse stato corrisposto il denaro, l'intervento della Guardia di Finanza ai danni della società». 6. Tale conclusione è coerente con gli indirizzi giurisprudenziali di questa Corte sopra richiamati ed in particolare con Cass. Sez. 2, numero 35346/2010, Rv. 248402, che ha statuito che integra il reato di estorsione, e non quello di truffa, la prospettazione di un male futuro per la vittima in termini di evento certo e realizzabile ad opera del soggetto agente o di altri, poiché in tal caso la vittima é posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. 7. Quanto alla posizione di G.G., la Corte territoriale ha precisato che «se le iniziali richieste del G. non ebbero carattere palesemente estorsivo, quelle successive e comunque quelle del compartecipe Girelli acquistarono tale connotazione». Ha osservato, inoltre, la Corte che «il G. ed il G. agirono di conserva fin dall'inizio secondo un piano che li doveva vedere alternarsi nelle richieste di denaro, con la conseguenza che ciascuno deve rispondere anche della condotta materialmente tenuta dall'altro e viceversa.» 8. Di conseguenza correttamente la Corte d'appello ha esteso la condotta estorsiva di G.M. anche a G.G. in virtù dei principi che regolano l'istituto del concorso di persone nel reato. 9. Resta da esaminare l'ulteriore questione sollevata da G.G. in punto di prescrizione del delitto di false fatturazioni contestato al capo 4. Al riguardo le censure del ricorrente sono manifestamente infondate poiché all'imputato è stata contestata la recidiva specifica reiterata infraquinquennale, ai sensi dell'articolo 99, IV comma cod. penumero 10. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza numero 186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 mille/00 ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.